L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

william eddins e simone rubino con l'orchestra rai

Caleidoscopio americano

 di Alberto Ponti

William Eddins ritorna a Torino con un inedito programma di autori legati agli Stati Uniti

TORINO, 22 aprile 2016 - Esistono concerti davanti ai quali non si hanno termini di paragone: ogni parte del programma costituisce una scoperta. Da queste serate normalmente si esce o con quell’entusiasmo che solo una rivelazione può dare o con la promessa a se stessi di ritornare con più calma su musiche che al primo ascolto hanno suscitato più di una perplessità.

È questo il caso del concerto diretto a Torino giovedì 21 e venerdì 22 aprile dall’americano William Eddins, presenza sempre gradita nei cartelloni delle stagioni Rai, che abbiamo apprezzato anni fa in una memorabile interpretazione dei Vier letzte Lieder di Strauss con Barbara Hendricks e in una più recente apparizione (2012) tutta dedicata al jazz.

Questa volta i brani in scaletta, tutte prime esecuzioni all’auditorium di via Rossini, spaziavano tra il Novecento storico e il contemporaneo, iniziando con il concerto per percussioni e orchestra Frozen in Time (2007) del compositore Avner Dorman (1975), israeliano di nascita ma attivo soprattutto negli Stati Uniti, dove insegna in Pennsylvania presso il Gettysburg College. Il pezzo, secondo le indicazioni dello stesso autore, vuole essere una storia degli sviluppi geologici del pianeta dalla preistoria ai giorni nostri, traendo spunto dai ritmi originari delle tre grandi regioni indoafricana, eurasiatica e americana che danno il nome ai movimenti dell’opera. Complice il bravissimo percussionista Simone Rubino (1993), giovanissimo talento già lanciato in una carriera internazionale e che farà certamente parlare di sé negli anni a venire, la partitura infiamma con il suo procedere veramente tellurico un pubblico non numeroso ma assai preparato, con una folta presenza di studenti di conservatorio. Al di là della indubbia bravura del solista, a cui vanno tutti i meritati, lunghissimi applausi, il lavoro di Dorman dà l’impressione di essere un prodotto molto ben confezionato per suscitare l’approvazione delle platee internazionali, come confermano le oltre trenta esecuzioni in tutto nel mondo solo dal 2013 ad oggi, senza rivelare tuttavia l’impronta veramente creativa di un musicista di livello superiore. Accenni ben dosati al jazz, alle danze rituali africane, ma anche alle forme più cristallizzate della tradizione occidentale, come il movimento centrale costruito su un tempo di siciliana che rimanda esplicitamente ad alcuni memorabili tempi lenti mozartiani, sono amalgamati in un’orchestrazione fluida e incandescente, non priva di eleganza e tutto sommato abbastanza tradizionale, memore forse più di esperienze hollywoodiane che del linguaggio più avanzato della musica d’oggi. Eddins dirige in modo generoso, accompagnando il gesto delle braccia con il movimento di tutto il corpo, trascinando l’Orchestra Sinfonica Nazionale in un turbine di suoni che alla fine conquista, come da pronostico, anche gli spettatori più tradizionali e prevenuti nei confronti del contemporaneo.

Dopo l’intervallo, sono stati eseguiti dapprima lo schizzo coreografico Facsimile (1946), composizione tra le meno note di un giovane Leonard Bernstein (1918-1990) che, con un linguaggio abbastanza convenzionale, anticipa tuttavia a sprazzi la vena più ispirata del futuro autore di Candide e West Side Story e, infine, la sinfonia n. 1 (1942) di Bohuslav Martinů (1890-1959). Musicista ceco naturalizzato statunitense, autore di una vasta produzione soprattutto cameristica, Martinů compone l’opera su invito del direttore Serge Koussevitzky, a capo della Boston Symphony Orchestra dal 1924 al 1949. Il lavoro, strutturato nei canonici quattro movimenti, rivela, mantenendosi entro i confini di uno stile ancorato alla tradizione, capacità non comuni di sviluppo tematico, strumentazione e organizzazione del discorso alternando fasi di stampo lirico a episodi più concitati. Eccellente assimilatore delle esperienze di alcuni più geniali predecessori (da Dvořák a Rachmaninov), questo compositore meriterebbe una maggior frequentazione in ambito concertistico. I musicisti della Rai traggono il meglio da una partitura che, pur non raggiungendo lo status di capolavoro, li impegna seriamente con una scrittura assai virtuosistica, sempre dominata dalla capacità di lettura di Eddins, riuscendo alla fine assai gradevole nel suo linguaggio brillante e cosmopolita.


 

 

 
 
 

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