L’Ape musicale

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Alla fine della Rivoluzione, speranze e sogni di grandezza accompagnano la nascita del nuovo secolo: Parigi diventerà la nuova capitale musicale dell’Europa?
Tra la fine del Terrore e la caduta dell’Impero, la vita musicale parigina conosce due decenni cruciali, sia dal punto di vista dell’organizzazione sia da quello dell’orientamento estetico. Tuttavia, nella storia della musica europea questo periodo cardine è poco conosciuto, in quanto oscurato dall’imponente ombra di Beethoven; ma è necessario prenderlo in considerazione, se si vuole comprendere l’origine dell’ideale romantico francese e il modo in cui viene liquidato il lascito della Rivoluzione. Politicamente scandita in tre tempi – Direttorio (1795-1799), Consolato (1799-1804), Impero (1804-1815) –, quest’epoca è caratterizzata dal progressivo ritorno a un regime autoritario, gravido di conseguenze per la produzione artistica dell’epoca, tenuta sotto controllo, ma al tempo stesso portatrice di nuove opportunità, con la fondazione del Conservatorio e poi con la rivalorizzazione delle scene liriche, il ripristino della Cappella del sovrano e l’istituzione della “Musique particulière” dell’Imperatore. Peraltro, man mano che la difesa della Patria in pericolo si trasforma in desiderio di conquista universale, all’ambiente artistico viene affidata una duplice missione: assimilare i bottini di guerra nei territori occupati e diffondersi in tutta Europa.
All’epoca, solo un uomo era vivo in Europa; tutti gli altri cercavano di riempirsi i polmoni con l’aria che egli aveva respirato.

Alfred de Musset, La Confession d’un enfant du siècle


La grande scuola
Sotto l’Ancien Régime, il mondo musicale francese dipende quasi interamente dal sostegno della nobiltà e del clero. Destabilizzando questi due gruppi, la Rivoluzione sconvolge quindi le precedenti pratiche artistiche in tutta la nazione, ma propone una strada nuova: una musica di Stato, incaricata di educare il cittadino alle nuove idee e all’amore per la Repubblica, nel contesto di feste o sulle scene della lirica. Simbolo di tale evoluzione, il Conservatorio – fondato a Parigi nel 1795 – riunisce in un unico luogo l’essenziale delle forze musicali del Paese. Compositori e virtuosi vi formano una nuova generazione di artisti, in grado di rivaleggiare e addirittura di sorpassare gli allievi delle tirannie straniere. Un tale inedito sforzo finanziario produce ben presto i suoi frutti, permettendo alle orchestre parigine di stabilire un nuovo standard di eccellenza. Tuttavia, in mancanza di risorse e nonostante vari progetti presentati durante il decennio successivo, al di fuori di Parigi la creazione di questo genere di scuola fallisce, e ha così inizio una politica di estrema centralizzazione. L’influenza del Conservatorio, che all’epoca è la più grande scuola musicale d’Europa, si propaga piuttosto attraverso la diffusione dei metodi “ufficiali”: dal 1801 al 1814 vengono pubblicati quattordici titoli che propugnano un tipo di insegnamento moderno, basato su un approccio razionale e progressivo alle materie teoriche, vocali e strumentali.

La gloria dell’imperatore
Istituendo una musica di Stato, la Repubblica prepara il terreno alla propaganda imperiale, particolarmente sensibile sulla scena dell’Opéra. Il personaggio del leader militare – per lo più un generale romano o un eroe greco – vi è onnipresente, nelle opere come nei balletti. Consapevole dei benefici che ne può trarre, Bonaparte si adopera dal Consolato per ripristinare i fasti del primo teatro lirico della capitale, ordinandone la riorganizzazione amministrativa e controllandone il repertorio. Napoleone conferisce poi all’Opéra il monopolio sulla musica cantata integralmente in francese e le assegna risorse considerevoli. L’Accademia imperiale di musica – così come il Conservatorio – deve sfavillare sull’Europa intera, tanto per la bellezza del repertorio quanto per l’eccellenza degli interpreti e lo splendore degli allestimenti. Tale politica valorizza compositori francesi – in particolare Rodolphe Kreutzer, Charles-Simon Catel, Jean-François Lesueur, Henri-Montan Berton –, ma si appoggia anche su artisti stranieri. Mozart, che la Francia infine applaude con Les Mystères d’Isis, Paisiello e soprattutto Spontini brillano sul palcoscenico dell’Opéra e contribuiscono a modificare le linee estetiche di una produzione ancora molto influenzata dalla riforma gluckiana. La caduta dell’Impero trascina con sé la scomparsa di questo repertorio, ma riprese tardive segneranno profondamente i romantici come Hector Berlioz, che ammirò La Mort d’Abel nel 1823 o La Vestale nel 1852.
Ormai, desidero che nessuna opera lirica venga data senza il mio ordine.

