L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

L'enigma del talento

 di Roberta Pedrotti

 

Il bel concerto di Jan Lisiecki, giovane dall'aspetto angelico e dal grande talento, a Bologna spinge a riflettere sul margine fra l'oggettività del valore del musicista, sulle sue scelte artistiche e su quel quid ineffabile che, fuori d'ogni ragionevole riflessione, distingue la personalità e il fascino di un interprete.

BOLOGNA 20 maggio 2015 - Bologna conosce bene Jan Lisiecki, che si esibì per la prima volta in Italia sedicenne al Festival di Santo Stefano del 2011 per poi tornare due anni dopo con l'Orchestra Mozart e Claudio Abbado (l'ultimo concerto italiano che diresse interamente, poi vi fu solo una serata a Lucerna) in sostituzione improvvisa di Martha Argerich. E Bologna è indubbiamente affezionata a questo ex enfant prodige, il cui maggior talento sembra quello di aver le spalle sufficientemente larghe – almeno così pare oggi – per sorreggere il peso di una natura così sfacciatamente generosa da potersi rivelare un'arma a doppio taglio.

Non è facile, infatti, essere un precoce astro della tastiera, per di più con lineamenti aristocratici, riccoli biondo dorato e occhi blu, fisico longilineo e voce – fortunatamente – baritonale, sì da sdilinquire ambosessi ad ogni apparizione. No, non deve essere per nulla facile mantenere l'attenzione sull'interprete e sul musicista, dimostrare di saper gestire le proprie qualità, di crescere con equilibrio, di diventare un uomo e non un cherubino invecchiato.

Lui, tutto concentrato nella sua musica, senza distrazioni, sembra proprio riuscirci, tanto che la maturazione negli ultimi anni è senz'altro apprezzabile; lo dimostra l'articolato recital offerto per Bologna Festival, con un programma articolatissimo, che spazia da Bach (e dalle sue trascrizioni busoniane) al polacco Paderewski (1860-1941), da Mendelssohn agli Studi di Chopin.

Suoni sempre pulitissimi, articolazione pressoché impeccabile, piena padronanza delle dinamiche sempre gestite con gusto, chiarezza di lettura metabolizzata nel dettaglio. Lisiecki è bravo. Bravissimo. Sicuramente uno dei migliori pianisti in circolazione, soprattutto fra quelli della sua generazione, per musicalità, tecnica, concentrazione, personalità.

Non tradisce un istante di stanchezza, un calo di tensione, adattandosi ad autori diversi e reggendo anche il presumibile stress di qualche brusio e squillo di cellulare di troppo in sala. Forse l'appello (pare dovuto ad alcune intemperanze di un adolescente durante uno degli ultimi concerti) rivolto espressamente ai ragazzi aderenti al benemerito progetto “Giovani in sala” per un educato contegno dovrebbe essere esteso anche a tanti adulti ed eleganti bolognesi abitué dei concerti. Non vogliamo essere troppo rigidi, un inconveniente o un colpo di tosse incontrollato può capitare a tutti, tuttavia ci sentiamo di comprendere più un ragazzo magari condotto dagli insegnanti ad ascoltare Bach senza troppa convinzione, senza essere stato motivato e interessato adeguatamente, rispetto a chi ai concerti si reca non per obbligo scolastico ma per abitudine sociale. Per fortuna, a mescolarsi agli appassionati, ci sono anche le piccole comitive di liceali che si affrettano a scattarsi foto ricordo davanti al piano nell'intervallo! Ecco allora l'entusiasmo genuino e diffuso, fra musicofili autentici di lungo corso e giovanissimi ben disposti e ben motivati. L'entusiasmo esplode nei copiosissimi applausi che incorniciano l'unico bis, un Notturno di Chopin debitamente annunciato come ormai pare non si usi più, ed è tutto meritato.

Insomma, di Lisiecki è impossibile non parlar bene e benissimo, ché anche l'eventuale imprecisione sarebbe comunque inserita in una lettura sempre equilibrata, con un gusto e una grazia che non sono mai leziose, ma sempre pertinenti, senz'ombra di abuso di tecnicismo o meccanicismo. Confessare allora che l'artista non riesce a entusiasmarci nel profondo non è, quindi, una critica, ma un riconoscimento alla sua personalità: grazie al cielo scriviamo di arte e oltre a dati pressoché oggettivi, di analisi meticolose di interpretazioni e chiavi di lettura, esiste anche quel limbo ineffabile, quel margine soggettivo e inafferrabile per cui l'artista, singolarmente, ci avvince o meno. Se così non fosse, ascoltar musica sarebbe meno interessante. Anzi, possiamo scegliere di seguire un artista proprio per sondare quella zona d'ombra così significativa e così difficile da esplorare che ci fa dire alla fine, senza alcuna logica razionale, se un'interpretazione ci ha toccati o meno.

Ridurre il giudizio, secondo l'odiosa formula televisiva, al banale “mi emoziona” è quanto di più svilente possa dirsi; al contrario riconoscere all'artista un quid ulteriore che vada al di là della tecnica o dell'evidenza delle scelte intellettuali e musicali (ma non le sostituisca o le preceda) è riconoscere il valore della sua personalità, ed è uno stimolo per il critico a non fermarsi ed esplorare, capire quell'infinitesimale variabile nel tocco che suscita un'infinitesimale – e fondamentale – variabile nella nostra reazione alla musica. E può anche darsi che non la si potrà spiegare, come non si potrà sempre spiegare il fascino o il carisma.

Per questo ringraziamo Jan Lisiecki e torneremo ad ascoltarlo, alla scoperta di quel quid.


 

 

 
 
 

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