L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Alì Baba e gli allievi dell’Accademia

 di Valentina Anzani

Le belle voci dell’Accademia per un’opera dimenticata di Cherubini alla Scala.

Milano, 1° settembre 2018 – Opera data per la prima volta al teatro della parigina Académie Royale de Musique del 1833, l’ultima partitura teatrale di Luigi Cherubini, Ali-Baba ou Les quarante voleurs fu poi quasi dimenticata. Fu però messa in scena nella traduzione ritmica italiana al Teatro alla Scala nel 1963 (Alì Babà e i quaranta ladroni), ed è questo stesso libretto ad essere riesumato oggi sul medesimo palcoscenico per il Progetto Accademia 2018, che per il secondo anno consecutivo – dopo Hänsel und Gretel di Humperdinck – mette nel cartellone scaligero un’opera affidata agli allievi – non solo ai solisti, ma anche al coro, all’orchestra e ai ballerini – dell’Accademia del Teatro e che si configura come un’importante opportunità di misurarsi con il palcoscenico (e il pubblico) scaligero diretti da Paolo Carignani e con la regia di Liliana Cavani.

Nelle eleganti scenografie (di Leila Fteita) e nell’ambivalenza delle fogge dei costumi (di Irene Monti) si individua la volontà della regista di individuare l’attualità in un racconto altrimenti interamente ambientato in un cronologicamente o geograficamente non meglio identificato “oriente”.

Durante l’Ouverture ci vengono presentati i personaggi in un mondo occidentale: giovani, impegnati in studi superiori o universitari, sono liberi di amarsi. Si passa poi alle atmosfere di un mondo arabo che oscilla tra quello contemporaneo e quello vago e sognato del soggetto originale, tradizionalmente associato al corpus di racconti delle Mille e una notte. Qui essi vestono costumi arabi, veli e copricapi, e la matassa della trama si dispiega tra numerosi contendenti di Delia, interessi economici e manovre politiche. L’intreccio circonvoluto risulta però dispersivo, e l’ampia gamma di registri – dal tragico al comico – che il soggetto fiabesco comporterebbe (e pur presenti nella partitura di Cherubini), emergono dall’allestimento confusi e incerti.

Numerosi sono i personaggi: il ricco mercante Alì Babà (Alexander Roslavets), la di lui figlia Delia (Francesca Manzo), il di lei innamorato ricambiato Nadir (Riccardo Della Sciucca), l’altro pretendente di Delia e capo della dogana Aboul-Hassan (Eugenio Di Lieto), i briganti Ours-Kan (Maharram Huseynov), Thamar (Gustavo Castillo), Calaf (Chuan Wang), la schiava Morgiane (Alice Quintavalla) e il servo Phaor (Ramiro Maturana).

La bravura dei cantanti non si misura nelle arie solistiche, essendovene solo due (una per Nadir nel primo atto e una per Delia nel terzo, peraltro molto ben eseguite), ma nell’intonazione di canto in stile arioso che domina la partitura, comunque fitta indubitabili difficoltà tecniche: basti pensare ai nomi dei primi interpreti, compagnia stellare tra cui si annoverava il tenore Adolphe Nourrit, che quattro anni prima di Nadir era stato il primo Arnold nel Guillaume Tell di Rossini (1829). Vocalmente nessuno delude, ed anzi si apprezza l’eccellente pronuncia del declamato, perfettamente comprensibile. Meno convincente è però il versante attoriale: i cantanti, proprio in virtù della loro giovinezza, avrebbero diritto ad essere guidati passo passo nei movimenti scenici, mentre invece appaiono abbandonati a sé stessi. Eugenio Di Lieto è l’unico a dare una vera e personale delineazione al proprio personaggio: agitatissimo e dipendente dagli ansiolitici, il gesto con cui li estrae spesso e nervosamente dalla tasca lo caratterizza per comicità. L’interpretazione degli altri genera spesso incongruenze, come quando Delia durante la sua bellissima aria del terzo atto, reclusa nella grotta dei ladroni si ritrova in mano il berretto rosso e occidentalissimo di Nadir, e lo usa come simulacro dell’amato lontano senza provare il minimo stupore per la presenza dell’oggetto in tale segreto loco, come invece verosimiglianza vorrebbe.

In definitiva l’opera però piace, e la platea gremita dimostra nei confronti dei giovani artisti un sostegno affettuoso con numerosi, scroscianti, prolungati applausi.


 

 

 
 
 

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