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Euridice nel Paese delle Meraviglie
di Suzanne Daumann
Una serata di rapimento, champagne musicale, dolca ebrezza che non lascia postumi per l'indomani – cosa chiedere di più per la più nota operetta di Offenbach?
NANTES 29 novembre 2016 - Ascoltando questa o quella versione del mito di Orfeo, che sia di Monteverdi, Gluck o Telemann, ci si domanda talvolta se Euridice non avrebbe fatto meglio a restare nel regno di Plutone. Chissà, avrebbe anche potuto trovarsi bene, dopotutto. Con Crémieux e Halévy è così che vanno le cose: Euridice ha una relazione con il pastore Aristée, che altri non è che Plutone, che finisce per portarsela via con sé. Orphée se ne fa tranquillamente una ragione, giacché nemmeno lui era un modello di fedeltà. Tuttavia, l’Opinione pubblica lo spinge alla ricerca della soposa. Passando per l'Olimpo, dove gli dei vivono la loro vita quotidiana, si arriva nell'Ade. Euridice è rinchiusa nel boudoir di Plutone e si annoia a morte. Contesa fra marito e amante, alla fine ne sceglie un terzo e diviene Baccante.
Questa deriva irriverente è puro Offenbach, ritmato, stuzzicante, leggero senza cadere nella superficialità.
La serve con aplomb e cura minuziosa Laurent Campellone con l’Orchestre National des Pays de la Loire, e con una compagnia gloriosa.
La messa in scena di Ted Huffman colloca il tutto in un Grand Hotel, stile anni Trenta, ammobiliato in stile greco. Una vasta sala ospita di volta in volta la stanza in cui si svolge il primo atto, quindi l'Olimpo in una sorta di sala conferenze, infine l'Inferno nel bar. È il grande ascensore sul fondo, quasi un personaggio a sé, che collega tutto. Queste scene e questi costumi geniali si devono a Clement & Sanôu e al loro staff e meritano già da soli una standing ovation.
Il coro è il personale dell’hotel, valletti e cameriere; Euridice e Orphée sono in tenuta casual, clienti come gli altri. Tutto fila liscio, con i personaggi centrali che si presentano e spiegano la loro situazione. L’Opinion publique arriva per prima. Il mezzosoprano Doris Lamprecht l’incarna alla perfezione, sa gestire intonazioni talvolta aspre, sempre con severità, senza perdere musicalità e tornitura d'emissione. Euridice è interpretata dal giovane soprano Sarah Aristidou, pieno di grazia, nella voce e nella figura. Domina le colorature ironicamente esagerate con agio e spirito gioioso. Il Orphée, il tenore Sébastien Droy dalla bella voce calda e naturale, è un bamboccio un po' rompiscatole con il suo violino. Le cose cominciano a farsi più drammatiche quando mette una vipera in un vaso di fiori ed Euridice si fa mordere. L’orchestra segue questa drammaturgia e prende uno slancio che non si arresterà fino al finale. Il pastore Aristée svelerà la sua vera identità come Pluton, libererà una criniera di stoffa sotto il kepi da valletto e rapirà Euridice nel suo reame di tenebre. Nel secondo quadro, presso gli dei dell'Olimpo, tutto assume un aspetto diabolicamente assurdo. Gli dei sono personaggi dorati, paffuti e adagiati nel loro regno celeste di eterne storie d'amore e gelosia. Pluton soltanto si distingue, porta ora un lungo mantello nero in tessuto leggero con larghe maniche, su un completo blu e nero e stivali in stile punk. Sulla sua schiena, un paio d'ali di piume e ossa si apre talvolta, seguendo i suoi movimenti. È seguito da tre Cerberi, interpretati con brio da tre figuranti che meritano una lode particolare: Alban Gérôme, Antoine Orhon, Benjamin Thomas. Mathias Vidal interpreta questo Pluton, e si dedica animo e corpo alla gioia di interpretare figli ribelli e angeli caduti. La voce è calda, chiara, intensa e la sua presenza scenica assolutamente impressionante. Con assoluta discrezione, questo cantante è uno dei migliori che la Francia vanti oggi. Voci divine si nascondono anche nei costumi assurdi e accattivanti della famiglia olimpia. Baritoni meravigliosi come Franck Leguérinel, un po' più grave e gioviale quale rubicondo Jupiter, e Marc Mauillon, più leggero, che ha lasciato la musica barocca per spassarsela come magnifico Mercure magnifique in quest'Olimpo barocco. Soprani le dee dorate Diane – Anaïs Constans, Vénus – Lucie Roche, Minerve – Mathilde Nicolaus e Junon – Edwige Bourdy sono dolci, scintillanti e un poco simili. Jennifer Courcier, infine, realizza un Cupidon adorabile, un autentico putto barocco. Tutto ciò è delizioso e ci si diverte terribilmente, sulla scena come in sala.
La seconda parte riseva ancora altri tesori. Il sipario si leva sul terzo quadro, Euridice s’annoia tutta sola al bar dell’hôtel. Un certo John Styx, servitore di Pluton, appare e le fa la corte. Ha l'aspetto di un porcospino (in francese porc-épic) e il tenore Flannan Obé lo rende effettivamente epico: dolce di voce, affabile di sguardo, semplicemente affascinante. Euridice tuttavia non è di questo avviso e lo respinge. Si nasconde. Jupiter e Cupidon la scoprono e il re degli dei recita ancora alla seduzione animale e si trasforma in una mosca d'oro. Euridice è irretita dal suo charme. La nuova coppia beve un bicchiere al bar finché non arriva il resto del cast al gran completo, il ritmo incalza, la tensione cresce ancora di un grado. Orphée reclama la liberazione della sua sposa, Pluton giunge con altri servitori – o si tratta degli animali feroci e normalmente si dice siano ammaliati da Orfeo? In ogni caso, ecco un gioioso serraglio di rane, aragoste, aironi per il nostro più grande entusiasmo. Pluton e Orphée si disputano la Bella, Jupiter taglia corto: ella può tornare sulla terra, a condizione che Orphée non si volti verso di lei lungo il cammino. Ecco dunque una via d'uscita per entrami: lui si volta, lei può restare e diventare Baccante. Tutto è bene quel che finisce bene: è festa e il famoso Can Can. Gli applausi e le acclamazioni esplodono, il Can can risuona anca e ancora, e se ci fosse stato posto in sala il pubblico si sarebbe unito ai festeggiamenti.
Una serata di rapimento, champagne musicale, dolca ebrezza che non lascia postumi per l'indomani – cosa chiedere di più ?
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foto Jef Rabillon