L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Il paradiso raggiunto

 di Irina Sorokina

La prestigiosa compagnia pietroburghese porta al Teatro Comunale Pavarotti di Modena una versione affascinante della Bella addormentata nel bosco di Čajkovskij.

Modena, il 27 marzo 2018 - Correva l’anno 1890 e la parabola romantica era esaurita da tempo portando il balletto al declino. In Europa sì, ma non in Russia dove il coreografo marsigliese Marius Petipa nella gabbia dorata dei teatri imperiali da decenni inventava le formule che ringiovanirono quest’arte tanto bella quanto effimera. Non per nulla viene considerato il padre del balletto classico.

Al direttore dei teatri imperiali Ivan Vsevolozhsky venne l’idea di rievocare i magnifici spettacoli di danza in voga presso la corte del Re Sole. Scrisse il libretto scegliendo come soggetto la famosa favola di Perrault La bella addormentata (sarà anche costumista della prima), commissionò la musica a Čajkovskij e la coreografia a Petipa. Da questa unione nacque un capolavoro che continua a portare gioia agli adulti e ai bambini, anche se in questa gioia è sempre presente una forte componente di timido rispetto.

La prima al Teatro Mariinskij il 3 gennaio 1890 (secondo il calendario giuliano) fu un mezzo successo. L’innovativa partitura čajkovskijana piena di lirismo quasi lacerante parve poco adatta alla danza, la storia scelta venne bollata come “favoletta per bambini”, lo zar stesso, perplesso, disse “molto carino”. Ci volle del tempo per capire che La bella addormentata era un capolavoro assoluto, una trionfante conclusione di un secolo di danza che è l’Ottocento, un’enciclopedia della danza classica.

Il mondo dell’ultimo Petipa si presenta nella Bella addormentata in tutta la sua radiosa bellezza. Archiviate le eroine romantiche irrangiugibili e longilinee, silfidi, villi e ondine, ecco la principessa più bella, buona e brava del mondo alla quale sei (!) fate portano i doni per renderla ancora più perfetta. Il male sì che si presenta nel personaggio della vecchia fata Carabosse, ma si sa che la morte annunciata verrà sostituita da un sonno lungo cento anni, e poi soltanto l’infinita felicità se non immortalità.

Vedere La bella addormentata non capita spesso anche se si tratta dei grandissimi teatri con delle immense risorse artistiche e materiali, come il Bolshoj di Mosca, il Mariinskij di San Pietroburgo o l'Opèra di Parigi. È troppo impegnativo affrontarla, richiede gli sforzi veramente notevoli da tutti i punti i vista. Non per nulla la partitura di Čajkovskij non viene mai eseguita nella versione integrale, ogni coreografo opera i tagli da lui ritenuti ragionevoli o necessari. Senza parlare del fatto quanto sia lontana dal mondo d’oggi la creatura del triumvirato Vsevolozhsky-Čajkovskij-Petipa.

Tuttavia i miracoli accadono e ognuno di noi ha una sua chance di vedere questo balletto unico al mondo, l’espressione più sublime del balletto classico.

Questa chance l'hanno avuta gli spettatori italiani grazie a un tour del Balletto Yacobson di San Pietroburgo, una compagnia di tutto il rispetto, non una di quelle itineranti che durante il periodo natalizio “deliziano” il pubblico a volte inesperto con infiniti Laghi dei cigni e Schiaccianoci. Una compagnia che porta il nome di uno dei più importanti coreografi dell’epoca sovietica, Leonid Yacobson, creatore del genere della miniatura coreografica e in possesso di un vero talento creativo. Visse una vita piuttosto difficile nell’Unione Sovietica, fu l’autore della prima versione di Spartacus di Aram Khachaturyan che qualche anno dopo divenne un’icona del balletto sovietico grazie al coreografo del Bolshoi Yury Grigorovich e agli artisti del calibro di Vladimir Vasilyev, Maris Liepa, Natalya Bessmertnova e Nina Timofeeva. Le sue creazioni, le cosiddette miniature coreografiche, colpirono per la ricchezza d’invenzione, un gusto raffinato, l’originalità. Lavori come il Trittico di Rodin, ispirate alle opere in marmo del grande scultore francese, rimasero indimenticabili.

