L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Dalla parte di Desdemona

di Roberta Pedrotti

Meritato successo per Otello, terza prima del Rossini Opera Festival 2022: ben curata, musicale e intelligente la regia di Rosetta Cucchi, raffinata e teatrale la concertazione di Yves Abel, assai buono il cast - in primis Eleonora Buratto, Enea Scala e Antonino Siragusa - ed eccellente la prova dell'Orchestra Rai.

PESARO, 11 agosto 2022 – Quello del quarantatreesimo Rof è un esordio decisamente in salita: debole Le comte Ory, piacevole la ripresa della Gazzett, infine una piena soddisfazione con Otello in una nuova produzione che ci ripaga del maldestro tentativo affidato a Giancarlo Del Monaco quindici anni fa (spettacolo che probabilmente merita di essere ricordato solo per il primo exploit da baritenore di Gregory Kunde e per l'ultima apparizione pesarese di Chris Merritt). Oggi la regia è affidata a Rosetta Cucchi, che all'esperienza ormai più che consolidata in questo ruolo unisce la formazione musicale di chi per anni è stata pianista accompagnatrice e preparatrice spesso, se non soprattutto, qui a Pesaro. Molto più di un valore aggiunto, perché nel suo spettacolo si avverte sempre che ogni scelta – anche quelle programmatiche e legate all'attualità – non può prescindere dal testo, anzi, dal testo stesso è ispirata. Al centro dell'attenzione, infatti, c'è Desdemona, perché così è nella musica, perfino nel duetto dell'epilogo, in cui affronta la violenza del marito non solo con fierezza di parole (“sfoga il tuo reo furore | e intrepida morrò”) ma anche con una scrittura musicalmente dominante. Raccontare la vicenda di Otello come la storia di un femminicidio maturato in un ambiente malsano, permeato di soprusi, diffidenze, emarginazione non è cosa peregrina, e il disagio dello stesso eponimo – che non giustifica nulla, semmai spiega – dall'ossessione dei temi trionfali che lo seguono fino ad apparire sarcastici e persecutori si traduce sul piano visivo in una prima scena in cui l'eroe vincitore è palesemente isolato e impacciato nell'alta società veneziana. Otello è una storia di relazioni malate, di violenza psicologiche che esplode in violenza fisica, non c'è dubbio, e la regia di Cucchi ha il pregio di raccontarlo anche con immagini esplicite ed emblematiche sempre partendo da Gioachino Rossini e da Francesco Berio di Salsa, semmai talora integrando allusioni a Shakespeare (che non è fonte primaria del testo, ma sta comunque alla radice dell'Othello di Jean-François Ducis, alla radice del libretto).

Nel realizzare la simbiosi fra ciò che si vede e ciò che si sente, ovvero nel fare che l'opera sia davvero opera e non concerto decorato o teatro con sottofondo musicale, è fondamentale la complicità di Yves Abel, che dirige con piglio ed equilibrio, scatti drammatici incalzanti dove servono, ma anche cura del dettaglio, facendoci godere appieno della bella prova dell'Orchestra Rai. In Otello la scrittura strumentale è un elemento drammaturgico e di analisi psicologica davvero formidabile, sia per l'uso delle marce, sia per le suggestioni naturalistiche – le acque, la tempesta – o per i diversi piani narrativi nel finale ultimo – l'eco ossessiva dei colpi alla porta, gli esultanti strumentini della banda militare, l'ostinato ansioso degli archi – che è a tutti gli effetti un finale doppio in cui si sovrappongono la realtà tragica e la felicità impossibile, come è reso evidente da Cucchi. Ascoltare tutto questo con il nitore dell'Orchestra Rai è una gioia e una sorta di riscoperta che riesce al lasciarci esterrefatti anche dopo mille e mille diversi ascolti di questo capolavoro.

Al centro del capolavoro, l'abbiamo detto, c'è Desdemona, sebbene in questa produzione si dia un insolito rilievo teatrale anche a Emilia, con la presenza incisiva e il timbro screziato del contralto Adriana Di Paola. Desdemona, però, è il personaggio cui Rossini stesso sembra aver dedicato le maggiori cure, assecondando il talento della futura moglie Isabella Colbran. Oggi Eleonora Buratto ne raccoglie il testimone e desta ancor più ammirazione se si pensa che nell'ultimo anno il maggior successo è stato in Madama Butterfly a New York dove tornerà per Don Carlo. Se l'emissione morbida, duttile, omogenea deve valere sempre, la disinvoltura nel canto d'agilità non sarebbe certo scontata e invece Buratto non teme nemmeno l'ostica grande aria del finale secondo.

Felicissimo avvicendamento, dopo l'iniziale coinvolgimento di Sergey Romanovsky, è quello che vede Enea Scala tornare a Pesaro dopo nove anni (troppi) e finalmente in una grande parte protagonistica. Il suo Otello conosce a menadito l'idioma belcantista, la corrispondenza fra precisione musicale e significato teatrale, sicché il personaggio ne esce sbalzato nella sua complessità di vincitore, sì, ma tormentato, isolato, irruente, istintivo e disorientato. Per la cronaca, se a qualcuno interessasse, la carnagione del tenore non è stata scurita dal trucco, ma non ci si è fatto caso: Otello c'era, ugualmente. Complesso, ma non debole, con autorevolezza di fraseggio e sicurezza in tutta la tessitura. Un po' più monocorde risulta il Rodrigo di Dmitry Korchak, ma la buona forma del tenore – ben tornato a proprio mestiere dopo l'interlocutoria parentesi direttoriale – gli consente proprio di tratteggiare un personaggio energico e sgradevole, ricordando che se sarà Otello a uccidere materialmente Desdemona, non sono certo innocenti gli altri uomini che la circondano. Non è solo Iago l'anima oscura del dramma, ma è certo che lo Iago di Antonino Siragusa (nel 1998 esordiente al Rof proprio in quest'opera ma come Lucio/Gondoliero) si meriti la palma della viscida e fiera perfidia,mettendo a frutto nel migliore dei modi la chiarezza della dizione e il metallo del timbro, oltre alla vasta esperienza rossiniana in cui non manca un vilain come Norfolk dell'Elisabetta regina d'Inghilterra. Evgeny Stavinsky è un Elmiro inflessibile, Antonio Garés un autorevole Doge che completa la locandina con Julian Henao Gonzales quale Lucio e Gondoliero e con il Coro del Ventidio Basso preparato da Giovanni Farina.

Applausi copiosi alla fine, con qualche prevedibile mugugno all'indirizzo di Cucchi e dei suoi collaboratori Tiziano Santi (scene) e Ursula Patzak (costumi). D'altra parte, come potrebbe saltare in mente di associare la vicenda di Otello a quella di un delitto familiare in cui una donna rimane vittima dell'uomo che ama e di una rete di relazioni malsane. Strano davvero, chi l'avrebbe mai detto?


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