L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Il crepuscolo di Figaro

di Lorenzo Cannistrà

Al Teatro alla Scala l’estate si apre con una riedizione di prestigio delle Nozze di Figaro finalmente in forma scenica, nella regia di Giorgio Strehler di cui si festeggia quest’anno il centenario dalla nascita. Altrettanto di qualità il livello del cast, mentre la direzione di Daniel Harding è apparsa non sempre sulla stessa lunghezza d’onda della vis scenica concepita dal celebre regista triestino

MILANO, 29 giugno 2021 - Con Le nozze di Figaro targate Harding-Strehler si può dire che sia finalmente terminato per il Teatro alla Scala il tempo sospeso a cui il Covid-19 ci aveva costretto dopo l’ultima, ormai lontanissima, recita in forma scenica (Il turco in Italia, il 22 febbraio 2020). Ritornano, oltre alle scene e ai costumi, anche le poltrone in platea, per una capienza che adesso sfiora gli ottocento posti, e l’orchestra in buca.

Quanto alla scelta dell’opera, una serie di anniversari-coincidenze (centenario nascita di Strehler, quarant’anni dalla prima rappresentazione alla Scala delle “sue” Nozze) sostiene e giustifica la riproposizione del capolavoro mozartiano in un allestimento che comunque non ha mai mancato di frequentare il palcoscenico del Piermarini, viste le ben sessantotto recite collezionate dal 1981.

Chiaramente oggi la regia di Strehler – ripresa da Marina Bianchi – mostra le rughe che le derivano dall’essere stata concepita in un ben preciso periodo storico e in un contesto culturale ben definito (l’imprinting è quello del Piccolo Teatro di cui Strehler era padre-padrone, se non monarca assoluto). Meno sensibile al passare del tempo è invece la bellezza delle scene di Ezio Frigerio, che sembrano non aver mai abbandonato la carta da disegno e che riescono tuttavia nel miracolo di restituirci un’atmosfera sonnolenta, da pigra siesta pomeridiana, che avvolge indifferente il turbine dell’azione scenica anche grazie alla sapiente organizzazione delle luci di Marco Filibeck. È sempre un piacere, inoltre, apprezzare l’eleganza sontuosa dei costumi di Franca Squarciapino; ricordiamo che nell’idea iniziale lo spettacolo era ambientato nel teatro di corte di Versailles nel 1792.

La direzione di Harding – e ciò già a partire dalla ouverture, di una robustezza e maestosità quasi beethoveniane – tende a ingigantire quelle ombre che la musica di Mozart, più ancora che il testo di Da Ponte, insinua nella apparente leggerezza e ambiguità morale della trama. La lentezza di alcuni stacchi esalta la malinconia che aleggia seminascosta nelle pieghe dell’azione scenica, anche se l’inizio del quarto atto è come una ferita aperta, e Harding la mette a nudo come meglio non si potrebbe. Tuttavia questo indugiare nella partitura con lenti di ingrandimento e tinte crepuscolari sembra a volte non incasellarsi perfettamente in alcuni nervosi intrecci e soprattutto nella vitale gestualità voluta da Strehler per i protagonisti.

Il cast risplende soprattutto della bravura della coppia Rosa Feola-Luca Micheletti, vocalmente perfetti e assolutamente credibili nell’alternarsi di focosa gelosia, cocente delusione, gioia per l’imminente celebrazione dell’amore coniugale, perfidia nell’architettare tranelli. In particolare Luca Micheletti, pur al suo debutto alla Scala, ha mostrato una sicurezza da veterano, una voce di grande compattezza e bel timbro, unita a doti attoriali francamente non comuni (è anche attore di teatro e regista, e si vede).

Meno esaltante la coppia Conte-Contessa, in parte perchè Simon Keenlyside esibisce una voce ormai consunta, che fatica a reggere l’intera parte, ma compensa con una recitazione assai efficace (è una parte che ha sostenuto per trent’anni ad alti livelli). Bellissimi i lampi di lubricità senile nelle ripetute insidie alla virtù di Susanna, ma altrettanto credibile e toccante la sua compunzione nel momento in cui nel finale chiede perdono alla Contessa. Julia Kleiter, nei panni di quest’ultima, è vocalmente inappuntabile (si ascoltino i bellissimi acuti in “Porgi amor, qualche ristoro”), ma si avverte un filo di freddezza, un atteggiamento algido che stona leggermente, soprattutto nell’aria “Dove sono i bei momenti”. Nel complesso la Kleiter caratterizza comunque assai bene il personaggio.

Quanto alla coppia Cherubino-Barbarina, sia Svetlina Stoyanova sia Caterina Sala sono ampiamente all’altezza della situazione. Particolarmente interessante è la duttile voce del soprano bulgaro, dal timbro assai personale e riconoscibile, che ritrae deliziosamente e con umorismo il “farfallone amoroso” (sin dalla prima aria “Non so più cosa son, cosa faccio”).

Tutti di valore, infine, i comprimari (Anna Doris Capitelli Marcellina, Andrea Concetti Don Bartolo, Matteo Falcier Don Basilio, Paolo Nevi Don Curzio, Carlo Cigni Antonio), che grazie all’assenza di tagli nel quarto atto sono stati apprezzati nelle arie a loro dedicate. Meritato successo anche per il coro e i particolare per l’eccezionale preparatore, Bruno Casoni, apparso brevemente in mezzo ai suoi artisti per raccogliere i suoi “ultimi” applausi, che sono anche e soprattutto quelli di una vita dedicata a questo mestiere.


 

 

 
 
 

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