Una nuova sfida
di Roberta Pedrotti
Il Teatro Coccia di Novara risponde al blocco dell'attività imposto dall'emergenza sanitaria con un'opera nata appositamente per le piattaforme online. Abbiamo chiesto agli interpreti e agli artefici di raccontarcela. Ecco, ora, le parole di Federico Pelle, esperto di tecnologie del suono e musica elettronica, che nella realizzazione di Alienati avrà un ruolo fondamentale.
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Per un'opera in smart working il tecnico del suono diventa una figura fondamentale, quasi un altro regista. Ci sarà anche una componente creativa nel suo lavoro?
Certamente, è una situazione del tutto nuova da molteplici punti di vista. Perché se è vero che siamo di fronte ad una cosa in sé “nuova”, da un altro punto di vista ciò di cui potrá fruire il pubblico avrá una “forma” conosciuta: ovvero un video, con una narrazione, dei personaggi, dei luoghi, dei colpi di scena. Il contenitore è conosciuto, il contenuto anche! Ciò che viceversa era sconosciuto è proprio il loro binomio ed è qui che il lato tecnico potrá avere una propria importanza. Se pensiamo ad un film, ad esempio, risulta chiaro come una traccia audio composta esclusivamente di dialoghi e musica non sarebbe sufficiente a permettere l’effetto” fusione”: sono necessari quegli elementi di Sound Design, come l’effettistica o la ricostruzione di fondali sonori (i c.d. Soundscape), per permettere allo spettatore di proiettarsi NELLA pellicola (Robert Bresson parlava di “Pellicola stregata” per definire quello che in quegli anni era un teatro filmato: il cinema). Ecco, questi sono elementi creativi e non semplici artifici tecnici.
Come interagisce con compositori, drammaturghi, regista, interpreti? Collabora alla creazione o interverrà durante la realizzazione effettiva?
Siamo di fronte ad una sfida, anche da questo punto di vista, giacché il tecnico diventa il compagno di viaggio per rispondere ai piccoli e grandi dilemmi: in fondo, dover spiegare in modo semplice una questione complessa come quella della buona qualitá della registrazione non è semplice. Per fortuna la tecnologia ci viene in soccorso. Oggi esistono categorie di microfoni molto versatili e relativamente semplici da utilizzare. In questo modo, insieme a Marco (Taralli) abbiamo individuato quella tecnologia che, in funzione della semplicitá d’uso, ci permettesse di ottenere un risultato comunque di livello. L’ulteriore sfida è stata quella di decidere che piattaforma software utilizzare in modo che tutti gli attori potessero “dialogare” la stessa lingua e in modo che anche io potessi aiutare tutti in modo piuttosto veloce. Il confronto è dunque su più livelli, costante e continuo. Anzi, direi che non è mai stato cosí “di squadra” come in questa produzione, poiché un cantante od un musicista non si sono mai dovuti porre nella posizione di dover affrontare questioni tecniche. In breve, ora mi sento più compreso!
Immagino che uno dei problemi più importanti sarà quello di riunire in un insieme omogeneo registrazioni effettuate con apparecchi diversi in luoghi diversi. Come state affrontando la questione? Quali altre sfide si presenteranno?
Ecco, la questione è spinosa ma in questo caso diciamo che esistono due risposte differenti: la prima è di carattere squisitamente tecnico, la seconda ha più a che fare con la psicoacustica. Dal punto di vista tecnico penso che le diversità, anziché appianate, vadano in qualche modo “esaltate”. Mi spiego meglio. Se i cantanti si trovano in ambienti domestici tra loro differenti, rendere tutti omogenei significherebbe appiattire le caratteristiche ambientali che il nostro cervello si aspetta da quell’ambiente: un bagno ha una diversa risposta acustica rispetto ad un salotto, così come una cantina rispetto ad una libreria. E qui interviene la seconda risposta, poiché per inseguire quella fusione di cui parlavo prima, il nostro cervello non può limitarsi alla sola “sensazione uditiva”, abbisognando anche di una percezione coerente, ovvero di un’interpretazione degli impulsi sonori che siano plausibili con ciò che l’occhio vede. Da questo punto di vista pertanto, rendere il tutto “omogeneo” non significa rendere ogni sorgente uguale alle altre, quanto piuttosto rendere ogni sorgente naturalmente immersa e credibile in quel particolare ambiente. Questo per evitare l’effetto “doppiaggio incollato” in uso negli anni ’70/’80 nelle serie televisive americane, nelle cui edizioni italiane gli effetti di sottofondo mancavano quasi del tutto (redazione del giornale con 50 giornalisti che battevano a macchina e si sentivano solo i dialoghi dei due soggetti sulla scena), prescindendo totalmente dall’ambiente in cui avveniva l’azione (il doppiatore ovviamente registrava in uno studio acusticamente trattato, ma in scena si parlava dentro l’auto, in ufficio, in garage, in una palestra etc., mancando di base un trattamento che diversificasse il risultato). Se pertanto io mi limitassi ad ammorbidire il suono delle voci, semplicemente aggiungendo del riverbero, allora avremmo la sensazione di guardare un video finché un CD è in play e questo non funzionerebbe.
Al momento io non sto ottenendo un risultato che in un contesto come questo possa essere soddisfacente. Un conto è la virtualizzazione di un’orchestra nell’ambito pop/rock, nella quale l’orchestra fa parte di un insieme altro molto complesso di strati di arrangiamenti. Altra cosa è avere un’orchestra protagonista insieme ad una o più voci soliste. Non è una questione meramente “acustica” o sensorialmente interpretativa (é vera o é finta?), ma soprattutto espressiva. I musicisti non sono sostituibili, non solo per il timbro ma anche e soprattutto per l’interpretazione, per ciò che di unico sanno dare attraverso il proprio strumento e come insieme coeso ed unico. Pertanto stiamo cercando di concentrarci su ciò che realmente serve all’opera piuttosto che farci sedurre dalla tecnologia che ci permetterebbe, certamente, di virtualizzare ogni strumento e pressoché ogni articolazione. Ma il fine non è quello di dimostrare che si possa avere una “vera” orchestra in ogni computer: no, non si può e lo dico da tecnico che lavora con le ultime tecnologie disponibili in uno degli studi più tecnologicamente avanzati oggi presenti in Italia. Viceversa, il Sound design diventa fondamentale perché, tornando al nostro “contenitore”, esiste una forma e questa formalità va rispettata. Non siamo in presenza di un’opera ripresa in teatro con tre o quattro camere e poi montate con alternanza di inquadrature strette o larghe, primi piani o piani lunghi. No, immaginiamo piuttosto una serie televisiva di stanmpo attuale: potrebbe bastare solo un cantato, accompagnato musicalmente, completamente privo di effettistica ed ambientazione? Il risultato sarebbe alquanto scadente e verrebbe meno quella forma di compartecipazione emotiva che il sound design è in grado di aggiungere ad una scena. Quindi, la domanda da porsi è un’altra, perché quella a cui stiamo assistendo è la nascita di un nuovo format, che prima di ALIENATI non esisteva.