L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Pesaro, auditorium pedrotti

 Nel cerchio delle voci

 di Roberta Pedrotti

Sofisticato e intrigante, l'appuntamento con pagine cameristiche di Rossini e di cantanti a lui vicini ha impreziosito il fitto calendario di eventi del Festival pesarese.

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PESARO, 16 agosto 2016 - C'è un salotto sul palco dell'Auditorium Pedrotti: un pianoforte, quattro leggii, un tavolino con due coppie di sedie, bicchieri, acqua (mentre si canta l'alcol è poco consigliabile) e un bel portafrutta, forse ricolmo di acini e pomi di cera, com'era uso dell'oculatissima padrona di casa Olympe Pelissier. Questo, infatti, potrebbe essere un angolo di casa Rossini, luogo di ritrovo del Nostro e dei cantanti a lui vicini, primi interpreti, amici, congiunti e, nondimeno, musicisti rifiniti al punto di dilettarsi con la composizione con esiti anche pregevoli.

L'appuntamento 2016 con il concerto mattutino del ciclo Rossinimania, di volta in volta dedicato a volti meno consueti, a omaggi d'autore, a rivisitazioni ed esplorazioni intorno all'opera del genius loci, è intitolato Il cerchio magico, con preciso riferimento a un ideale, eletto, consesso artistico rappresentato da una folta, e spesso poco nota, produzione di pagine cameristiche. Giocando su affinità di testi, contenuti testuali e musicali, si alternano pezzi rossiniani con altri a firma di Maria Malibran (1808-1836), Isabella Colbran (1784-1845), Joséphine Fodor-Mainvielle (1789-1870), Felice Pellegrini (1774-1832) e Pauline Viardot-Garcia (1821-1910).

Anche senza ascoltare capolavori,  le creazioni dei cantanti emergono talora per qualità e peculiarità degne d'indubbio interesse: ne sono esempio le ariette della prima moglie di Gioachino, che mettono in luce una salda preparazione di vecchia scuola, un modo di trattare la melodia, la voce e l'accompagnamento che potrebbe far pensare a qualche pagina meno nota di Mozart, Cimarosa, Paisiello, Martin y Soler o di un loro contemporaneo. Fra queste, peraltro, spicca una “Ch'io mai vi possa lasciar d'amare” che anticipa, e certo influenza, la scelta del testo della rossiniana La promessa (ma Isabella fu, fra i coniugi, la prima a musicare il metastasiano “Mi lagnerò tacendo”).

A differenza della Colbran, la Fodor – ispiratrice della versione sopranile d'autore del Barbiere di Siviglia – mostra già un gusto più moderno nell'incipit pianistico, che pur tuttavia si fa essenziale quando il canto prende il sopravvento.

L'unico uomo, ovviamente oltre a Rossini, in locandina è Felice Pellegrini, anche l'unico del quale si ascolti un brano con una precisa dimensione teatrale, trattandosi di un duetto per Clarice e il Conte Adrubale equivalente, ma non testualmente identico, a quello “dell'eco” nella Pietra del paragone. Si ascoltano uno dopo l'altro il brano rossiniano e quello di Pellegrini (che affida Clarice a un soprano e non fa riferimento poetico all'effetto acustico, bensì a un misterioso omaggio di fiori e bigliettini): quest'ultimo non avrà il medesimo spirito e la stessa ispirazione, ma non sfigura dimostrando una scaltrita e aggiornata padronanza del linguaggio compositivo dell'opera buffa.

Vi sono poi, a un capo e all'altro del cerchio, le due sorelle Garcia, Maria Malibran e Pauline Viardot. La prima compare nelle vesti di autrice di una finissima, ispirata barcarola, la seconda chiude il programma con una delle sue composizioni più tipiche, la rielaborazione vocale di un brano strumentale: se più note sono le romanze su temi di Chopin, questa Les Bohèmiennes su danze ungheresi di Brahms centra ancor meglio il bersaglio, con i suoi vorticosi ritmi di czarda che gustosamente rammentano atmosfere da operetta viennese.

Ciascun pezzo richiama alla quotidianità musicale dei tempi di Rossini, a ridestare il clima artistico in cui era immerso e a ricordare la naturalezza con cui i più rinomati interpreti sapevano intingere la penna di fronte a un pentagramma. Inoltre, e cosa non meno importante per chi s'interessi di storia della vocalità e di prassi esecutiva, offre preziosi indizi sulla cultura musicale, sul gusto – e quindi anche su competenze e preferenze in materia di variazioni cadenze e fraseggio – delle grandi voci contemporanee a Rossini, che domina sornione là dove, in ogni caso, le sue opere risplendono sempre di luce propria fra i pur degnissimi lavori d'altre firme.

Nel nostro salottino dall'acustica accogliente e favorevole siedono, appropinquandosi di volta in volta al piano di Carmen Santoro, Ruth Iniesta, Cecilia Molinari, Matteo Macchioni e Marko Mimica. Il soprano aragonese conferma le belle qualità che ce l'hanno fatta apprezzare nel Viaggio a Reims dell'accademia lo scorso anno [leggi], nella Donna del lago in questi giorni [leggi]: voce ben emessa e proiettata, duttile e morbida. Cecilia Molinari, da parte sua, mette in luce una musicalità elegantissima, una vocalità di mezzosoprano (non di contralto) dalle risonanze piacevolmente naturali, libera e scevra da ogni artificio timbrico. Matteo Macchioni non elettrizza, almeno al momento, per qualche qualità innata, ma dispiega con buon gusto la sua freschezza tenorile fraseggiando con belle intenzioni, indubbia sensibilità e ricerca di un canto il più possibile sfumato e vario. Marko Mimica ci piace più che nella Donna del lago: il suo strumento è importante, ricco e ben timbrato, anche se forse più versato al teatro – e destinato con ogni probabilità al Romanticismo – che non al gioco in punta di fioretto dal canto da camera, cui presta comunque con profitto il sapore intenso delle sue risonanze gravi.

Fra quartetti, duetti e arie, gli applausi scandiscono questa raffinatissima oretta di musica, benché parte del pubblico non sembri cogliere appieno l'intelligenza del programma e la bella occasione proposta da Rof di scoprire un repertorio ricco quanto interessante.

Una nota a margine: se il calendario degli Incontri organizzati di concerto con la Fondazione Rossini fosse stato meno fitto, avrebbe di certo ben figurato una conferenza dedicata a questo interessantissimo programma. Compensano almeno in parte le righe, sempre appassionate quanto competenti, di Sergio Ragni, benché un riferimento preciso sulle date di composizione dei vari pezzi, quando possibile, sarebbe stato certo gradito.

foto Amati Bacciardi


 

 

 
 
 

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