L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

juraj valcuha e stefan jackiw

Incanti ed incendi

 di Alberto Ponti

Grande prova dell’OSN Rai in una memorabile Terza di Prokof’ev

TORINO, 4 novembre 2016 - Anatolij Ljadov (1855-1914) rimane un enigma nella storia della musica russa. Compositore di tecnica raffinatissima e di profonda ispirazione, rifiutò molte commissioni di prestigio e produsse solamente, verso la fine della sua esistenza, una manciata di brevi poemi sinfonici, ad arricchire un catalogo non vasto formato in massima parte da miniature pianistiche.

Il lago incantato op. 62 (1909) appartiene a questa estrema fase creativa e Juraj Valčuha non poteva scegliere pagina più suggestiva ad aprire il concerto che lo ha visto, giovedì 3 e venerdì 4 novembre, ritornare per la prima volta in questa stagione sul podio dell’Orchestra Sinfonica Nazionale.

Fin dalle battute d’esordio siamo trasportati in un clima di leggenda fuori dal tempo, con i rintocchi della celesta a sovrastare un morbido tappeto di semicrome degli archi. Valčuha, con sovrana maestria, evoca in punta di bacchetta i vapori che salgono dalle acque, fino alla loro magica dissoluzione in un canto contenuto di oboi e clarinetti. E’ la visione di un attimo, poi tutto ritorna ad essere avvolto dalla sognante atmosfera iniziale.

La grande orchestra che in Ljadov freme e sussurra può liberare tutto il suo potenziale esplosivo nella Sinfonia n. 3 in do minore op. 44 (1928) di Sergej Prokof’ev (1891-1953), eseguita in chiusura di programma.

L’opera, che solo in tempi abbastanza recenti ha raggiunto una certa diffusione in sala da concerto, è, nel suo genere, uno dei più impressionanti traguardi del ventesimo secolo, anticipando di sette anni un altro lavoro capitale come la Quarta di Šostakovič.

La compagine della Rai dà un prova superba per coesione ed intensità drammatica in una partitura di difficilissima esecuzione, in cui la densità armonica e timbrica raggiunge vertici che allo stesso autore parvero non replicabili. Il direttore slovacco da par suo restituisce agli ascoltatori di oggi tutta la potenza visionaria di una costruzione musicale che al tradizionale sviluppo sostituisce un’iterazione tematica cangiante e febbrile. La sua lettura, smagliante per nettezza di profilo nei due tellurici movimenti estremi, appare ancor più esaltante per la singolare empatia con tutta l’orchestra nel geniale scherzo (Allegro agitato), che sembra quasi anticipare, con mezzi tradizionali come i glissati e i cromatismi degli archi, calati in una scrittura di caleidoscopica e chirurgica precisione, esperienze della più ardita musica elettronica contemporanea.

Meno convincente, in un’esecuzione per il resto di assoluto riferimento, è invece l’unica oasi lirica dell’Andante, con la sua mesta melodia (tratta, al pari degli altri temi della sinfonia, dall’opera teatrale L’angelo di fuoco completata nel 1927) lasciata fuggire senza troppa personalità, quasi si obbedisse alla semplice necessità fisica di trovare un momento di riposo delle forze in mezzo alle fatiche dei tempi veloci.

Tra tante inquietudini del primo Novecento era inserito un capolavoro rasserenante come il concerto per violino in mi minore op. 64 (1844) di Felix Mendelssohn-Bartholdy (1809-1847), con solista il trentenne statunitense Stefan Jackiw.

Presentatosi sulla ribalta mondiale una decina di anni fa come un’autentica rivelazione, egli ci è apparso un violinista dall’eccellente intonazione, accoppiata a una baldanza tutta giovanile anche nei passi più virtuosistici, superati con stupefacente naturalezza, ma dal suono piuttosto ombroso. La sua interpretazione di questa celebre pagina si stempera così in un effetto di chiaroscuro che da un lato rinvigorisce di un pathos drammatico il canto spiegato dei primi due tempi ma dall’altro penalizza il finale, dove la danza leggera dipinta dal pennello di Mendelssohn richiede un tocco di solarità che Jackiw, nonostante l’invidiabile purezza dell’arcata, non riesce a conquistare.

Il pubblico dell’auditorium Toscanini tributa generosi e meritati applausi, premiati da un’esecuzione fuori programma del Largo dalla terza sonata per violino solo di Johann Sebastian Bach.


 

 

 
 
 

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