L'elisir dei brividi
di Gabriele Cesaretti
Una tracheite costringe Francesco Meli ad abbandonare la recita dopo il primo atto della prima, sostituito da Davide Giusti. Nonostante il cambio in corsa e la delusione per il debutto anconetano "a metà" del tenore genovese, L'elisir d'amore è un successo. Merito del bell'allestimento di Arnaud Bernard e di un cast che poteva contare sull'Adina di spicco di Serena Gamberoni e sull'esperienza di Bruno Praticò, ma soprattutto sulla bacchetta di Jader Bignamini, vero trionfatore della produzione.
ANCONA 31 gennaio e 2 febbraio 2014 -E pensare che l'opera tradizionalmente latrice di sventure a teatro è, da sempre, La forza del destino: il donizettiano Elisir d'amore che avrebbe dovuto inaugurare in letizia la Stagione Lirica 2014 del Teatro delle Muse di Ancona ha, invece, avuto una “prima” da brivido, stante l'improvvisa tracheite che ha colpito Francesco Meli, il quale (dopo un I Atto seguito con il fiato sospeso dal pubblico presente in sala) si è trovato costretto a gettare la spugna e lasciare il resto dell'opera, nonché la seconda recita, al giovane tenore marchigiano Davide Giusti. Molto emozionato la sera della prima, è apparso decisamente più tranquillo alla seconda recita, durante la quale ha messo in mostra le qualità di una voce dal timbro notevole e dall'estensione ragguardevole; anche il percepibile impaccio scenico mostrato da Giusti, a conti fatti, è risultato funzionale alla creazione di un personaggio timido e un po' disadattato, ma assolutamente non buffonesco. Un artista giovane e da seguire con attenzione, quindi, che ha ovviamente ampi margini di miglioramento (soprattutto nella gestione dell'emissione, non sempre a fuoco) ma che ha dimostrato invidiabile sangue freddo e una linea di canto pulita e precisa, con un fraseggio sensibile e comunicativo. Resta il rimpianto per il mancato debutto anconetano di Meli che si spera possa concretizzarsi nelle stagioni future dopo questo primo incontro
Trionfatore di queste recite donizettiane è stato, però, il direttore Jader Bignamini, che si conferma tra le più notevoli realtà della sua generazione: i tempi, innanzitutto, rinunciano finalmente al mito della “velocità a tutti i costi” (che oggi sembra andar tanto di moda in questo repertorio) per acquistare un bel dinamismo interno che scansa il sospetto della metronomia. Bignamini, poi, non ha paura di porsi al servizio delle voci senza risultarne prevaricato ma, anzi, guidandole in maniera amorevole quanto ferma, cercando di valorizzarle il più possibile; le sonorità, infine, sono sempre giuste e adeguate, senza eccedere in inutili clangori ma senza nemmeno perdersi in pp esangui e inutili. Una direzione eccellente, insomma, cui si perdonano volentieri alcune lievi sbavature ritmiche della prima recita (avvenuta nel comprensibile nervosismo dovuto alla malattia di Meli prima e al cambio del tenore in corsa poi) ovviamente ridimensionate nel clima più sciolto della domenicale. È piaciuto, soprattutto, l'aver saputo individuare il giusto clima (né serio, né buffonesco) di un'opera dall'equilibrio complesso e fragile.
Nel complesso buono il cast radunato per l'occasione: Serena Gamberoni, che rientrava sulle scene dopo la lunga pausa dovuta alla gravidanza, ha confermato i pregi di una voce di bel timbro, ben emessa e sicura in tutta la gamma, con un fraseggio spiritoso ma in grado di sottolineare con garbo anche i ripiegamenti interiori del personaggio. Bruno Praticò (Dulcamara) compensa i limiti di uno strumento vocale ormai usurato con la consueta verve scenica, mantenuta in quest'occasione sempre all'interno dei confini del buon gusto, conquistandosi il pubblico con la classe dell'artista consumato. Alexey Bogdanchikov (Belcore) è un giovane baritono che affronta la parte con discreta souplesse, ma l'interpretazione è fin troppo anonima e la performance vocale è limitata da una vocalità piuttosto ingolata, con una proiezione da rivedere. Fresca e frizzante al punto giusto la Giannetta di Marta Torbidoni.
Lo spettacolo di Arnaud Bernard, in coproduzione con il Circuito Lirico Lombardo, è molto semplice, elegante e dinamico: la vicenda è ambientata negli anni '50 e '60 del secolo scorso (come costuma assai spesso oggi) e le scenografie consistono in una serie di proiezioni che mantengono un clima da commedia frizzante in grado di coadiuvare perfettamente la direzione di Bignamini nello scansare il rischio del buffonesco in favore di una malinconia da commedia all'italiana quanto mai adatta alla musa donizettiana. Pubblico caldo e prodigo di applausi per tutti gli artefici dell'allestimento, con punte di particolare calore per la Gamberoni, Praticò, Bignamini e, ovviamente, Giusti.