L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

L'essenza del Belcanto e l'anima della Tragedia

di Roberta Pedrotti

Fra la produzione della Maria Stuarda a Verona, il concerto verdiano di Roma e l'imminente Roberto Devereux a Firenze, abbiamo incontrato Mariella Devia, un modello di stile, serietà e coerenza artistica, oltre che l'interprete di riferimento per una concezione moderna del dramma nel belcanto.

Anna Bolena, Maria Stuarda e l'Elisabetta del Roberto Devereux: tre donne e tre regine, in tre opere che trattano in modo diverso l'ideale di regalità, il contrasto fra la sfera privata e quella pubblica, la femminilità e il potere. Quali pensa siano le principali differenze e le similitudini fra queste figure, sia dal punto di vista vocale sia da quello interpretativo?

Donne e regine nella realtà storica molto diverse. Nelle pagine donizettiane sono accomunate da una drammaticità -maggiore tra le tre, quella di Anna Bolena - alla quale, tuttavia, fanno da contrappunto molti momenti elegiaci, da "Al dolce guidami" a "Oh nube che lieve" fino allo stesso "Vivi ingrato". Del resto la grandezza della scrittura di Donizetti è anche in questa grande alternanza tra la linea melodica e quella drammatica, a volte tragica, e i suoi personaggi, specialmente femminili -ne costituiscono la più alta rappresentazione.

Si parla spesso di “Trilogia Tudor” in riferimento a Bolena, Stuarda e Devereux, ma Lei ha cantato anche l'altra Elisabetta donizettiana, quella al Castello di Kenilworth, soggetto per certi versi simile a quello del Devereux o dell'Elisabetta regina d'Inghilterra rossiniana. Come vede questo personaggio rispetto alle protagoniste della Trilogia Tudor? Le regine donizettiane si differenzano in qualche modo rispetto alle altre eroine che ha intepretato di questo autore?

Elisabetta al Castello l’ho cantata talmente tanti anni fa che quasi non me la ricordo! E’ la prima delle opere in cui Donizetti prende in considerazione il personaggio di Elisabetta ed è molto vicino, nella vocalità, alla maniera rossiniana. Per quanto riguarda la trama, questa Elisabetta non ha l’aura tragica, che assume invece in Stuarda o in Devereux, tant’è che l’opera è a lieto fine. La regalità assume qui l’aspetto della magnanimità, dell’elargizione del perdono regale, che consente alla coppia Leicester-Amelia di vivere … felici e sereni.

Quando ha affrontato Elisabetta al castello di Kenilworth pensava già che un giorno sarebbe approdata al Devereux? E in generale, dalla Lucrezia Borgia del 2001 in poi, il XXI secolo ha portato una serie di splendidi debutti che fino a pochissimo tempo prima non avremmo forse nemmeno sognato. Per lei era invece un percorso già chiaro dall'inizio (da Lucia a Bolena, da Gilda a Norma) o questo si è delineato strada facendo?

E’ molto difficile tracciare percorsi a distanza di anni. Io ho scelto un repertorio e da quello non mi sono allontanata. Per ogni debutto c’è una stagione, che corrisponde all’evoluzione della propria voce. Si può sperare di poter avere un percorso, ma non si può decidere a priori. Così ho rifiutato di debuttare Traviata per anni e lo stesso vale per Norma o per altre interpretazioni. Ho accettato opere e personaggi nuovi per me, solo quando sono stata sicura che la mia voce era pronta per poterli incontrare.

Una voce cambia nel tempo? Lei è sempre rimasta nell'ambito del belcanto, ma la tipologia di ruoli e personaggi affrontati è cambiata e si è arricchita. Come sceglie e prepara un debutto? E come affronta anche dal punto di vista tecnico autori diversi?

Sì, la voce cambia nel tempo e, come le dicevo, un debutto non può essere deciso senza essere profondamente convinti di poterlo affrontare. Infatti non ho mai ceduto alle richieste, spesso anche insistenti, per debuttare questa o quell’opera. Una volta deciso, la strada non è molto diversa da quella che si intraprende per preparare un’opera già interpretata. Si studia. Si studia sempre sia per un personaggio nuovo sia per approfondire un personaggio noto, già interpretato tante volte. Il debutto può costituire una incognita, una sfida differente dalle altre, ma la sostanza della preparazione non cambia. Per quanto riguarda i diversi autori non ci sono discrepanze sotto l’aspetto tecnico-vocale, piuttosto cambia lo stile.

