Il prence dei kirghisi
di Lorenzo Cannistrà
Al Conservatorio “G. Verdi”, per Serate Musicali, va in scena il dotatissimo violinista ventunenne Daniel Lozakovich, che offre al pubblico milanese un impegnativo recital solistico con Bach, Ysaÿe e Paganini e Milstein. Un programma impaginato all’ultimo minuto, dopo il drammatico forfait del suo partner cameristico, il pianista Stanislav Soloviev, impossibilitato per motivi politici a lasciare Russia
MILANO, 17 ottobre 2022 – Nella vita concertistica di una grande città ci sono serate più o meno riuscite, alcune decisamente di routine, altre invece che non esiterei a definire “magiche” grazie alla peculiarità dell’offerta musicale. Più difficile invece è incappare in una serata magica e dall’atmosfera anche un po’ stregata, di quelle che si potrebbero definire dark, non con riferimento allo stile ma allo stato d’animo. Saranno i tempi burrascosi in cui viviamo (o l’approssimarsi della festa di Halloween?), sta di fatto che il portentoso violinista di questa sera, il giovanissimo Daniel Lozakovich, ha sciorinato la sua fenomenale performance in una cornice per vari motivi un po’ inquietante.
Intanto è strano entrare nella Sala Verdi ad un quarto d’ora dal concerto e trovarla ancora praticamente vuota. Sbalordisce poi l’assenza sul palco del pianoforte, nonostante che il programma di sala prometta, oltre a pezzi per violino solo, anche la Sonata in la maggiore di Franck e la Sonata op. 108 di Brahms. Solo aprendo il foglio che mi hanno allungato all’entrata capisco finalmente cosa sta succedendo: Stanislav Soloviev, il pianista che dovrebbe “accompagnare” (eufemismo vista la difficoltà della parte pianistica) non può uscire dalla Russia per via della attuale situazione politico-militare. Penso alla “mobilitazione parziale” – che pare si avvii alla conclusione, senza che vi siano però ancora certezze – ma l’accorato comunicato di Serate Musicali è ancora più esplicito: "siamo desolati per Stanislav, che probabilmente verrà mandato in guerra". Daniel Lozakovich, che a dispetto della giovane età ha già un curriculum di tutto rispetto, ha voluto ugualmente sostenere il concerto, sostituendo le sonate con altri brani per violino solo e questo è stato un gesto sicuramente degno di nota. Peraltro se un concerto solistico è di solito per un artista “una tremenda ordalìa” (l’espressione è di Paderewski), per un violinista lo è anche di più, considerata la fatica che notoriamente accompagna la pratica di questo strumento.
La sala negli ultimi minuti si riempie un po’ di più, ma di certo nessuno è nel migliore stato d’animo per iniziare l’ascolto di un recital.
Lozakovich ha passaporto svedese, padre bielorusso, madre kirghisa. I tratti somatici sono quelli dell’etnia materna, con una indubbia forma a mandorla degli occhi, ma del fiero popolo centro-asiatico il giovane Daniel non ha né l’incarnato scuro, né il viso largo e massiccio, e meno ancora la bassa statura. In una sala che all’improvviso rimane quasi al buio, con solo una tenue luce in mezzo al palco, Lozakovich si presenta tutto in nero, slanciatissimo, un viso quasi angelico e una voce che si rivelerà stentorea nell’annunciare i bis. Insomma, un principe del violino.
E come tale ha suonato. Non una battuta nel Bach della Partita n. 2 è riuscita ad annoiare, tanto variegato e musicalmente istintivo è stato il fraseggio. Già poi nella Sonata op. 27 n. 5 di Eugène Ysaÿe, detta “Pastorale” o “Mathieu Crickboom”, cominciano a delinearsi la capacità coloristica e il virtuosismo nel pizzicato che troveranno la loro apoteosi nel Capriccio n. 24 di Niccolò Paganini e nella Paganiniana di Nathan Milstein, che utilizza in modo ovviamente virtuosistico proprio il celeberrimo tema dell’ultimo capriccio. Virtuosismo quasi impossibile, offerto con placida facilità e senza mai dimenticare una certa umanità nel suono forse non esplosivo, ma sempre di grandissima varietà, chiaro anche nei passaggi più complessi. L’esecuzione della variazione finale del ciclo di Milstein ha quasi eguagliato in velocità e impetuosità quella del celebre violinista russo.
Ancora Bach e infine Kreisler (Recitativo e Scherzo) per gli immancabili bis.
A concerto concluso butto ancora uno sguardo sul foglietto datomi nel foyer del Conservatorio: "il suo caso [di Soloviev, ndr], a noi vicino, ci fa capire come la nostra vita quotidiana sia strettamente intrecciata alle tragiche vicende esterne". Per una volta non ci leggo le fredde parole di un comunicato di circostanza, anzi mi pare che il messaggio sia stato presentato con delicatezza e sensibilità. È difficile infatti godere della bellezza della grande musica pensando al dramma che sconvolge le vite di tanti giovani, artisti e non. Questa sera l’insensatezza del conflitto armato colpisce, come le schegge mortali di una granata, anche la vita musicale milanese, e tutto sommato ciò sarebbe anche il male minore: in fondo noi pochi presenti in sala siamo al sicuro. Ma mentre applaudiamo questo giovane principe dell’archetto, sentiamo pesante l’assenza di un pianoforte e preghiamo che ciò non significhi un’altra vita spezzata.