Lettera di Napoleone al conte di Rémusat, 13 febbraio 1810


I salotti dell’Impero
Esiliati in Russia, in Inghilterra o nei territori germanici, gli aristocratici sopravvissuti alla Rivoluzione ritornano in Francia, portando con sé un gusto nuovo per i raduni musicali privati. La rinascita dei salotti musicali francesi, iniziata sotto il Direttorio, culmina sotto l’Impero e genera una produzione musicale assai varia, che spazia dalle romanze vocali con accompagnamento a brani molto elaborati di musica da camera. Anche i luoghi di esecuzione sono ugualmente numerosi e diversificati. Ingres ospita quartetti ogni venerdì al Jardin des Capucines e Sophie Gail riceve i cantanti in voga nella capitale. Il più brillante di questi salotti è indubbiamente quello del principe di Chimay, in rue de Babylone, che riunisce un’orchestra costituita dai virtuosi parigini più in vista, tra i quali i violinisti Kreutzer, Rode e Baillot, che a volte eseguono lavori di loro composizione. L’imperatore stesso organizza concerti privati alle Tuileries, soprattutto nel giorno del suo compleanno, il 15 agosto. Se in queste serate la preferenza va in genere alla musica vocale, l’imperatrice Giuseppina organizza invece alla Malmaison dei concerti settimanali dedicati alla musica da camera, che riuniscono i più grandi artisti parigini attorno all’arpa dei fratelli Nadermann e al corno di Frédéric Duvernoy. In questo periodo, nelle dimore della grande borghesia, numerosi sono i dilettanti ‒ uomini e donne ‒ che si dedicano alla pratica del pianoforte.

Qualche data
1795 – Fondazione del Conservatorio di Parigi
1801 – Nascita dell’Opera Buffa
1802 – Ripristino della Cappella consolare (poi imperiale)
1804 – Prima esecuzione del Requiem di Mozart a Parigi
1806 – Instaurazione di un nuovo regime di privilegi per i teatri
1811 – Inaugurazione della sala dei concerti del Conservatorio
1814 – Primi concerti pubblici di musica da camera di Pierre Baillot

L’Italia a Parigi
Mentre l’Opéra ha il sostegno dell’imperatore per ragioni politiche, lo sviluppo di una scena lirica italiana a Parigi è legato al gusto personale di Napoleone per la musica transalpina, nato sicuramente durante la sua infanzia in Corsica e consolidatosi dopo la campagna d’Italia. La presenza del belcanto nella capitale all’inizio del XIX secolo non è una novità: a partire dal 1752, una troupe di cantanti italiani si esibisce occasionalmente sulla scena dell’Académie royale de musique. Tuttavia, questo tipo di attività diviene permanente solo a partire dal 1801, sotto il nome di Opera Buffa, poi di Théâtre de l’Impératrice (nel 1804). Abituato a scoprire le opere straniere in traduzione, il pubblico parigino può ora ammirare i capolavori di Cimarosa, Paisiello, Paër e Mozart nelle loro versioni originali. L’occupazione del territorio italiano favorisce la circolazione delle partiture e degli artisti verso questo “Théâtre-Italien”, conferendogli l’atmosfera di un autentico teatro napoletano. Di fronte a un tale successo, la stampa dell’epoca si chiede: Che cosa si deve pensare di queste rappresentazioni che il pubblico affolla senza cogliere il senso immediato delle parole, non curandosi della povertà dei libretti? Ha senso apprezzare un’opera lirica unicamente per la sua musica? Nel cuore di questo focoso dibattito sorge la consapevolezza di un cambiamento estetico epocale, per cui la caduta del primato del testo apre la strada all’espressione musicale dei sentimenti.


 

 

 
 
 

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