L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Giovanna, non poi così brutta

di Irina Sorokina

La coproduzione fra Modena (con il circuito emiliano) e Metz si colloca bene nella tendenza degli ultimi anni a rivalutare la Giovanna d'Arco di Verdi, a lungo ingiustamente bistrattata.

Modena, 21 novembre 2021 - Un caro saluto dalla Francia, arriva a Modena un allestimento di Giovanna d’Arco verdiana, prodotto dall’Opéra-Théatre de Metz Eurometropole. La prima reazione viene da una memoria lontana: tanti anni fa, quando si studiava la produzione verdiana, quest’opera veniva considerata come decisamente non riuscita, addirittura, la più brutta opera del compositore delle Roncole, insieme ad Alzira. Pochi, forse gli studiosi più devoti e tenaci, avrebbero potuto canticchiare una cavatina o un duetto proveniente da quest’opera “brutta”. Sembra che gli ultimi anni abbiano corretto l’ingiustizia che da sempre accompagna Giovanna d’Arco, più teatri l’hanno messo in cartellone, si ricorda l’apertura della stagione 2015 al Teatro alla Scala [Milano, Giovanna d'Arco, 21/12/2015], protagonista Anna Netrebko, e soltanto un anno dopo, nel 2016, una produzione del Festival Verdi di Parma tra le storiche mura del Teatro Farnese all’interno del Palazzo della Pilotta [Parma, Giovanna d'Arco, 09/10/2016]. Nel ruolo del titolo c’era Vittoria Yeo che vediamo oggi ad interpretare Giovanna al Teatro Comunale Pavarotti-Freni di Modena. Ma non basta: di recente è stata messa in scena all’Opera di Roma con la regia di Davide Livermore [Roma, Giovanna d’Arco, 19/10/2021]; quindi, si potrebbe parlare di una certa “rivincita” del titolo verdiano.

La produzione francese arrivata a Modena – verrà rappresentata anche negli altri teatri dell’Emilia-Romagna – è stata creata in occasione dei festeggiamenti per gli ottocento anni dell’antica cattedrale di Santo Stefano (cathédrale de Saint-Etienne) a Metz e sarebbe dovuta andare in scena a giugno dell’anno scorso. Alla sua bellezza il regista Paul-Emile Fourny ha voluto fare omaggio inserendo una magnifica immagine proiettata nella scena dell’incoronazione di Carlo VII. La Giovanna d’Arco francese è una produzione moderna che dice di no sia alle scene dipinte o costruite sia agli arredi: il perno della sua veste scenica sono le proiezioni video realizzate da Patrick Méeüs, davvero spettacolari. L’opera verdiana è ricca dei cambiamenti di scena, dalla foresta al campo di battaglia, dall’umile villaggio alla splendida cattedrale e Méeüs affiancato dalla videomaker Virgile Koering fa uno splendido lavoro, una gioia per gli occhi. In un attimo, aiutati da un po’ di fantasia, si vola e ci si trasferisce in una foresta nebbiosa dove trionfano le sfumature di grigio e le silouette sottili degli alberi, in una cattedrale gotica che sembra vera, in una prigione accennata da caotiche linee bianche. Molto belli i costumi firmati da Giovanna Fiorentini, un’elegante interpretazione degli abiti storici. Fourny costruisce l’azione e le relazioni tra i personaggi in questo contesto adeguandosi alle condizioni pandemiche che influenzano la nostra vita da circa due anni: ne viene fuori una regia quasi invisibile, segnata dalla staticità del coro compensata dalla bravura nell’interagire dei tre protagonisti.