Dopo numerosi conflitti con i rappresentanti del potere sovietico, nel 1966 ebbe la possibilità di avere una propria compagnia, il primo esempio non legato ad un teatro d'opera, ma ne diventò il direttore artistico soltanto tre anni dopo, nel 1969. Attualmente la compagnia porta il nome del Teatro Statale Accademico di Balletto “Leonid Yacobson” di San Pietroburgo e dal 2011 viene diretta dall’ex primo ballerino del Mariinsky Andrian Fadeev. Il repertorio è molto ricco e abbraccia i vari titoli celebri ottocenteschi, le creazioni di Yacobson e i coreografi contemporanei. Nell’attuale tournée italiana il Balletto di Yacobson delizia il pubblico con un Gala e La bella addormentata.

La cornice di questa Bella addormentata affascina l’occhio. Il famoso balletto viene da San Pietroburgo dove nacque all’allora direttore dei teatri imperiali Ivan Vsevolozhsky, un grande fan della cultura francese. L’attuale direttore artistico della compagnia di Yacobson ha chiamato Jean-Guillaume Bart, nominato danseur étoile proprio per la sua interpretazione del ruolo del principe Désiré nel balletto di Čajkovskij. La Francia per forza doveva essere presente nella produzione del Balletto di Yacobson. Felicemente presente, bisogna aggiungere: il prodotto finale è di un’estrema eleganza e di un gusto sofisticato. Il merito va alla scenografa e costumista Olga Shaishmelashvili che si è ispirata dalla pittura francese del Settecento. La cornice da lei proposta sono gli interni e i giardini del palazzo reale e il sottobosco nelle vicinanze dello stesso palazzo dove Aurora e la sua corte stanno dormendo da un secolo.

Le scene della Shaishmelashvili non si distinguono solo per la pennellata delicata e trasparente, i colori delicati, le linee sottili, ma soprattutto per la presenza d’aria, tanta aria. Tutto sul non grandissimo palcoscenico del teatro modenese appare incredibilmente disinvolto, tutto respira creando una sensazione di piacere.

Anche i costumi meritano grandi lodi, ispirati sempre all’arte francese, accarezzano l’occhio con il taglio raffinato e i colori a volte pastello, a volte brillanti. Tanti colori, ma sempre armonizzati tra loro. Un grande lavoro della sartoria che aveva il compito di creare non soltanto i numerosi e scintillanti tutù (la scelta del modello à cerclette li rendono particolarmente belli), ma anche le giacche e i pantaloni maschili, gli abiti femminili con panier, scarpette con tacco, parrucche, le cuffiette e i diademi. Ne viene fuori una vera festa per gli occhi.

Jean-Guillame Bart dichiara che di tutte le versioni de La bella addormentata, quella di Konstantin Sergeev, finora al repertorio del Mariinsky, è la sua stella polare. Infatti, non compie un attentato al mostro sacro del balletto classico, tratta La bella addormentata con un grande rispetto. Inserisce qualche “effetto speciale” che proviene dalla versione di Nureyev dell'Opéra, come i quattro principi di quattro diverse nazionalità nell’Adagio della Rosa. Introduce degli uomini: si sa, l’arte di Petipa fu dedicata esclusivamente alla bellezza e la grazia femminile, ma al passare di circa centotrenta anni molte cose sono cambiate e la presenza dei maschi non può che giovare al balletto. Quindi, le fate del Prologo arrivano ognuna col proprio cavaliere e i cavalieri eseguono un pezzo da soli. La parte di Désiré si arrichisce, oltre alla variazione nel Pas de deux finale, di un altro assolo nella scena della visione. La fata cattiva, Carabosse, Bart la preferisce femmina, bella e giovane (nell’originale di Petipa questo ruolo fu affidato a un grande ballerino italiano, Enrico Cecchetti). Una cosa curiosa e simpatica, che fa un po’ sorridere, è un “pre-prologo” sulla musica dell’Introduzione, che ha lo scopo di spiegare le radici dell’odio che Carabosse nutre per il re Florestano. Una volta il giovane re la privò delle sua terre, e la povera Carabosse fu condannata alla vita senza dimora e tanta soffrenza. Questo pre-prologo non disturba molto; viene realizzato per via del pantomima e si svolge dietro il cancello. Un’altra cosa che fa sorridere e, forse, non inventata da Bart, sono i nomi delle fate buone del prologo: Fata della Grazie, del Coraggio, della Generosità, della Bella Voce, del Temperamento. Evidentemente, non si crede il pubblico abbastanza acuto per apprendere i veri nomi delle fate: Candide, Coulante. Fleur de Farine, Miettes qui tombent, Canari qui chante, Violente.

