La torre del tesoro e dei maiali
di Andrea R. G. Pedrotti Carrara
Prima della chiusura imposta per l'emergenza coronavirus, l'ultima première viennese è Der Zigeunerbaron alla Volksoper. Nonostante l'atmosfera un po' dimessa dovuta alla situazione, il saluto della e alla capitale della musica con l'operetta di Strauss è il migliore augurio di speranza e ripartenza per tutta l'Europa.
Der Zigeunerbaron è stata l'ultima première andata in scena in una Vienna che avrebbe visto, di lì a poco, la chiusura di tutti i suoi teatri, a causa del doveroso decreto emanato dal governo federale austriaco in risposta alla pandemia da coronavirus.
Per curioso scherzo del destino è stato proprio Johann Strauss a dare il suo arrivederci, a nome del mondo musicale viennese, a una città che si vedeva costretta ad abbandonare a tempo indeterminato la forma d'arte -la musica ovviamente- di cui è indiscussa capitale mondiale.
L'atmosfera stranamente dimessa si nota fin dal principio, con un notevole numero di viennesi che giungono in sala a primo atto iniziato e un organico orchestrale ridotto ai minimi termini. L'orchestrazione di J. Strauss è molto simile a quella di Gaetano Donizetti, quando non addirittura a un repertorio verdiano, e questa penuria di professori nel golfo mistico creava, talvolta, una certa discrepanza con un palcoscenico, che, al contrario, vedeva un adeguato organico corale e un volume dei soli tali da ridonare linfa e adeguato corpo nelle scene d'assieme, non potendolo offrire nei momenti in cui doveva essere l'orchestra a conferire un'adeguata risposta d'intensità sonora.
È assai gradevole l'allestimento di Peter Lund, che nelle proiezioni -per una volta non scontate- rimanda alle illustrazioni delle fiabe dell'oriente europeo. Considerando la complicazione di una trama che si dipana fra castelli d'Ungheria, racconti di battaglie serbe e accoglienze militari nella capitale che fu d'Asburgo-Lorena, è assai funzionale l'utilizzo di una centrale torre rotante che funge da muro esterno dell'allevamento di maiali di Zsupan, uomo privo di qualsiasi interesse culturale che non riguardi i suini di cui è devoto custote e macellaio, nonché padre della giovinetta Arsena, amante ricambiata del giovane, trasognato, nonché avido, contadino Ottokar.
Tale torre è utile anche come fortificazione esterna per il ritrovamento del tesoro, pronosticato dalla vecchia zingara Czipra al conte Carnero e a Barinkay, unitamente a una moglie fedele devota, che egli - per garantirsi un buon vicinato con Zsupan - avrebbe individuato in Arsena. Il fato è in agguato e, quando il pingue allevatore di suini appella la figlia per darla in sposa al bizzoso - e avido a sua volta - vicino, giunge Mirabella, antica moglie, non si sa quanto devota, del conte Carnero, che egli era convinto d'aver perduta nella sanguinosa battaglia di Belgrado, avvenuta ventiquattro anni prima, e ora governante di Zsupan medesimo.
La torre ruota ancora per accogliere il canto di Saffi, figlia di Czipra, sulla fedeltà del popolo gitano, e per lo spiare di Barinkay, assieme a Saffi e Czipra medesime, il sentimentale incontro fra Arsena e l'amato Ottokar - che si scopre essere figlio di Carnero e Mirabella -, prima che la medesima sede accolga l'ingresso dei gitani tutti che acclamano “Zingaro barone”. Ora che Barinkay detiene un titolo nobiliare, quello preteso da Zsupan per dare in sposa la figlia, il novello “Zingaro barone” annuncia di non aver più intenzione di impalmare la figlia del pingue allevatore di maiali, ma la gitana Saffi, suscitando lo sdegno di un padre ferito nell'orgoglio.
Il secondo atto si fa forte di luci più cupe per ospitare l'alba del giorno successivo alla notte trascorsa da Barinkay assieme a Czipra e alla figlia Saffi, seguita da un elegiaco duetto d'amore fra la giovane giovane gitana e l'ormai Zingaro barone e precedente al grande walzer che saluta il ritrovamento del tanto agognato tesoro della profezia di Czipra.
Succede ora che, a un'altra rotazione della torre, Zsupan viene derubato dagli zingari del denaro e dell'orologio, causando l'irruzione di Carnero, Mirabella, Ottokar, Arsena, Barinkay e Saffi. È ora che scatta la polemica legale del conte Carnero che si ritrova doverosamente a cavillare sulla correttezza legale del matrimonio fra Barinkay e Saffi e la scena si chiude con un grande canto collettivo sulla moralità.
È ancora utile la torre rotante per accogliere senza pause l'irruzione degli ussari capeggiati dal conte Peter Homonay, il quale, antico amico di Barinkay, se ne infischia della moralità e del continuo puntigliare, tanto polemico quanto legalmente ineccepibile, del conte Carnero e si congratula con la novella coppia di sposi. Giunge anche l'elegiaco e trasognato Ottokar, attratto da alcune tracce d'oro perdute dal cospicuo tesoro ritrovato nella scena precedente. Tuttavia l'amore vive una difficoltà più grande, poiché, nello stesso contesto scenico, Czipra rivela che Saffi non è sua figlia naturale, ma progenie del Pascià d'Ungheria. Barinkay, scosso per la differenza di grado, decide, quindi, di arruolarsi assieme a Ottokar e Zsupan e partire per la guerra.
Siamo al terzo atto, figurato da un'ulteriore rotazione della torre su una sorta di carro di Tespi in una Vienna ottocentesca: la città tutta accoglie l'esercito vittorioso, Arsena canta un'ode all'incompatibilità fra corteggiamento e ricchezza e le due coppie, lei con Ottokar e Barinkay con Saffi, si riuniscono sulle note del walzer dell'Ouverture.
Passando ora alla compagnia di canto, ritroviamo, dopo la sua Adele in Die Fledermaus di alcuni anni fa, come migliore assoluta il soprano salisburghese Elisabeth Schwarz, eccellente interprete vocale e scenica di un'Arsena graziosa nella figura ed elegante nella linea di canto. Sul versante maschile è il suo partner scenico a ottenere la palma del migliore; infatti è l'Ottokar di Johannes Strauß (nomen omen) a destare le migliori impressioni, per disinvoltura tecnica e capacità canore.
Convince meno lo Zsupan di Gerhard Ernst, attore assai disinvolto, ma meno sicuro musicalmente, al pari della debuttante (alla Volksoper) Saffi di Katrin Adel. Bene in resto del cast con la Czipra di Annely Peebo, il Barinkay di Marco Jentzsch, la Mirabella di Elisabeth Fechl, il conte Carnero di Boris Eder, il conte Homonay di Morten Frank Larsen e il Pali di Heinz Fitzka.
Corretta e uniforme la concertazione di Alfred Eschwé, che, senza particolari slanci interpretativi, garantisce unità a solidità musicale alla serata. Bene il coro guidato da Thomas Böttcher.
Le scene erano di Ulrike Reinhard, i costumi di Daria Kornysheva, le belle coreografie di Florian Hurler, le proiezioni di Andreas Ivancsics.
Con questa première si è chiusa, per il momento, l'esperienza teatrale viennese, che ci si augura possa riprendere al più presto, non solo per il bene del comparto culturale, ma come simbolo di ripartenza per tutta l'Europa.