L’Ape musicale

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IL PIANISTA È INGLESE

Quanto più lontano e a lungo un inglese si lascia il proprio paese alle spalle, tanto più vividamente riesce a rievocare le sue piccole bellezze e quiete armonie. La vastità di quasi tutti gli altri luoghi, in Europa o America, Africa o Asia, sembra acuire un senso di “inglesitudine” come spazio interno, contraddistinto da un particolare stato mentale qui catturato nel titolo di John Taylor. In un contesto creativo la condizione di incertezza tra due scelte si avvicina a ciò che il poeta Keats definiva ‘capacità negativa’, il saper reggere forze contrarie e ostili senza aver bisogno di una soluzione totale. Quindi gli inglesi incoraggiano la nostalgia nell’esplorazione, nell’esilio, talvolta nella colonizzazione. Vanno nel mondo e imparano i suoi linguaggi, ma non si liberano mai dagli accenti natii.

Taylor lavora all’estero da molti anni, non soltanto a Colonia come professore ma anche nel più reattivo ambiente europeo. ‘E pensare’ - ha detto un musicista, anche lui insegnante della generazione successiva - ‘che in Inghilterra ci sono giovani pianisti che non hanno mai avuto l’occasione di vedere John Taylor dal vivo...’, per giunta in un ambito musicale che deve le sue origini all’esperienza americana. Eppure, si capisce fin dalle primissime note di Ambleside Suite che a suonare è un inglese e che quest’inglese può essere solo John Taylor. Quell’impronta cosi familiare è come un marchio impresso sulla musica, un codice chiaramente percepibile come i crittogrammi musicali B-A-C-H o D-S-C-H. II fatto a che in Taylor trova accoglienza non solo un linguaggio jazz tinto di blues, ma anche il contrappunto classico, l’armonia convenzionale e la canzone vernacolare. Nessuno è mai riuscito a definire la sua “inglesitudine”. La sua musica non è “pittorica” e neanche “pastorale”. Non si riduce tutto semplicemente ad un limpido legato, come il flusso dell’acqua di roggia. Possiede nerbo ritmico, che scaturisce dal jazz, ma anche dal paesaggio che ha fatto da culla all’industria moderna. L’acqua di roggia, in fin dei conti, aziona il mulino. Ecco perché possiamo dire che John Taylor rimane ‘in bilico’. Evoca la campagna, ma vista dalla città. Il passato, con le orecchie del presente. La propria terra, ma da lontano. Arie natie, in ritmi e chiavi che ricordano i grandi del jazz. La nostalgia è un dolore legato al ritorno a casa. Non è la parola giusta da usare per Taylor che non interrompe il suo viaggio.

Brian Morton
Brian Morton, scrittore scozzese, giornalista e conduttore radiofonico, specializzato principalmente in jazz e letteratura moderna, e co-autore di The Penguin Guide to Jazz Recordings.

(testo tratto dal cd In two minds, Camjazz, 2013)


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