L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Fiabe senza morale

 di Antonino Trotta

Dedicata all’ineguagliabile Lucia Valentini Terrani, una bella produzione della Cenerentola chiude la stagione lirica del Teatro Verdi di Padova sul finire dell’anno rossiniano. All’eccezionale parterre di protagonisti – tra i quali spiccano l’Angelina di Annalisa Stroppa, il Dandini di Alessio Arduini e il Don Ramiro di Xabier Anduaga – non corrisponde la bacchetta frettolosa di Antonello Allemandi.

Padova, 29 Dicembre 2018 – Tranquilli, Don Magnifico non si è risposato. Contrariamente a quanto la locandina possa lasciare intendere (e temere), la Matrigna in calce all’elenco dei protagonisti non è il frutto di un autoreferenziale azzardo registico, bensì il punto di messa a fuoco temporale rispetto a cui contestualizzare la narrazione. Questo perché, nel nuovo allestimento della Cenerentola di Rossini (in coproduzione con il Bassano Opera Festival, dove ha debuttato lo scorso 7 Ottobre), ultimo titolo in cartellone della stagione lirica del Teatro Giuseppe Verdi di Padova, la fiaba è intesa come spazio di formazione personale dove i bambini giocano a fare gli adulti, imitandone vizi e virtù per puro spirito di emulazione (Clorinda e Tisbe, quando si accaniscono contro Angelina, ripropongono gli stessi movimenti scenici della giunonica Matrigna).

Nello spettacolo di Paolo Giani, tutto è fuori misura: i mobili, così come l’inflessibile Matrigna (interpretata da Linda Zaragoza), giganteggiano per quasi la totalità dell’opera. Si torna in scala naturale solo nel finale, quando, ingabbiati nel severo maccanismo dei corsi e ricorsi storici, i bambini diventano adulti e altri bambini iniziano, di nuovo, a giocare. Sfugge, tuttavia, il messaggio vero e proprio del racconto, la cui idea sembra a tratti essere funzionale esclusivamente a una dialogica visiva: se alla fine il Don Magnifico adulto discaccia ancora l’Angelina bambina, la morale è che nella vita non si cambia? Dalla fiaba ci si aspetterebbe un lieto fine.

I più tradizionalisti non rimarranno comunque delusi, si tratta di un sottotesto sottile e poco invasivo che non lede alla leggerezza del melodramma giocoso, anzi consente di recuperare il mondo della fiaba nella sua accezione più briosa, legittimando talvolta un didascalismo molto fantasioso (nella decima scena del primo atto, ad esempio, Don Magnifico gioca a fare il maestro di scuola o ancora, durante il celebre sestetto «Questo è un nodo avviluppato» tutti si stringono in un intricato groviglio umano). La scenografia, disposta su una pedana rotante, ben descrive gli spazi d’azione. Impreziosiscono poi la messinscena le luci, finemente curate, e i costumi (fatta eccezione per le bruttissime divise da Oompa-Loompa del coro e di Dandini), tutto firmato da Paolo Giani.

Eccezionale l’intera compagnia di canto, a cominciare dalle splendida Angelina di Annalisa Stroppa. La voce pastosa e brunita nel colore, timbratissima grazie a un’emissione rigorosamente sul fiato, scintillante in alto e guizzante nei passaggi di agilità, fa da tramite a un canto sempre arguto ed espressivo, avvalorato poi dalla grande eleganza con la quale la Stroppa porta in scena una protagonista romantica e fiabesca, femminile e sensuale.

Xabier Anduaga è un Don Ramiro dallo strumento di lusso: squillo e volume hanno oggi ben pochi termini di paragone. Il tenore ventitreenne non delude le aspettative, già confermate, dopo i bagliori del Ricciardo e Zoraide pesarese [leggi la recensione], nel Castello di Kenilworth del Donizetti Opera [leggi la recensione]. Le sciabolate di tonitruanti do nell’aria «Si, ritrovarla io giuro» e la facilità della salita in acuto palesano la natura di una vocalità privilegiata ma sono le mezze-voci morbide e flessuose, insieme alla pronunciata musicalità, a nobilitare la caratura complessiva del ruolo.

Non è da meno il Dandini di Alessio Arduini, istrionico e sagace. Attore spigliato e belcantista raffinato, Arduini eccelle per il cesello di un fraseggio magnetico e accattivante, perfettamente articolato con senso della misura e gusto nell’accentazione della parola, specialmente nei recitativi, valorizzati oltremodo da un irresistibile piglio istrionesco. La voce è granitica, bellissima nel timbro, omogenea in tutta la tessitura.

Di Marco Filippo Romano, Don Magnifico, si riaffermano tutte le positive considerazioni fatte in occasione della Cenerentola al Municipale di Piacenza dello scorso febbraio [leggi la recensione]: la verve comica equilibrata e ben calibrata arricchisce la linea di canto pulita e tornita, nonostante nella cavatina di sortita «Miei rampolli femminili» si percepisca un po’ di fatica che lede all’incisività della voce, penalizzata comunque dalla direzione poco accondiscendente. Gabriele Sagona veste i panni di un autorevole Alidoro: terso nella dizione e preciso nella coloratura, perfettamente sgranata, trae meritate gratificazioni dal pubblico dopo «Là del ciel nell'arcano profondo», eseguita con accenti perentori e una pienezza di suoni che sposano benissimo la figura del deus ex machina. Apprezzabili le due sorellastre, Irina Ioana Baiant (Clorinda) e Alice Marini (Tisbe), sebbene soffrano più degli altri, nei concertati soprattutto, delle accelerazioni richieste dal podio.

La nota dolente dello spettacolo, di fatto, sta nella concertazione di Antonello Allemandi, alla guida dei complessi – spesso imprecisi nella sezione dei fiati – dell’Orchestra di Padova e del Veneto. Se infatti la sinfonia lascia sperare in una buona commistione tra materiale giocoso ed enfasi romantica, lo stacco di tempi piuttosto spinti grava sulla lettura del capolavoro rossiniano: l’orchestra sfugge più volte delle mani del direttore, l’equilibrio con palcoscenico ne risulta inevitabilmente compromesso e in ogni stretta si percepisce una tensione nella relazione con i cantanti, specie con quelli del Coro Lirico Veneto istruito dal maestro Stefano Lovato. Un peccato sprecare così una splendida occasione, data la buona teatralità delle bacchetta.

Alla fine delle serata applausi calorosi per tutti, con punte di entusiasmo per i tre protagonisti.

foto Nicola Fossella


 

 

 
 
 

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