L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Follie americane

 di Claudio Vellutini

Tornano Le nozze di Figaro alla Chicago Lyric Opera con un nuovo allestimento firmato da Barbara Gaines, regista specializzata in Shakespeare che in quest'occasione privilegia, però, esclusivamente gli aspetti sessuali e farseschi. Fortunatamente dal cast provengono quasi solo note positive, con la splendida Susanna di Christiane Karg e l'ottimo Conte di Luca Pisaroni.

A soli cinque anni di distanza dall’ultima ripresa di un vetusto allestimento di Sir Peter Hall, la Lyric Opera di Chicago ha deciso di aprire la sua 51. stagione con un nuovo allestimento delle Nozze di Figaro di Mozart affidandone la regia a una celebrità locale, Barbara Gaines, direttrice dello Chicago Shakespeare Theater. Lungi dal proporne una visione meditata e “shakespeariana” (e sì che il capolavoro mozartiano si presterebbe a un’operazione del genere), la Gaines sembra interessata esclusivamente al suo lato farsesco—coloratissimo e, in alcuni momenti, accattivante, ma anche unidimensionale e talora fuorviante. Non un’ombra, non un dubbio sembra avvolgere i protagonisti di una giornata che più che folle appare scatenata e vorticosa. Le turbe ormonali di Cherubino sembrano uno tsunami che travolge tutti i personaggi—a partire da Figaro, che nel misurare la camera si rivolge compiaciuto a Susanna facendole capire che “quarantatré” è la misura del suo membro maschile. Cherubino non è da meno. L’esecuzione di “Voi che sapete” gli causa un’erezione cui la Contessa — che durante “Porgi amor” si affoga di dolci per compensare la mancanza di appagamento carnale — ovviamente non è indifferente. Come da programma, il Conte non è che una versione adulta e rapace di Cherubino, mentre Basilio e Marcellina sono quella frustrata. In questa situazione la scaltra Susanna sembra sguazzarci con piacere, toccando e smanettando con nonchalance e poca innocenza. Il pubblico della Lyric —per una volta sorprendentemente giovane — apprezza con un coinvolgimento che mai avremmo sospettato in uno dei teatri più inamidati in cui mi sia capitato di mettere piede. Ma alla fine della serata rimane il dubbio se di tale coinvolgimento debba fare le spese l’opera di Mozart.

Note (quasi tutte) positive sul fronte vocale. La produzione costituisce il debutto operistico americano di Christiane Karg, che letteralmente fa faville nel ruolo di Susanna. Voce di bel colore, controllatissima e ben emessa, attrice scatenata ma mai volgare, la Karg riesce a restituire a Susanna con il canto quel tocco di umanità che la regia sembra voler sottrarre ai personaggi. Accanto a lei, trionfa giustamente il Conte di Luca Pisaroni, vero e proprio animale da palcoscenico ma anche vocalista intelligente e all’erta. Riuscendo a separare gesto teatrale e gesto vocale, Pisaroni garantisce al suo personaggio raffinatezza e forbitezza di canto. Adam Plachetka, invece, tratteggiava un Figaro di grande impatto. A differenza di Pisaroni, però, il basso-baritono ceco punta tutto sul proprio cospicuo patrimonio vocale anziché sugli interessi, così che la tirata misogina del quarto atto (complice anche la caratterizzazione sopra le righe voluta dalla Gaines) presenta più d’una forzatura. Ci è dispiaciuto rilevare che, al di là di una prova genericamente soddisfacente, Amanda Majeski non sembrasse a proprio agio nei panni della Contessa. La cantante, che in due diverse occasioni aveva scolpito una straordinaria Vitellia, in questo ruolo sembra giocare in difesa, vocalmente trattenuta e poco coinvolgente come interprete. Forse ciò spiega l’attrazione di questa Contessa per il Cherubino corretto ma senza poesia di Rachel Frenkel. Eccellente il trio formato dal Basilio insinuante del bravissimo Keith Jameson, dalla Marcellina gioviale di Katharine Goeldner e dal tonitruante ma mai volgare Bartolo di Brindley Sherratt. Dalle fila del Ryan Opera Center giungono ottimi elementi quali Bradley Smoak (Antonio), Johnathan Johnson (Curzio) e le due contadine cantate da Laura Wilde e Linsday Metzger. Più fuori posto ci è sembrata la prova di Hlengiwe Mkhwanazi, che, nonostante una voce promettente, ha restituito una Barbarina scenicamente spaesata.

In buca, l’ungherese Henrik Nánási ha affrontato la partitura senza porsi eccessivi rovelli intellettuali, preferendo una lettura lineare, dal passo sicuro, ma anche priva di momenti memorabili. L’orchestra della Lyric Opera ha risposto al suo gesto con professionale puntualità, mentre qualche scollamento si è registrato con il palcoscenico.

foto Todd Rosenberg


 

 

 
 
 

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