L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Non è natale senza Schiaccianoci

 di Stefano Ceccarelli

L’appuntamento natalizio con Lo schiaccianoci di Pëtr Il’ič Čajkovskij è quasi una tradizione al Teatro dell’Opera di Roma. Qui si riprende l’allestimento dello scorso anno: la coreografia è affidata a Paul Chalmer, mentre la direzione ad Andrea Quinn. I ruoli principali sono danzati da Flavia Stocchi (Clara), Alessio Rezza (Schiaccianoci), Federica Maine (Fata Confetto) e Mattia Tortora (Cavaliere).

ROMA, 21 dicembre 2024 – Non è Natale senza Schiaccianoci. Un’affermazione talmente vera che a Roma, quest’anno, se ne possono addirittura godere due: quello del Costanzi e l’esecuzione, in forma di concerto, all’Accademia Nazionale di Santa Cecilia. Per il secondo anno di fila, il Teatro dell’Opera di Roma apre la sua stagione ballettistica all’insegna di Pëtr Il’ič Čajkovskij, ancora con Lo schiaccianoci. Per quanto riguarda la coreografia di Paul Chalmer e, più in generale, l’intero impianto della produzione, il mio giudizio rimane sostanzialmente quello già espresso nella recensione dello scorso anno (leggi la recensione), dalla quale riprenderò a piene mani.

Paul Chalmer sceglie uno Schiaccianoci narrativamente vicino all’originale čajkovskijano, con qualche licenza, soprattutto nella prima parte del balletto. Pur non obliando, certo, l’apporto della versione ‘psicologica’ di Nureyev o di altri allestimenti tradizionali di matrice russa – risalenti, quindi, comunque al modello originale di Lev Ivanov –, Chalmer cammina all’interno del sentiero della tradizione, per esempio, mantenendo divisi i ruoli di Clara e della Fata Confetto. Gioca, però, molto sulla fantasia nella prima parte: un movimentato mercatino di Natale e una spassosa scena famigliare durante la Vigilia di Natale in casa Stahlbaum vengono dirette con notevole maestria e senso del ritmo narrativo. In generale, si può dire che la versione di Chalmer sia riuscita e piacevole, benché alcune parti risultino più efficaci di altre. L’inizio dello Schiaccianoci lascia a bocca aperta, non solo visivamente, ma anche per il ritmo narrativo. Chalmer ha un certo qual gusto cinematografico per le scene mimiche: il Prologo, che si svolge nel mercato natalizio del paese, è una baraonda di gente che va e viene, con tante piccole scenette – la più divertente delle quali è quella in cui Drosselmeyer dona dei dolcetti ai bambini. La neve, opera delle proiezioni video (Renzetti-Bruno), è riuscitissima; in generale, la scenografia (Andrea Miglio) rinuncia all’opulenza tipica di un balletto come Lo schiaccianoci per concentrarsi sulle proiezioni video, che costituiscono di fatti l’impalcatura generale di tutte le scene – con effetti, sicuramente, più o meno riusciti, ma mai deludenti. Anche l’interno della casa degli Stahlbaum (atto I, scena I), i quali hanno invitato i loro amici e parenti a passare con loro il Natale, è ben pensato, con un enorme albero di Natale che fa da perno visivo, mentre le vetrate liberty sono proiettate sullo sfondo. Tutto il quadro è vivacemente animato dalla compagine maschile dei bambini, che si divertono a infastidire le loro coetanee con tiri da monelli (in questo caso si tratta dei giovani Allievi della Scuola di Danza, cui vanno i complimenti per l’ottima performance), come pure dalle poupées mécaniques, dono di Drosselmeyer. La narrazione prosegue con il sogno di Clara, protagonista lo Schiaccianoci. La guerra dello Schiaccianoci contro il Re dei topi è un altro momento clou della regia di Chalmer: il gusto cartoony non deterge completamente un sotteso senso dell’horror (per come era stato, del resto, immaginato dalla penna di H.T.A. Hoffmann) e i danzatori sono assai bravi nell’impersonare gli odiati topi. L’atto si conclude con un bel tableau in una foresta innevata e con il viaggio nel mondo dei sogni, qui reso con una mongolfiera che trasporta Clara e Schiaccianoci nel palazzo della Fata Confetto. Esaltazione dello stile liberty di casa Stahlbaum, il palazzo della Fata, quasi interamente realizzato con le proiezioni e assai poca mobilia, ospita la parte più tradizionale della coreografia di Chalmer, ovvero le danze del Grand divertissement ed il finale Pas de deux. Certamente, la parte più innovativa e divertente del II atto sono tre scimmie, attendenti della Fata confetto, che vivacizzano la scena con giochi, scherzi e schermaglie (applauditissime, peraltro, dal pubblico).

