L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Angela Meade e Michael Spyres

Finalmente Ermione

 di Giovanni Andrea Sechi

Presentato in forma di concerto, il raro titolo rossiniano infiamma il pubblico parigino (scatenato come non mai). Esecuzione ideale premiata da un’accoglienza calorosissima: standing ovation per Alberto Zedda, consenso unanime per le prime parti della compagine vocale, capeggiata da Angela Meade (Ermione), Michael Spyres (Pirro), Dmitry Korchak (Oreste). A fronte di artisti tanto ispirati e di un tale concorso di pubblico ci si chiede perché il Rossini napoletano sia eseguito così di rado.

PARIGI, 15 novembre 2016 - Imperdibile per il melomane viaggiatore era la presente esecuzione dell’Ermione al Théâtre des Champs Élysées. Imperdibile proprio a causa della rarità di ascolto di questo titolo (si contano su due mani le esecuzioni in forma scenica allestite dal 1987 in poi). Ermione condivide con le altre opere napoletane di Rossini la medesima sorte sfortunata; si dice che la loro assenza dai cartelloni dei teatri sia causata dalla mancanza di interpreti (le parti scritte per Isabella Colbran, Giovanni David, Andrea Nozzari sono senz’altro le più onerose concepite dal Pesarese). Ma la maggior frequenza con cui si vede un Otello o una Donna del lago rispetto a Ermione o a Zelmira (tutti creati dagli stessi interpreti) smentisce tale asserto. È innegabile la difficoltà delle parti vocali nel Rossini napoletano: tuttavia andrebbe sfatata quell’aura mitica che le circonfonde. Viviamo in un momento storico in cui mancano non le forze artistiche capaci di padroneggiare questi ruoli, bensì le occasioni in cui tali forze si incontrino e vengano coordinate in maniera rigorosa (la presenza di Alberto Zedda è una parziale garanzia, in questo caso). Come dimostra il presente concerto, comporre un cast per l’Ermione non è impossibile, anche a costo di guardare un po’ più in là dell’alveo delle voci strettamente rossiniane, vere o presunte.

Dedita al repertorio belcantista, ma raramente a quello rossiniano, è stata finora la carriera di Angela Meade, qui nel ruolo del titolo (relativamente recente è il suo approccio alla parte femminile protagonista del Guillaume Tell; leggi la recensione). Il debutto come Ermione, frutto di una sostituzione (La Coruña, Festival Mozart, 2015; sempre con Zedda sul podio) si conferma oggi una scelta felicissima. Il soprano statunitense ha dalla sua una voce importante per ampiezza, flessibilità e volume. Qualche puntatura e qualche corona di troppo nella Gran scena («Essa corre al trionfo!») forse farà storcere il naso ai rossiniani: licenze esecutive che sortiscono, però, l’effetto desiderato, a giudicare dalla tensione che si avverte in sala. Nonostante si percepisca un'estraneità originale, la sua lettura del ruolo è assolutamente encomiabile grazie alla musicalità istintiva e alle variazioni coraggiose. Pochi soprani oggi potrebbero rendere giustizia a Ermione come la Meade, che mai semplifica, anzi fa ancor più onerosa la parte vocale. A fronte di un impegno tanto esibito, si può dunque soprassedere alle occasionali approssimazioni nella dizione e nelle agilità di forza.

L’altra parte monstre del titolo rossiniano è quella di Pirro. Quando ci si approccia al repertorio baritenorile rossiniano, la pietra del paragone è senz’altro Chris Merritt (ben sei volte Pirro: Pesaro 1987, Madrid 1988, Napoli 1988, Roma 1991, Buenos Aires 1992, Bruxelles 1995). Chi potrebbe oggi accostarsi a lui per carisma, o almeno per l’estensione prodigiosa?

Michael Spyres, ancora fresco del concerto fiorentino dedicato proprio a Nozzari [leggi la recensione], si conferma interprete di riferimento in questo genere di ruoli. Il suo Pirro è una lezione di stile: si apprezzano in Spyres la compostezza dell’esecuzione, la cura del fraseggio e la spontaneità del porgere, né l’interprete si risparmia in grave o in acuto (talvolta lambito con qualche sforzo, come nel duetto «Non proseguir! comprendo»). Nella sua interpretazione, il lato amoroso del personaggio emerge con maggiore nitidezza. Non è però meno autorevole e regale il figlio di Achille quando intona la temibile aria «Balena in man del figlio». A fronte di una prova tanto riuscita, ci si chiede quali parti rossiniane conquisterà Spyres nei prossimi anni. La speranza è che non abbandoni un sentiero nel quale il suo contributo è impagabile (si potrà sperare in un futuro Antenore nella Zelmira, per esempio?).

