L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Il canto liberato

 di Roberta Pedrotti

 

Magnifico concerto dedicato ai settant'anni dalla Liberazione e al venticinquesimo dalla morte di Luigi Nono. Un ispiratissimo Roberto Abbado costituisce il perfetto fil rouge fra Il canto sospeso (1956) e la Terza di Beethoven (1805).

BOLOGNA, 7 maggio 2015 - Secondo Rabelais, Pantagruel, nelle sue peregrinazioni con Panurge e Frère Jean, attraversa il Mar Glaciale, teatro di una battaglia le cui voci sono rimaste ibernate dalla gelida atmosfera e tornano a vibrare anni dopo, allo sciogliersi dei ghiacci. I suoni si fanno corporei, eco di una realtà materiale già svanita, ormai autonomi, indipendenti, svincolati.

Così, dopo la Resistenza e la Liberazione, le parole ritrovate dei martiri e degli eroi, nascoste negli epistolari, sui muri dei campi di prigionia, negli anfratti delle sinagoghe, sono tornate a risuonare e da allora non hanno mai smesso, perché mai abbastanza saranno ascoltate. Forse perché, oggi, è impossibile intenderle senza provare un senso di intima vergogna: siamo degni dell'eredità di chi così nobilmente si è sacrificato per l'ideale di un mondo migliore?

Questo pensiero ci attraversa come un cuneo all'ascolto del Canto sospeso di Luigi Nono, proposto come uno degli eventi di punta del ciclo bolognese Resistenza Illuminata, esattamente alla vigilia del venticinquesimo anniversario della morte dell'autore.

Le ultime parole di condannati a morte della Resistenza europea si materializzano come liberandosi man mano da un limbo in cui era stato congelato l'estremo istante di questi uomini, donne, ragazzi, vittime ed eroi, figli, fratelli, innamorati, genitori. Permangono come sospese, sciogliendosi e fremendo di tutta la loro forza, accumulandosi nel moto impresso dall'incontenibile energia dell'ideale e dell'umanità che le innerva. Parole commuoventi e ferite, parole impregnate di dignità e sanguinanti. La musica di Nono possiede un'inaudita fisicità nell'esprimere il dolore, la violenza inflitti da uomini che stavano dalla parte sbagliata a uomini che stavano dalla parte giusta. Eppure non si tratta di una dignità ferita, ma di una dignità che dalle persecuzioni e dalle sofferenze non viene scalfita, anzi, emerge più forte, più nobile, più composta e convinta dell'ineluttabile giustizia della sua missione. Nella loro spazialità, nel loro deflagrare delle parole che riemergono dal tempo, si spezzano, decantano, si accumulano, le architetture sonore mostrano la compresenza della ferocia, del sangue, della violenza, dell'ingiustizia e della speranza, della dignità, dell'umanità, della fede in un ideale, in un mondo migliore, in un rigore morale e in un'etica superiore.

Le voci di Katharine Dain, soprano, Sonja Leutwyler, contralto, Hubert Mayer, tenore, e del coro del Comunale, con l'orchestra del teatro, rispondono alla bacchetta di un Roberto Abbado ispirato come non mai. Struggente, composto, capace di commuovere, suscitare la più profonda ammirazione, elevare le parole alate dei martiri della nostra Libertà, istillarci con pudore la reverenza di quell'esempio di cui siamo indegni.

Non posso dire se questa sarà stata la migliore serata della carriera di Roberto Abbado, ma di certo è stata la più bella, la più giusta, se così si può dire, a cui abbia assistito personalmente.

L'intimità sentita con questa musica, la conoscenza e l'affinità profonda, la coscienza elevata del messaggio di cui questo programma si fa latore si concretizzano in una lettura magnifica di Nono come di Beethoven, la cui Terza Sinfonia Eroica sembra il naturale contraltare etico del Canto sospeso, l'espressione universale di un moto politico, nell'accezione più autentica e bella del termine, che ha poi nelle lettere dei condannati a morte della Resistenza la sua espressione storica.

Al contenuto corrisponde la forma e questo Beethoven è tanto ispirato quanto elegante, netto, fraseggiato con gusto, antiretorico, nonché animato da un moto perpetuo perfettamente calibrato fra tensioni e distensioni, sì da far gustare tutta la bellezza della sinfonia come in un'unica arcata, un unico respiro. Un organismo compiuto, coerente, inscindibile, e pur distinguibile nelel sue parti e nei suoi rapporti minuti.

Senza dubbio evento degno delle celebrazioni della Resistenza e di Nono, in generale uno degli eventi di punta della proposta del Comunale per il 2015, sia per l'impegno culturale sia per l'esito artistico.

Calda partecipazione e buon successo, cui però non riusciamo a non accostare una postilla amara. Possibile che parte (circoscritta quanto perniciosa) del pubblico bolognese rifiuti preventivamente il repertorio ritenuto “contemporaneo” e non pago del proprio pregiudizio (ma il disinteresse individuale resta nel suo pieno diritto) disturbi deliberatamente con chiacchiere il prossimo? E sì che il teatro ha proposto, oltre a molte occasioni d'ascolto e un programma di sala più ricco del consueto, anche incontri convegni e conferenze; e sì che Nono dovrebbe essere autore ormai storicizzato, dal cui Canto sospeso ci separa all'incirca lo stesso lasso di tempo che separa Il barbiere di Siviglia dal primo Ring a Bayreuth; e sì che anche la novità assoluta meriterebbe ascolto e attenzione. E sì che, non solo a teatro, la buona educazione non dovrebbe essere considerata un accessorio.


 

 

 
 
 

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