Affrontare dei personaggi storici realmente esistiti. Per le regine Tudor come, per esempio, per Lucrezia Borgia, le interessa approfondire anche la loro biografia? Lo ritiene utile?

Non so quanto sia utile, perché la storia si discosta sempre da quella che ci raccontano i librettisti, che a loro volta prendono spunto da romanzi o da opere teatrali. Maria Stuarda non è quella che ci ha descritto Schiller, Anna Bolena non è quella di cui ci racconta Enrico VIII di Marie Joseph de Chénier, e così via. Ma, nonostante queste perplessità, mi piace sapere il più possibile dei personaggi che interpreto. Oltre alle opere da cui sono tratti i libretti, cerco di leggere i romanzi, le biografie, che li riguardano. Di Maria Stuarda ho letto anche gli atti del processo. E, in ogni modo, mi affascina molto anche il fatto che la loro vita reale sia in qualche modo controversa, enigmatica, proprio come nel caso delle tre regine o, per fare un altro esempio donizettiano, quella di Lucrezia Borgia.

Parafrasando l'Israele Bertucci del Marin Faliero, quel palco è trionfo per Bolena e Stuarda, che salendo al patibolo acquistano la grandezza del martirio e dimostrano una sublime magnaminità nei loro versi di perdono. Ascoltandole viene in mente la Cenerentola rossiniana: “E sarà mia vendetta il lor perdono”! Sono vincitrici, mentre Elisabetta appare sconfitta durante l'esecuzione di Devereux? Lei come vede il confronto fra questi finali, che ha anche affrontato consecutivamente in concerto? Quanto è labile il confine fra sincero perdono, sottile vendetta, rabbia, contegno regale, pentimento?

I tre finali sono accomunati dall’espressione “il sangue versato”, che mai come in questi casi corrisponde ai fatti. La scena finale di Anna Bolena è una scena di delirio estremo. Anna è ben consapevole di aver perduto tutto: trono e amore. Il suo è uno strazio pieno di rimpianti, di nostalgie, di rimorsi, di ambivalenza tra il desiderio di morte - come cessazione del dolore di vivere in quello stato - e terrore del patibolo. Il perdono di Anna verso “la coppia iniqua” è il frutto di queste emozioni complesse e anche il mezzo attraverso il quale ricevere a sua volta il perdono di Dio. Non sono, invece, così convinta che nelle parole finali di Stuarda ci sia il perdono sincero. Piuttosto la consapevolezza di essere lei la Regina oltraggiata nel suo ruolo, ma talmente Regina da poter determinare ancora il futuro della sua terra e di chi impropriamente -secondo lei -vi regna. Non è una invettiva, quella che Stuarda, salendo al patibolo, rivolge ad Elisabetta, ma è comunque un affronto. Mentre evoca il perdono, non manca di citare il rimorso da cui potrebbe (o dovrebbe) essere afflitta Elisabetta e il culmine della scena finale rimane il suo sangue, che tanto è innocente, e regale, da poter placare “l’ira del cielo sdegnato”. Si pone come tramite tra l’Inghilterra e Dio, come se il regno fosse il suo. E muore come una eroina romantica, sia da un punto di vista politico sia per le parole d’amore nei confronti di Leicester.

La scena finale di Devereux ci offre l’immagine di una Regina sconfitta sì, ma dalla sua stessa concezione di regalità onnipotente. Donna e Regina, in Elisabetta ha sempre prevalso la ragion di Stato, ma -nella trasposizione scenica di questo episodio -tanto è irremovibile e crudele nel decretare la morte del suo amato, quanto quella morte la trascina nel baratro della colpa, fino a far dissolvere insieme la Regina e la donna. Elisabetta, qui, muore d’opera, come si dice, per cui emozioni, sentimenti e stati d’animo, anche contrastanti, sono molto esasperati. Insomma tutti i dubbi contenuti nella sua domanda ci rimangono.

Il debutto in Anna Bolena è avvenuto nel magnifico allestimento di Graham Vick, un regista con il quale ha collaborato anche in altre occasioni. Per Elisabetta, invece, dopo il debutto a Marsiglia, ancora una volta sarà in scena in forma oratoriale. Qual è la differenza fra l'esibizione in concerto e una rappresentazione completa? Il suo rapporto con i registi?

