L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Tutto per una fetta di zucca

di Giuliano Danieli

Nei giorni di Carnevale il Teatro la Fenice di Venezia propone Le baruffe, nuova opera di Giorgio Battistelli commissionata per festeggiare i 60 anni di Marsilio Editori. Un’iniziativa encomiabile e pienamente riuscita, grazie anche alla messinscena ricca di sfumature curata da Damiano Michieletto.

VENEZIA, 26 febbraio 2022 –A distanza di soli tre mesi dalla prima mondiale di Julius Caesar al Teatro Costanzi di Roma, Giorgio Battistelli torna alla ribalta con un nuovo lavoro commissionato dal Teatro la Fenice per celebrare i 60 anni della Marsilio e commemorare Cesare de Michelis, presidente della casa editrice scomparso nel 2018. Fra i meriti maggiori della Marsilio v’è l’aver curato l’edizione nazionale delle opere di Carlo Goldoni, ed è quindi apparsa quasi obbligata la scelta del soggetto per questa encomiabile iniziativa culturale della Fenice: Le baruffe chiozzotte, fortunata commedia goldoniana che racconta i vacui e animati scontri fra gli umili abitanti di Chioggia. Lo stesso Battistelli, coadiuvato da Damiano Michieletto, ha adattato in libretto il testo originale, cercando di preservarne non solo l’ardito sperimentalismo linguistico (studiatissimo, in Goldoni, è il gioco con le peculiari sonorità del dialetto chioggiotto), ma anche lo spirito di farsesca, ottenebrante, a tratti angosciante confusione.

Vale premettere che l’esito dell’operazione è stato assai felice, come comprovato dalla risposta positiva del pubblico, accorso numeroso in teatro e dimostratosi calorosamente entusiasta per questa nuova proposta. Come già era stato nel caso di Roma, la Fenice ha compreso che le resistenze verso l’opera contemporanea – che rimane un linguaggio per molti meno immediato del repertorio tradizionale – possono essere vinte tramite un’accorta programmazione (mettere in scena Le baruffe a Carnevale appare una scelta assai oculata per garantire visibilità all’opera) e una minuziosa cura di ogni dettaglio dello spettacolo. La partitura di Battistelli ha certamente un valore intrinseco, ma il suo successo in questa prima assolutaè stato agevolato da un cast perfettamente assortito e da una messinscena ricchissima di idee e tecnicamente ineccepibile. Quest’ultima era affidata a Damiano Michieletto – anche co-autore del libretto – e al suo gruppo di lavoro abituale (Paolo Fantin per le scene; Carla Teti per i costumi; Alessandro Carletti per le luci). Lo spettacolo ha il merito di approfondire gli spunti più inquietanti della commedia goldoniana – ed in questo sembra essere perfettamente in accordo con la musica, come si dirà – senza però dimenticarsi di far sorridere il pubblico. Ecco, quindi, le soffocanti atmosfere di Chioggia, con le sue nebbie che, sospinte da enormi ventole, trasportano gli intossicanti pettegolezzi fioriti sulle bocche di donne e uomini, alimentando il caos; ed ecco gli sconvolgenti esiti di questo disordine, visualizzati tramite autentiche scene di guerriglia (che virtuosismi nei movimenti delle masse!), e la graduale scarnificazione delle scenografie (grossi muri di legno le cui doghe sono man mano smontate dai cantanti ed adoperate come armi), da ultimo appese a mezz’aria come corpi di animali macellati. Accanto a tanta angoscia, però, trova spazio il riso – o, per meglio dire, una smorfia grottesca: esso è ispirato dalla caratterizzazione caricaturale di alcuni personaggi, come ad esempio Fortunato; o è ottenuto – più sottilmente, ma assai efficacemente – tramite la presenza di una fetta di zucca ben illuminata sul proscenio, che per tutta l’opera osserva come un compiaciuto sorriso color arancione le baruffe che dilaniano la comunità di Chioggia. Tali contrasti, in effetti, sono scatenati proprio da un pezzo di ‘zucca barucca’ offerta maliziosamente dal battellaio Toffolo ad alcune donne. La contrapposizione – anche in termini di spazio scenico – fra la calma delle cose inanimate (la zucca sul proscenio) e le zuffe degli uomini che a causa di esse si rovinano è fonte di crudele, ma irresistibile ironia.

Le molte idee di Michieletto sono valorizzate da un cast abilissimo sia sul piano vocale che su quello attoriale. Spiccano in termini di resa espressiva e agilità canora la Checca di Silvia Frigato, la Lucietta di Francesca Sorteni e il Titta-Nane di Enrico Casari, ma in generale tutto il cast (Alessandro Luongo; Valeria Girardello; Marcello Nardis; Rocco Cavalluzzi; Loriana Castellano; Francesca Lombardi Mazzulli; Pietro Di Bianco; Leonardo Cortellazzi; Federico Longhi; Emanuele Pedrini; e non dimentichiamoci del coro diretto da Alfonso Caiani) regala una performance superlativa, nonostante le difficoltà poste da una partitura in molti punti assai esigente e da un libretto in dialetto.

Resta quindi da dire della musica. Battistelli si dimostra abile nell’enfatizzare le sonorità del dialetto chioggiotto tanto accuratamente studiato da Goldoni: mai si avverte quel disagio, che capita talvolta di percepire nelle opere contemporanee, di fronte ad un rapporto irrisolto fra musica e linguaggio. Battistelli ricorre inoltre ad una quantità assai varia di stili vocali che agevola la caratterizzazione dei singoli personaggi, e permette anche di farli efficacemente cozzare nelle molte scene corali, che appaiono internamente frammentate e spigolose. Tutto ciò è sorretto da un’orchestra dalla potenza spesso soverchiante, che produce impasti sonori di spiccata matericità, coerenti col soggetto goldoniano (l’orchestra della Fenice diretta daEnrico Calesso offre un’interpretazione assai convincente della partitura). Se però dovessimo segnalare un limite nelle Baruffe di Battistelli, ci sembra che esso risieda nella loro tinta quasi uniformemente scura e angosciante. Se lo spettacolo di Michieletto, come s’è detto, si destreggia fra una notevole quantità di registri, la partitura pare prediligere l’aspetto in definitiva terrificante della vicenda. Per quanto siano evidenti delle differenze di linguaggio con il Julius Caesar ascoltato a Roma, anche in queste Baruffe Battistelli ha optato per una scrittura cupa – non riscattata neppure dalla danza finale – che pare suggerire che l’opera contemporanea vive di sole angosce, avendo smarrito la capacità di ridere, o almeno di osservare il mondo con ironico distacco.

 


 

 

 
 
 

Utilizziamo i cookie sul nostro sito Web. Alcuni di essi sono essenziali per il funzionamento del sito, mentre altri ci aiutano a migliorare questo sito e l'esperienza dell'utente (cookie di tracciamento). Puoi decidere tu stesso se consentire o meno i cookie. Ti preghiamo di notare che se li rifiuti, potresti non essere in grado di utilizzare tutte le funzionalità del sito.