Il personaggio di Clara – che Chalmer lascia bambina, ben distinta dalla Fata, come prescritto dalla tradizione – è danzata da Flavia Stocchi, che riesce a conferirle freschezza ed ingenuità. Rispetto alle impressioni avute lo scorso anno, l’intesa con lo Schiaccianoci di Alessio Rezza, étoile del Costanzi, mi è sembrata un po’ meno riuscita: il breve pas de deux prima del passaggio al Valzer dei fiocchi di neve riesce a tratti poco fluido, specialmente nel timing delle prese e delle varie figurazioni. Per il resto, Rezza, grande professionista, dona una buona performance. Giacomo Castellana si muove con aristocratica eleganza nella parte di Drosselmeyer. A danzare la Fata Confetto è Federica Maine. Nel pas de deux del II atto, il pezzo più classico dell’intero balletto, riesce abbastanza bene, soprattutto nella parte finale, con i fouettés e le acrobazie di rito, che strappano sonori applausi al pubblico. Anche se parte forse un po’ rigida, la Maine interpreta la celebre Variation de la Fée-Dragée con grande professionalità, curando l’eleganza dei movimenti sulle punte e distinguendosi per armonici tours en manège e una buona diagonale. In particolare, l’intesa con il suo Cavaliere, qui danzato da Mattia Tortora, è ottima. Tortora è un danzatore fisicamente ben piazzato, ma capace di leggerezza dei movimenti, non certo scevra da una certa qual grazia. Morbida, aerea risulta, quindi, la sua Variation du Prince Coqueluche; ottimo l’Andante, dove l’intesa con la Maine si traduce in prese pulite, precise, talune di prodezza acrobatica. Veniamo ora al Grand divertissement. Se la danse espagnole è colorata e vivace, forse si sarebbe potuto fare qualcosa in più sia nella danse arabe (un po’ macchinosa nello ‘srotolamento’ della ballerina) e nella danse chinoise, dove il dragone occupa un po’ troppo spazio sul palco, togliendo possibilità ad uno sviluppo più organico della pur semplice coreografia (c’è comunque da dire che l’effetto del dragone è sempre divertente e piacevole). Molto meglio la più classica danse des mirlintons. Momenti straordinari, invece, sia per la resa coreografica che per quella scenica sono i due valzer. La Valse des floçons de neige, elegante, è incorniciata da una delicata nevicata proiettata su un bosco tinto di un intenso blu scuro, forse il tableau che rimane più bello, maggiormente impresso nella memoria dello spettatore; il Grand ballable (più comunemente noto come Valse des fleurs) si svolge sullo sfondo di una fiorita animazione delle vetrate liberty del castello della Fata confetto, mentre le ballerine danzano dolcemente, vestite di colori variopinti – i costumi, a firma di Gianluca Falaschi, sono di magnifica fattura e si apprezzano molto di più dall’alto, quando le gonne roteanti evocano le corolle floreali.

Forte di un’orchestra in ottima forma, Andrea Quinn dirige uno Schiaccianoci indimenticabile; di tutte le esecuzioni in teatro cui mi sia stato dato di assistere finora, quella di Quinn è la migliore, non solo per sensibilità cromatica, ma anche per varietà ed uso dei volumi – penso al vigore con cui sfrena l’orchestra nella battaglia fra i topi ed i giocattoli, o all’intensità delle ‘folate’ orchestrali nella Valse des floçons de neige, oppure anche ai passaggi più potenti dell’Andante del pas de deux finale. Naturalmente, la direttrice ha mano soffice per le sfumature: le molte, celebri pagine natalizie del I atto brillano con notevole effetto. Alla fine, il pubblico mostra festante apprezzamento per uno spettacolo oramai ben rodato e di sicuro effetto.


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