La compagnia, tutt’altro che grandissima, assolve il compito arduo a essa affidato con onore.

Ci sono nella storia del balletto delle ballerine di cui arte viene associato con i ruoli di Giselle nel balletto omonimo, Odette/Odile nel Lago dei cigni o Giulietta in Romeo e Giulietta. Ma non ce n’è una di cui la personalità e la bravura vengano associate al ruolo di Aurora. Le si sono avvicinate Irina Kolpakova, Larissa Lezhnina, Viviana Durante, delle ballerine d’oggi, forse, Lauren Cuthbertson. Alla Bocharova che interpreta Aurora nella versione di Bart per il Balletto di Yacobson non appartiene a questo breve elenco. È una giovane forte, precisa, dotata da una solida tecnica. Esegue con grande sicurezza le difficili sequenze coreografiche previste dal mitico ruolo, ma manca una delicata femminilità. Il suo principe, Andrey Sorokin, possiede un fascino necessario per Désiré, con una leggera sfumatura fanciullesca, balla con passione e disinvoltura, è un partner abile e delicato. È penalizzato appena dalla statura non proprio altissima.

Sono magnifiche le interpreti dei ruoli della Fata dei Lillà e Carabosse, Svetlana Svinko e Angelina Grigoreva; la prima, radiosa, in possesso delle linee grandi e “cantanti”, la seconda, dinamica ed elegantissima, molto diversa dalla Carabosse che siamo abituati a vedere, grazie a una spiccata a maliziosa femminilità.

Le interpreti dei ruoli delle fate buone del prologo e quelle delle pietre preziose nel terzo atto, Yana Chernovitskaya, Anna Skvortsova, Sofia Matyushenskaya, Olga Mikhailova, Nana Kurauchi, Galina Yanovskaya, Ekaterina Yalynskaya sono in grado di onorare l’arte di Marius Petipa, vero inno alla bellezza femminile.

Una grande gioia per gli occhi e il cuore è la sfilata dei personaggi delle favole nel terzo atto, spesso “mutilato” se eseguito dalle compagnie itineranti non in possesso delle risorse artistiche necessarie (del resto, succede anche ai corpi di ballo stabili). La pricipessa Florine e l’Uccellino Azzurro (Sofia Matyushenskaya e Kirill Vychuzhanin), la Gattina bianca e il Gatto con gli stivali (Nuria Kartamyssova e Leonid Khrapunsky), Cappuccetto rosso e il Lupo (Daria Belova e Igor Yachmenev), Cenerentola e Principe Fortuné (Santa Kachanova e Aidar Bikbulatov) portano lo spettatore nel mondo fantastico del coreografo marsigliese, dove il Bene vince sempre e il paradiso viene finalmente raggiunto.

Gli interpreti dei ruoli dei principi che partecipano esclusivamente nell’Adagio della Rosa, Alexander Blend, Grigory Ivanov, Vadim Smorodin, Alexander Mikhirev, brillano per l’eleganza e una sofisticata arte di partnering. Superlativo e divertente Andrey Gudyma nel ruolo del disgraziato Catalabutte e magnifici Sergey Davydov e Svetlana Golovkina, Re e Regina.

Il francese naturalizzato russo, Marius Petipa, il creatore e il simbolo del balletto classico, infelice e brontolone nella vecchiaia, canta l’inno all’eterna giovinezza, glorifica la donna come la creatura perfetta e ci porta nel paradiso. Come non credergli?


 

 

 
 
 

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