Prova discreta ma non del tutto persuasiva per Dmitry Korchak (Oreste). Nella scena di sortita («Reggia aborrita») l’amante disperato di Ermione sembrerebbe un serio nemico per Pirro: la voce del tenore russo è ricca, discretamente agile e risolta in acuto. Tuttavia, nei numeri successivi, la poca flessibilità del suo strumento e la difficoltà a sfumare diventa evidente. Decisamente censurabile è l’intonazione nel duetto con Ermione («Anime sventurate»), che passa inosservato, eseguito com'è con scarsa convinzione.

Corretta è la prova di Eve-Maud Hubeaux (Andromaca). Tale parte contraltile non mostra il miglior lato della sua vocalità, ma nelle variazioni il mezzosoprano francese si impone per lo slancio e la sicurezza in acuto (e lascia intendere quali siano le sue vere qualità: potremmo immaginare una sontuosa Léonor de Guzman in un possibile futuro?). Le eventuali colpe, tuttavia, non vanno addotte all’interprete: non si capisce perché anche in questa sede si ricorra a voci di ambito praticamente sopranile per una parte che richiederebbe un maggior peso nella tessitura medio-bassa.

Anche un piccolo ruolo può far la differenza quando si trova un interprete di lusso come Enea Scala (Pilade). Pur avendo già affrontato la parte di Pirro in altra sede, il tenore siciliano non si risparmia in questa occasione con puntature e variazioni ottimamente disposte. Pilade ritorna a essere l’amico appassionato e fedele a Oreste, e non un semplice pertichino.

Corretto e funzionale è l’apporto di Josefine Göhmann (Cefisa), Patrick Bolleire (Fenicio) e André Grass (Attalo). Merita un distinguo Rocio Perez (Cleone) che ‑ nonostante qualche puntatura audace ‑ fa sperare in futuri esiti più maturi.

La longevità artistica di Alberto Zedda (classe 1928) sarebbe già di per sé una notizia. Ancor più eccezionale è che alla sua età calchi il podio con tanta energia. Ben lontana dalle due disastrose produzioni di Madrid e Napoli nel 1988 (con Montserrat Caballé nel ruolo eponimo) è la sua attuale lettura dell’Ermione, ispirata ed entusiasta, venata di una certa solennità nella narrazione. La scelta dei tempi è ottimale, ed è ottima la coesione tra forze strumentali e vocali. Fa sorridere il fatto che ‑ col passare degli anni ‑ l’integerrimo studioso rossiniano sia più permissivo con gli interpreti (come l’aggiunta del Do acuto al termine del Finale primo). L’unico neo della serata è il brutto taglio nella scena II del secondo atto. Dal recitativo di Andromaca («Sia compiuto il mio fato») si passa direttamente a «Essa corre al trionfo!» con Ermione sola sulla scena per tutta la prima parte (si tralascia il breve alterco tra Andromaca, Cleone, Ermione e Fenicio: «Ove, fatal nemica»). Perché privare il pubblico del tanto atteso scontro tra le due rivali? Intendiamoci: l’integralità di un’opera seria del primo Ottocento non è un feticcio, ma una questione di onestà esecutiva. Un taglio di appena trenta secondi di musica - e di un momento così incandescente sotto il profilo drammaturgico - sarebbe condonabile al musicista inesperto, ma non all’autorità indiscussa del repertorio rossiniano.

Ottima prova per l’Orchestra e il Coro dell’Opéra National de Lyon, nella consueta coproduzione con il Théâtre des Champs Élysées. Un connubio fortunato che ha visto, in anni recenti, altrettante esecuzioni pregevoli di titoli rossiniani come Otello, Semiramide, Zelmira. In questa sede le forze strumentali e vocali rispondono con sollecitudine, né si perdono mai di fronte al gesto un po’ frusto del direttore.

Nel complesso un’esecuzione ideale, premiata da un pubblico calorosissimo accorso da tutta Europa. Quando si mette insieme una compagnia di canto di tale livello, e una guida tanto esperta, l’esito della serata è sempre garantito: ancora elettrizzato, il pubblico esce da teatro col sorriso ancora stampato sul viso.


 

 

 
 
 

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