Nel ruolo del titolo, il soprano coreano Vittoria Yeo già interprete della parte di Giovanna a Parma dimostra una grande crescita artistica. Cinque anni fa al Teatro Farnese era “condannata” dai registi a stare ferma, mentre tutto il resto era affidato alle due doppi chiamati “Giovanna Guerriera” e “Giovanna Innocente” e interpretati da danzatrici, ora può riscattarsi pienamente come attrice. Ed è una brava attrice, la Yeo, sembra non reciti ma si identifichi completamente con il personaggio della pastorella di Domremy. La sua Giovanna è molto umana, tanto fragile quanto forte, giovanissima e già matura: il personaggio iconico diventa vivo e capace di strappare delle lacrime. La voce del soprano coreano è piuttosto leggera e a tratti fragile e scolorita, il fisico longilineo e le movenze sono naturali e eleganti: la Giovanna della Yeo riempie il palcoscenico, fa vibrare gli animi degli spettatori e conquista le loro orecchie grazie all’intelligenza e alla musiclità.

Due uomini stanno accanto alla Yeo, l’amato (tenore) e il padre (baritono) che stavolta veste i panni del “cattivo”, rispettivamente Amadi Lagha e Devid Cecconi. Il tenore tunisino possiede una voce niente male, ben proiettata, dal bel colore, buono squillo, centro corposo e gradevole sfumatura virile. Canta con grinta, ma la perde in alcuni momenti, rivela acuto non sicuro e una certa legnosità nel legato. Accanto a una trepidante Vittoria Yeo e uno ieratico Devid Cecconi risulta poco incisivo.

David Cecconi che in estate proprio a Modena abbiamo ascoltato nei panni di Rigoletto [Modena, Rigoletto, 23/07/2021], fornisce un’ottima prestazione come Giacomo, padre di Giovanna. Ci sono somiglianze tra due ruoli: in fin dei conti, si tratta dei conflitti accesi tra padre e figlia, ma il ruolo del “cattivo” in Giovanna d’Arco lo troviamo più adatto alla personalità del baritono. Disegna un personaggio credibile, orgoglioso e convinto delle proprie azioni, sempre in linea con il suo spirito quasi profetico e rivela un’ottima voce, forse, dal timbro non proprio indimenticabile, ma educata e gradevole e sfoggia una linea di canto elegante. Grandi applausi, tutti meritati, dopo l’aria “Ecco il luogo... Speme al vecchio era una figlia”, che canta con un vero abbandono e arriva a scuotere i cuori.

Completano dignitosamente il cast Alessandro Lanzi, Delil, e Ramaz Chikvaidze, Talbot.

Le bellezze della partitura non sono poche e Roberto Rizzi Brignoli alla guida dell’Orchestra dell’Emilia Romagna Arturo Toscanini le fa apprezzare tutte, dirige con impeto giusto, sostiene con delicatezza i cantanti e cerca di moderare alcuni momenti che sanno troppo delle sonorità di banda. Ottima l’interpretazione della sinfonia e notevole il contributo del Coro Lirico di Modena preparato da Stefano Colò.

Una nota leggermente dolente alla fine. Per quanto l’allestimento dell’opera verdiana di Metz è gradevole all’occhio e in Italia trova gli interpreti dignitosi, presenta le caratteristiche evidenti di un collage degli elementi visti mille volte nelle altre produzioni. La sinfonia coreografata? C’è, sulle note di Verdi ballano i bravi artisti di Agora Coaching Project. Le proiezioni video? Presenti. Poca fantasia da parte del regista? Immancabile. Il coro quasi sempre statico? Succede molto spesso. I solisti che danno il loro meglio senza rivelare la mano amorevole del regista? Accade nella maggior parte dei casi.

La terza opera nel cartellone del Teatro Comunale Pavarotti-Freni di Modena conclude una specie di trittico che descrive i grandi e tormentati animi femminili. E’ stata un’impresa tutt’altro che facile, presentare Giovanna d’Arco dopo Lucia di Lammermoor e Norma, ma pur con alcuni dubbi dobbiamo riconoscere che è riuscita, lo dimostrano gli applausi del pubblico e la calorosa accoglienza dei cantanti e il maestro.


 

 

 
 
 

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