L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Barocco bifronte

di Roberta Pedrotti

Per la stagione di Musica Insieme, Rinaldo Alessandrini offrono un bel programma in cui Bach e Vivaldi si specchiano in una sintesi di simmetrie, opposizioni e parallelismi. Fra pagine vocali e strumentali, sono queste ultime a convincere completamente. Flauto solista è Laura Pontecorvo, soprano Monica Piccinini

BOLOGNA 27 aprile 2015 - Un italiano e un tedesco. Un autore popolarissimo al suo tempo e uno dalla fama circoscritta in vita; fortune ribaltate in un lungo oblio solo di recente redento dal recupero musicologico per l'uno e per l'altro nell'ascesa al soglio di nume tutelare dell'idea stessa di dottrina musicale per almeno un paio di secoli. Un rapporto a distanza con la circolazione di materiali musicali, lo studio e la trascrizione di composizione dell'italiano da parte del tedesco.

Affiancare in un concerto Vivaldi e Bach appare, quindi, come atto del pari intelligente e naturalissimo, così come l'impostare il dualismo del programma anche sulla specularità di pagine vocali – nella medesima lingua, idioma colto e artistico per eccellenza all'epoca – ed esclusivamente strumentali di entrambi.

Dapprima alla rara cantata profana Non sa che sia dolore di Bach per soprano, flauto e archi (BWV 209, composta intorno al 1729) rispondono due concerti di Vivaldi non datati, quello in sol minore RV 156 per archi e quello in sol maggiore RV 438 per flauto e archi. Nella seconda parte è il Prete Rosso ad aprire, con Vengo a voi luci adorate, RV 682 per soprano e archi, successiva al 1734, mentre il tedesco chiude il cerchio con il Quinto Concerto Brandeburghese, quello in re maggiore BWV 1050 per flauto, violino, clavicembalo e archi.

Un programma bifronte, costruito su alternanze e rispecchiamenti, si rivela bifronte anche negli esiti, a tutto vantaggio della pura strumentalità.

Monica Piccinini, infatti, è rinomata specialista che, tuttavia, in questa occasione non ha pienamente convinto, né – nonostante l'abituale frequentazione – è risultato perfettamente a fuoco l'amalgama con il Concerto Italiano di Rinaldo Alessandrini nella cantata bachiana, in cui si è percepita una certa tensione e monotonia dinamica, nonché una tendenza degli strumenti a soverchiare la voce, presumibilmente per un'affinità non completa e immediata con l'acustica dell'auditorium Manzoni. Di certo, la Piccinini, anche nell'ambito del suo repertorio, non si segnalerà fra le interpreti più incisive quanto a volume, rotondità, proiezione e penetrazione, ma non è un limite significativo, anche perché il timbro compensa rifuggendo fissità sbiancate d'oltremanica in virtù d'una maggior dolcezza latina. Bisogna anche notare che, pur rifacendosi allo stile italiano, Bach mantiene una densità di scrittura ben diversa dal respiro vivaldiano, certo più propizio all'espressione vocale. Quel che più stupisce, invece, in un'interprete versata anche al '600 e, quindi, al puro recitar cantando, è la scarsa intellegibilità del testo, la latitanza di un fraseggio realmente mordente, vario, giocato sul valore poetico e musicale della parola. Peccato, perché le aspettative, per queste due cantate, erano più alte dal punto di vista artistico rispetto alla pur lodevole correttezza ammanitaci.

Viceversa le pagine strumentali convincono senza riserve. Qui il Concerto Italiano sembra muoversi con maggiore libertà anche dinamica e trarre ottimo profitto da un organico agile, a parti reali o poco più, senza ridondanze o esuberanze ritmiche e coloristiche, cui è preferito il gioco di nuances. Più acquerello che olio, più Tiepolo che Caravaggio.

La giustapposizione fra modo maggiore e minore dei concerti vivaldiani dà modo di apprezzare l'elegante e contegnosa declinazione degli affetti e il buon bilanciamento di sonorità e dinamiche. In Bach l'attenzione è fatalmente attratta dal cembalo di Rinaldo Alessandrini, dal suo virtuosismo signorile, dalla fluidità di un gesto rigoroso ma non serioso che sostiene benissimo i momenti di protagonismo senza però atteggiarsi a divo del Concerto. Anzi, la lettura del Quinto Brandeburghese non come antesignano e origine del concerto per tastiera solista e orchestra, ma come momento non teleologico dell'evoluzione della sinfonia e del concerto o concerto grosso permette di apprezzare pienamente con il cembalo il flauto e il violino soli. Esattamente come, nel Concerto in sol maggiore di Vivaldi avevamo ammirato il lungo duetto fra flauto e violoncello che costituisce il nucleo del secondo movimento, Andante.

Per il bis, ancora Vivaldi. Torna Monica Piccinini per il mottetto Nulla in mundo pax sincera, conferma di una piacevole eleganza, d'una fluidità d'insieme nel fraseggio vivaldiano, ma anche di un'eloquenza un po' troppo dimessa.


 

 

 
 
 

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