L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

In tre verso la finalissima

di Daniele Valersi

Concluse le prove finali di musica da camera al Concorso pianistico internazionale Ferruccio Busoni: vanno in finalissima il russo Arsenii Mun, lo statunitense Anthony Ratinov e il giapponese Ryota Yamazaki.

BOLZANO. Il tempo presente sta cambiando i parametri della produzione e della fruizione della musica classica, in una realtà che è sempre più frenetica, commerciale, di breve durata, digitalizzata e di portata globale. Anche il più che prestigioso concorso pianistico “Ferruccio Busoni” è oggi di molto cambiato rispetto all’epoca della sua fondazione e a quella del lancio di giganti quali Jörg Demus, Martha Argerich, Garrick Ohlsson: non più interminabili audizioni preselettive in presenza, ora questa fase si svolge sulla base dei video e dei curriculum inviati, fase alla quale segue il “Glocal Piano Project”, nel quale i 110 pianisti selezionati si esibiscono dal vivo presso i 12 saloni Steinway e sono valutati sulla base della registrazione effettuata. Cambia anche la composizione della giuria, un tempo espressione di un’autorevolezza di tipo accademico, oggi includente personalità di competenza manageriale; analogamente, mutano i criteri che informano il giudizio, meno orientati a privilegiare una tecnica eclatante, più attenti al repertorio e alla personalità dei candidati. Facendo mente locale all’atmosfera appassionata, addirittura infuocata degli anni che hanno visto trionfare Roberto Cominati o Anna Kravtchenko, con finali e finalissime dal sapore di veri e propri duelli tra scuole contrapposte, le ultime edizioni fanno rilevare un clima del tutto diverso, molto più pacato. Cambiamenti in meglio o in peggio? Difficile esprimere un giudizio qualitativo convincente, saggio astenersene in questa fase in cui i tratti distintivi e la professionalità di un solista stanno evolvendo sensibilmente da un anno all’altro: alto sarebbe il rischio di incorrere in una sterile laudatio temporis acti di retrogusto nostalgico. A differenza delle edizioni storiche del concorso, la prova finale solistica comprendeva anche, obbligatoriamente, una pagina di Ferruccio Busoni e un brano contemporaneo scelto tra le opere commissionate dal Concorso “Busoni” e dal Concours International de Piano d’Orléans nel corso degli ultimi 10 anni, selezionate dalla direttrice artistica del concorso di Orléans Isabella Vasilotta con particolare attenzione alla varietà estetica e interpretativa. Tra tredici candidati che hanno affrontato la prova finale solistica del 64° “Busoni”, sono stati ammessi alla finale di Musica da camera Antonio Chen Guang, Ron Maxim Huang, Arsenii Mun, Anthony Ratinov, Zitong Wang (unica donna a passare la finale solistica) e Ryota Yamazaki, che, nelle serate del 29, 30 e 31 agosto, oltre a un quintetto con pianoforte eseguito insieme all’ottimo Isidore String Quartet (Adrian Steele e Phoenix Avalon intercambiantisi quale primo e secondo violino, Devin Moore viola, Joshua McClendon violoncello) si sono esibiti in un breve recital solistico con programma a scelta libera. Differenze di livello qualitativo tra i sei finalisti erano davvero difficili da rilevare, ciò che si notava erano piuttosto diverse personalità; i risultati migliori dal punto di vista del gradimento li otteneva il Quintetto n. 2 op. 81 di Antonín Dvořák (affidato a Ron Maxim Huang e a Zitong Wang), particolarmente favorevole a soluzioni intuitive d’insieme e ricco di suggestioni folcloriche soprattutto nel secondo movimento (Dumka). Da parte sua Anthony Ratinov, nei tre movimenti del Quintetto in Fa minore di César Franck, caratterizzati da un’agogica prevalentemente moderata, aveva modo di far risaltare la sua bravura, soprattutto in concomitanza delle frasi omoritmiche degli archi; Antonio Chen Guang suscitava grande entusiasmo non solo nella sala ma anche presso i suoi partner con un’esecuzione brillante ed energica del Quintetto op. 57 di Dmitrij Šostakóvič, dove per buona parte il pianoforte ha ruolo di conduttore. Nel Quintetto op. 34 di Johannes Brahms (interpretato da Ryota Yamazaki e da Arsenii Mun) si notava da parte degli archi qualche episodico affaticamento nel procedere e momenti in cui l’espressività veniva controllata invece che liberata: pagina dall’architettura complessa, dove le singole linee sono strettamente concatenate e complementari l’una con le altre, questo quintetto richiederebbe una formazione ben collaudata e affiatata, oppure semplicemente più tempo a disposizione per le prove. In ogni caso, oggi come un tempo, le aspettative della sala vengono spesso disattese dalla giuria, tenuta a valutare tutto il percorso di un artista e non solamente una singola prestazione, per quanto magnifica possa essere. Al termine della serata del 31 agosto la presidente dei giurati Ingrid Fliter proclamava Arsenii Mun, Anthony Ratinov e Ryota Yamazaki ammessi alla finalissima del 3 settembre al Teatro Comunale di Bolzano, nella quale saranno accompagnati dall’Orchestra Haydn di Bolzano e Trento. Poco prima della proclamazione abbiamo incontrato e intervistato Peter Paul Kainrath, direttore artistico del Concorso “Busoni” e presidente della World Federation of International Music Competitions.

