Il belcanto ci salverà
di Stefano Ceccarelli
L’Accademia Nazionale di Santa Cecilia regala al grande pubblico la diretta di un concerto di notevole bellezza, interamente dedicato al belcanto. Sul podio, il maestro Antonio Pappano, che dirige la splendida orchestra e l’eccellente coro di Santa Cecilia. I due solisti sono il soprano Lisette Oropesa e il tenore Xabier Anduaga. La serata vede una successione di pezzi di Gaetano Donizetti e Vincenzo Bellini dalle seguenti opere: Lucia di Lammermoor, Don Pasquale, La fille du régiment, La Sonnambula, L’elisir d’amore, Lucrezia Borgia e, a chiudere, I Puritani.
ROMA, 16 aprile 2021 – All’Accademia Nazionale di Santa Cecilia si omaggia il belcanto con un programma tutto incentrato su Bellini e Donizetti. A dirigere è il maestro Antonio Pappano, recentemente nominato direttore emerito della prestigiosa istituzione musicale. Il programma, diviso in due tempi, è ordinatamente strutturato in modo che ogni tempo si apra con brani di Donizetti e si chiuda, invece, con pezzi di Bellini.
Nel primo tempo s’inizia con Donizetti, con Lucia di Lammermoor. Dopo un’energica esecuzione del coro d’apertura («Percorrete le spiagge vicine»), i due interpreti della serata, il soprano Lisette Oropesa e il tenore Xabier Anduaga, fanno il loro ingresso con il duetto d’amore, dalla medesima opera, fra Lucia ed Edgardo («Sulla tomba che rinserra»). Sia la Oropesa che Anduaga si mostrano già centrati, estremamente attenti a particolareggiare la loro interpretazione; le voci si armonizzano bene assieme e, in particolare, colpisce la direzione cullante e il canto a fior di labbra della cabaletta, che conferisce alla sezione quasi il carattere di una barcarola. Ancora un coro di intermezzo, questa volta dal Don Pasquale, «Che interminabile andirivieni»: un pezzo che mostra le doti multiformi di un coro eccellente, che sa destreggiarsi in una scrittura rossiniana, ricca di effetti. Ecco che i due cantanti si esibiscono singolarmente. Inizia Anduaga, con un’aria tutt’altro che semplice: «Ah! Mes amis, quel jour de fête» dalla donizettiana La fille du régiment. Andauga, dotato di un timbro chiaro e di una voce alquanto vibrata (alla Carreras, se mi si consente il paragone), spagina tutte le note dell’aria (anche gli impervi sopracuti) con un certo gusto; per quanto riguarda la potenza, naturalmente mi riserbo di ascoltarlo dal vivo. È la volta, poi, della Oropesa, nell’aria «Ah! Non credea mirarti» da La sonnambula di Bellini, che finalmente fa capolino nel programma. La Oropesa ha una voce squillante, un timbro lievemente brunito eppur chiaro nell’emissione, come pure una lieve vibrazione; sa modulare bene e possiede un certo gusto nell’esecuzione belcantistica. La sua Amina è particolarmente piacevole tanto nelle atmosfere notturne del cantabile, quanto nelle evoluzioni della cabaletta.
Il secondo tempo si apre, ancora, all’insegna di Donizetti: L’elisir d’amore. A cantare è Anduaga, che offre una delicata esecuzione della celebre aria di Nemorino, «Una furtiva lagrima»; a lasciarsi apprezzare, ancora, sono i passaggi di volume e, conseguentemente, di colore mediante cui l’esecutore legge il pezzo. A seguire, ancora La fille du régiment; questa volta, com’è logico, è il turno della Oropesa, che dimostra nuovamente le sue doti d’interprete delicata, ma dallo squillo pronto, nella cabaletta, leggendo l’aria di Marie «Par la rang et par l’opulence». L’ultimo pezzo di Donizetti della serata è affidato a Anduaga. Si tratta dell’aria «Anch’io provai le tenere», interpolata in un secondo momento nella partitura della Lucrezia Borgia dallo stesso compositore per compiacere le doti del tenore De Candia, dunque pensata per il ruolo di Gennaro. L’atmosfera è squisitamente belcantistica: un canto malinconico, tutto giocato sui colori della tessitura medio/alta del tenore, dove Anduaga trova le sue note migliori; ancora, l’interpretazione si distingue per una certa delicatezza. A chiudere la serata vi sono I Puritani di Bellini. Quest’ultima sezione belliniana è introdotta da una sontuosa esecuzione corale del brano «Ah! Dolor! Ah! Terror», quando il coro compiange la sorte miseranda di Elvira, abbandonata il giorno delle sue nozze da Arturo, intento a salvare Enrichetta Maria di Francia. Rientra, poi, in scena la Oropesa, che nei panni di Elvira esegue uno dei più amati generi di aria ottocentesca, una scena di follia. L’interpretazione è a tratti quasi intimistica, certo molto personale in alcuni passaggi (come nella cabaletta, resa a tratti quasi a fil di voce); tale lettura, comunque, non nuoce affatto a una resa spettacolare, dove la voce dell’interprete si offre senza risparmiarsi tanto nelle lunghe melodie belliniane, quanto nei passaggi di più ardito virtuosismo. Il concerto è chiuso, come meglio non si potrebbe, dal duetto Elvira/Arturo del terzo atto de I Puritani, il duetto del ricongiungimento fra i due. Questo non prima, però, che Pappano abbia diretto energicamente la Tempesta con cui si apre il terzo atto dell’opera, vero capolavoro di scrittura ‘atmosferica’ belliniana. Proprio come in apertura, Oropesa e Anduaga armonizzano le loro voci squisitamente, nell’andirivieni di emozioni e sussulti con cui Bellini evoca l’emozione dell’avvenuto ricongiungimento. Per brillantezza della direzione e dell’esecuzione, va segnalata la cabaletta, specialmente la ripresa, dove gli interpreti variano con un certo gusto.
Orchestra e coro dell’Accademia suonano magnificamente sotto la bacchetta di Pappano, che solo alla chiusura del concerto svela che la Oropesa è stata il giorno prima vittima di un attacco di allergia – che, fortunatamente, non è stata d’impedimento alla sua performance.