Non ci sono molte differenze per gli interpreti, almeno per me. La fatica è la stessa. Direi che al sollievo di non dovere indossare vestiti spesso ingombranti, qualche volta costrittivi e comunque più o meno pesanti, fa da contraltare la mancanza della scena, che invece è di grande aiuto per chi sta sul palcoscenico. Il mio rapporto con i registi è di solito molto buono.

Il suo prossimo debutto, se non erro, sarà la regina Sinaide in Moïse et Pharaon, una parte che è generalmente affidata a mezzosoprani, per quanto acuti (dalla Verrett, alla Pentcheva a Pesaro, alla Ganassi alla Scala e a Roma...). L'aria era già presente nel Mosé in Egitto e lei aveva già interpretato Elcia, ruolo Colbran: cosa cambia nell'affrontare a distanza di anni il medesimo brano ma in un contesto diverso? Come trova la parte di Sinaide in generale? Non è mai stata tentata da Anaï e dalla sua aria, “Quelle horrible destinée”?

Non ho ancora studiato l’aria di Sinaide, quindi non posso essere precisa, ma la tonalità è la stessa di quella di Elcia, quindi … se ce l’ho fatta una volta, ce la farò anche questa!!! No, l’aria di Anai non mi ha mai tentato.

Altri debutti? Cosa ci riserva il futuro?

Non ho in mente altri debutti, almeno per il momento.

In concerto ha cantato "Vissi d'arte". Un semplice omaggio a Puccini o un sogno proibito? Abbiamo di recente applaudito la sua Liù in teatro, in recital arie le arie di Musetta, Magda, Lauretta... qual è il suo rapporto con questo autore?

Puccini non è un sogno proibito, canto soltanto le arie che mi interessano di più. Se vogliamo parlare di un sogno che sembrava proibito era il personaggio di Liù, che da parecchio tempo desideravo interpretare, per la linea melodica dolce e drammatica insieme, ma si è realizzato.

Di Verdi aveva preparato I lombardi alla prima crociata, poi un infortunio le impedì di partecipare alla produzione. C'è la speranza di ascoltarla nel ruolo completo? C'è qualche altra parte verdiana che inserirebbe in repertorio? Alice Ford ed Elena d'Austria, per esempio?

No, nessuna … speranza!

Nel suo repertorio figura anche Britten, con Les Illuminations: è interessata ad altri lavori di questo autore? In generale come si trova con la musica del XX (e, perché no, del XXI) secolo?

La mia esperienza con il contemporaneo è molto limitata. Ho cantato poco e solo di alcuni autori, Stravinskij, Britten, Petrassi e Rota; ho scelto opere che collimano con la mia vocalità quindi non ho avuto difficoltà, ma soddisfazioni. Comunque, almeno per ora, non ho intenzione di approfondire ulteriormente questo repertorio.

L’abbiamo vista recentemente impegnata in masterclass. Le piace insegnare? Qual è il suo giudizio sullo stato dello studio del canto al giorno d'oggi, quali i consigli e gli errori più comuni?

Sì, insegnare mi piace, anche se -stando a quello che ascolto -il panorama non è dei più rosei! I giovani, che vogliono intraprendere questa professione, dovrebbero fin da subito prestare la massima attenzione al repertorio e gli errori di scelta sono spesso conseguenza di una scarsissima conoscenza del proprio corpo e quindi dell’apparato respiratorio. Se non si lavora molto su questa base le difficoltà diventano insormontabili ed è pressoché impossibile anche trovare il repertorio adatto.

Grazie di cuore per la disponibilità e per la sua arte, e in bocca al lupo per il suo primo Devereux in Italia.


Vuoi sostenere L'Ape musicale?

Basta il costo di un caffé!

con un bonifico sul nostro conto

o via PayPal

 



 

 

 
 
 

Utilizziamo i cookie sul nostro sito Web. Alcuni di essi sono essenziali per il funzionamento del sito, mentre altri ci aiutano a migliorare questo sito e l'esperienza dell'utente (cookie di tracciamento). Puoi decidere tu stesso se consentire o meno i cookie. Ti preghiamo di notare che se li rifiuti, potresti non essere in grado di utilizzare tutte le funzionalità del sito.