L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

La certezza del suono

di Luigi Raso

Uto Ughi Plays Beethoven Violin Sonatas (Box 4 Cd)

Piano: Lamar Crowson (1926 -1998)

Etichetta: Sony Classical Masters

N° cat: 19075956262

Data uscita: 1 novembre 2019

Nell’anno in cui ricorrono i 250 anni dalla nascita di Ludwig van Beethoven (Bonn, 16.XII, 1770 - Vienna, 26.III.1827) la Sony rende omaggio al compositore tedesco pubblicando un box di quattro CD dal titolo Uto Ughi Plays Beethoven Violin Sonatas: non si tratta di una vera e propria novità, ma della riedizione, per la prima volta in formato CD, dell’incisione dell’integrale delle dieci sonate per violino e pianoforte realizzata da Uto Ughi al violino e Lamar Crowson (1926 -1998) al pianoforte.

Dal punto di vista squisitamente tecnico il box si segnala per l’eccellente qualità della masterizzazione, effettuata con le moderne tecnologie disponibili, e per l’omogeneità dei piani sonori tra i due strumenti, ad eccezione di qualche sporadico (Sonata a Kreutzer, per esempio) caso in cui il violino risulta essere eccessivamente in primo piano fonico rispetto al pianoforte. Insomma, la star del progetto è Uto Ughi e talvolta si avverte.

Questa integrale delle Sonate beethoveniane precede, dunque, quella del 1992 realizzata da Uto Ughi e dal pianista ungherese Tamás Vásáry, registrata nella splendida cornice cinquecentesca dell’Oratorio del Gonfalone in Roma e a suo tempo trasmessa dalla RAI in varie puntate: la visione interpretativa di Ughi non sembra mutare eccessivamente tra le due integrali. L’incisione che qui si recensisce ha il vantaggio di godere di una qualità fonica migliore.

Tornando all’integrale Ughi - Crowson, a colpire immediatamente l’ascoltatore è infatti proprio la qualità del suono del violino di Ughi: sempre caldo, dal timbro ora scuro ora luminoso, potente, tonante sulla III e IV corda. Una delizia per l’ascolto.

Sarebbe interessante sapere con quale dei due gioielli di Ughi - un Guarneri del Gesù del 1744 e uno Stradivari del 1701 denominato Kreutzer proprio perché appartenuto all’omonimo violinista dedicatario della famosa sonata di Beethoven - sia stata realizzata questa incisione: l’ascolto attento dei colori del violino (o dei violini?) è, quindi, uno dei motivi d’interesse di questa incisione e fonte dell’interrogativo: Stradivari o Guarneri?

Il suono di Ughi si adatta con spontanea naturalezza allo spirito delle sonate: è brillante nelle prime tre sonate op. 12, composte nel 1798 - 1799, che maggiormente risentono della lezione e codificazione mozartiana delle sonate per violino e pianoforte (in particolare K 454, 481 e 526), mentre tende a incupirsi, scurirsi e irrobustirsi per affrontare la Sonata n. 7 in do minore, op. 30 n. 2 del 1802, probabilmente la più “caravaggesca” per il contrasto tra luci e ombre del dell’intero corpus per violino e pianoforte di Beethoven.

Nel mezzo troviamo le iridescenti luminosità della Sonata n. 5 in fa maggiore, op. 24 “La Primavera” (1800 - 1801) e la monumentalità formale e sonora della celeberrima Sonata in la maggiore n. 9, op. 47 a Kreutzer (1802- 1803).

Dall’ascolto emerge buona intesa interpretativa tra Ughi e il pianista statunitense Lamar Crowson, considerato da Alfred Brendel come “uno dei più sopraffini pianisti di musica da camera” di quegli anni: i due “cantano” insieme con partecipazione e coinvolgimento gli andanti e gli adagi espressivi di cui sono disseminate le sonate.

Il fraseggio è sempre ben calibrato, all’insegna del rispetto delle indicazioni di Beethoven: il tocco cristallino e ben definito, il suono pieno e rotondo di Crowson si fondono con l’approccio genuino e immediato di Ughi: il violinista italiano affronta le sonate con piglio guerriero, a volte impetuoso (ad esempio, il primo tempo della Sonata a Kreutzer), dialoga con il pianoforte con leggiadria nel primo tempo (Allegro con spirito) della Sonata n. 3 op. 12; Ughi evoca atmosfere crepuscolari, dal tenue colore vespertino, con il sublime Adagio molto espressivo del secondo tempo della Sonata op. 30 n. 1: magnifico il colore del la ribattuto del violino che introduce il melanconico tema iniziale.

Stupisce, invece, che, dopo un primo movimento incisivo e improntato a un abbandono cantabile, risulti eccessivamente sbrigativo il secondo movimento, Adagio molto espressivo, della Sonata op. 24 “La Primavera”: a dominare è solo il suono rotondo e nitido del violino di Ughi, accompagnato svogliatamente da Crowson, poco incline alle sfumature.

Il primo tempo della Sonata op. 47 “a Kreutzer” diventa per Ughi e Corwson l’agone per un’accesa contrapposizione dialettica tra violino e pianoforte, che poi si stempera nell’idillio dell’Andante con variazioni dove a imporsi è ancora una volta il terso timbro del violino di Ughi; contrasti sonori dalle tinte corrusche tornano perentori nel demoniaco Presto del movimento finale. Ancora una volta Corwson sembra essere trainato dalla debordante vis interpretativa e sonora di Ughi: si è lontani - giusto per citare un pregevole esempio e per accennare a un paragone - da quell’allucinato duello tra titani che rispondono ai nomi di Gidon Kremer e Martha Argerich, interpreti, nel 1994, di una memorabile integrale beethoveniana.

Quella di Ughi e Crowson è senza dubbio una lettura di gran pregio, perfettamente figlia di un clima interpretativo di fine anni ’70, dominato ancora da certezze, votato al culto della ricerca del migliore dei suoni possibili, impreziosito da un vibrato tra i più incisivi e suggestivi del violinismo del ‘900.

Tuttavia, in questa integrale si avverte la mancanza di un pizzico di quella sulfurea conflittualità della coppia Kremer - Argerich, così come della macerazione sonora di ogni singola nota e lo scavo ossessivo nelle pieghe dello spartito che caratterizzano l’incisione, a suo tempo e al primo ascolto “spiazzante”, di Anne Sophie Mutter e Lambert Orkis del 1998.

Nell’anno dedicato alle celebrazioni di Beethoven - così attuale in questi difficilissimi giorni - quella di Ughi e Crowson è un’integrale che ha ancora da dirci e da ricordarci: una testimonianza di una visione interpretativa remota nel tempo ma non superata, rassicurante, che dà risposte piuttosto che porre domande.


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