Come valuta il livello dei candidati e lo svolgimento delle prove? È un livello particolarmente alto per le capacità pianistiche dei concorrenti di confrontarsi con le opere, un profilo artistico che può spiazzare chi è legato alla storia dell’interpretazione di un determinato autore o di un singolo brano. È lo specchio della realtà attuale, della società, che trova riscontro anche nella composizione della giuria, che possiamo definire polifonica, dove sono rappresentate diverse generazioni e diversi profili professionali. L’attinenza al periodo storico e alla partitura non è più un parametro dirimente, le nuove generazioni mettono altro al primo posto e questo trova conferma in quello che è un pilastro del concorso, la collaborazione con la Deutsche Grammophon Gesellschaft (Clemens Trautmann, CEO della DGG, è uno dei giurati, n.d.r.): gli artisti che ottengono un maggiore successo nel mercato discografico sono quelli che si esprimono con maggiore libertà.

Dal suo punto di vista, quali sono allora i criteri dirimenti per la valutazione?

Dobbiamo porci queste domande: il concorso è un meccanismo di controllo con impostazione di tipo storico al quale sottoporre un artista, oppure una porta verso il pubblico? È più importante una partitura oppure la persona che è sul palco? E la domanda principale che mi pongo è: che cosa possiamo fare noi per le nuove generazioni? Il concorso non deve essere una brutta copia dell’accademia: lì il controllo e l’impostazione storicistica sono legittimi, praticamente dovuti, in un concorso no, un concorso deve aprire piuttosto nuovi orizzonti. Oggi un giurato non ha verità assolute da affermare, si pone piuttosto delle domande e questa giuria è davvero straordinaria, per come si pone in relazione con le nuove generazioni. Quello che si valuta è la capacità di vedere un’opera e di colorarla in modo personale, anche discostandosi dalla storia dell’interpretazione di un dato brano.

In passato la partecipazione del pubblico era decisamente più appassionata, in edizioni memorabili del “Busoni” addirittura rovente, mentre oggi l’atmosfera in sala è decisamente tranquilla: a cosa si deve questo?

Sicuramente il pubblico è più preparato, più maturo; la reperibilità della musica è molto maggiore, chiunque ha una vastissima scelta persino sul proprio smartphone. Anche il pubblico ha capito che una verità assoluta non esiste ed è più sensibile a captare una gamma di toni grigi, piuttosto che solo il bianco o il nero: è meno condizionato di una volta, cerca di captare la personalità di un interprete.

Facciamo un pronostico: non le chiediamo un nome, ma se lei vede possibile l’assegnazione del primo premio.

Si, è senz’altro possibile. Come è stato per le ultime edizioni, ho visto che non vi sono grandi differenze tra i candidati e perciò fino all’ultimo non si potrà vedere chiaro. La giuria sta facendo un ottimo lavoro, tenendo conto delle personalità artistiche espresse, evitando ad esempio che la finale cameristica offuschi quanto emerso nelle precedenti sessioni; crediamo di avere la capacità di capire l’artista.


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