L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Rapsodia ungherese

 di Roberta Pedrotti

 

Gradito ritorno a Bologna del soprano ungherese Sylvia Sass, che in occasione della presentazione del suo ultimo libro offre un recital nel quale si può apprezzare, oltre all'indomita personalità, soprattutto la raffinata e appassionata qualità del suo impegno di musicista.

Guarda l'intervista a Sylvia Sass

BOLOGNA, 26 febbraio 2015 - Tornare ad applaudire una cantante come Sylvia Sass, che fu lodata da Mila, studiò con la Callas e lavorò con Bernstein, Solti, Schiff, incidendo anche diversi titoli verdiani – fra cui Stiffelio, consegnato per la prima volta in disco – con Gardelli, può risvegliare un nido di memorie. È indubbiamente così quando l'artista ungherese sale sul palcoscenico dell'Oratorio di San Rocco, fra gli affreschi mirabili di una delle più belle sale bolognesi, e si afferma con sicurezza e decisione, con la ferma convinzione che solo una primadonna innamorata del palcoscenico può avere. Si muove come in una recita, fissa negli occhi gli spettatori uno per uno. Già in quella Carmen che ne incorniciò la carriera teatrale dal debutto come Frasquita all'addio come protagonista, Sylvia Sass pone tutta se stessa, ripresentandosi con l'Habanera al pubblico bolognese che l'aveva salutata per la prima volta nel 1982 come Tosca.

Non si tratta però, semplicemente di un omaggio, di una vetrina sull'artista storica. O, meglio, lo è nella misura in cui non si ripiega sulla rievocazione della carriera, ma dispiega e conferma il valore più interessante della Sass, al di là anche delle sue virtù vocali: la sua preparazione e la sua curiosità intellettuale, la sua qualità di musicista. Il soprano ungherese ama profondamente il repertorio della sua terra e propone un viaggio breve e intenso nella musica vocale di Liszt, a partire proprio da Ne brany menya moj drug composto su versi di Alexey Tolstoj, cugino di Lev, poco prima della scomparsa e rinvenuto solo negli anni '70, quando la Sass per prima lo intonò e registrò insieme con András Schiff. Seguono Lieder in tedesco da Goethe, Schiller ed Heine in un percorso raffinato che include anche due brani pianistici, La predica di S. Francesco agli uccelli e S. Francesco di Paola cammina sulle acque) affidati alla bravissima Ryoko Tajika Drei e una parentesi wagneriana, con il sogno di Elsa dal Lohengrin, a ben evidenziare il legame artistico d'influenza e protezione fra suocero e genero.

Bis quasi commosso è una melodia ungherese a cappella, dedicata alle radici musicali della grande tradizione di Liszt e Bartok, ma anche alle autorità ungheresi (console e console onorario in primis) affettuosamente presenti in sala in rappresentanza di tutti i concittadini residenti in Italia. SegueO del mio amato ben” di Donaudy, quindi la serata è compiuta con la presentazione, a cura di Michele Guardo e corredata dalla proiezione di video e fotografie rari, dell'ultimo libro pubblicato da Sylvia Sass in collaborazione con l'Accademia d'Ungheria di Roma: Diedi il canto agli astri, dedicato con passione a una carriera rivissuta non con lo spirito della nostalgia, del ricordo e della celebrazione, ma – si assicura e si esplicita nella lettura di alcuni passi – soprattutto come riflessione sull'arte, la musica e i numerosi incontri che hanno segnato il cammino della Sass, dalla Callas fino agli allievi cui oggi si è consacrata con un'abnegazione ben ripagata dall'affetto dei giovani intervenuti per salutarla e riascoltarla.

Doveroso, infine, coinvolgere negli applausi più calorosi, oltre al Circolo Culturale Lirico Bolognese, che ospitava l'evento nella propria sede, tutti gli intelligenti promotori: il Consolato Onorario di Ungheria a Bologna, l'Associazone Culturale Italo-Ungherese e la Fondazione Istituto Liszt Onlus, sempre di Bologna.


 

 

 
 
 

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