L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Nozze audaci e proletarie

di Alberto Spano

Le nozze di Figaro, in un allestimento ispirato a Brutti, sporchi e cattivi di Scola, segnano la seconda tappa della trilogia mozartiana voluta da Leone Magiera a Ferrara con una compagnia di giovani e giovanissimi.

FERRARA, 2 luglio 2023 - Dopo il riuscito Don Giovanni dello scorso anno ambientato in un circo, per la meritevole “Bottega d’Opera” del Teatro Comunale di Ferrara alla scuola di Leone Magiera è ora la volta delle Nozze di Figaro: la squadra è più o meno la stessa, con una compagnia di canto di ottimo livello in cui riconosciamo molti protagonisti del Don Giovanni, e una impostazione coreografico-registica ancora affidata al talento di Adrian Schvarzstein e della coreografa Jürate Sirvyte-Rukstele. La scelta apparentemente folle del circo l’anno scorso funzionò alla grande. Quest’anno è ancor più audace ed è caduta sulla riproduzione quasi alla virgola del celebre film Brutti, sporchi e cattivi di Ettore Scola del 1976, ambientato in una sordida baraccopoli alla periferia di Roma. Si giustifica la scelta con la forte componente di rivendicazione sociale e di classe che è alla base del capolavoro mozartiano. Il rifarsi al modello di un cult movie è ormai prassi comune nel mondo lirico, e talvolta la ciambella esce col buco, quando sono più o meno compatibili cioè le due drammaturgie. Con Le nozze di Figaro la riuscita è decisamente a metà, pur lo spettacolo funzionando egregiamente. Va dato atto che Schvarzstein ha una buonissima mano registica, il dominio del palcoscenico è assoluto, la capacità di far muovere cantanti come attori è straordinaria, come lo era stato in Don Giovanni. Ma il senso della forzatura rimane. Come suo solito – in quanto attore, clown e teatrante da commedia dell’arte – lo spettacolo inizia fin dall’ingresso del pubblico in teatro, al controllo dei biglietti: foyer e sala sono letteralmente invasi da un divertente mercatino rionale di periferia popolato da solerti venditori di strada e imbonitori vestiti con abiti e stracci anni ’70, con spesso invereconde proposte di vendita agli spettatori ignari di orologi falsi e borsette d’antan, con richieste in vecchie lire, il tutto fino allo spegnersi delle luci e all’apparire in scena di un personaggio maneggione piuttosto equivoco, che si rivelerà essere un po’ il conduttore dell’intera vicenda (alla fine si scoprirà essere lo stesso Adrian Schvarzstein, attore, regista, corista, tuttofare e gran burattinaio) che all’inizio si improvvisa sindacalista anni ’70 molto aggressivo, presto stoppato da un giovane autorevole con cappello piantato in testa che entra in platea in bicicletta, che si rivela poi essere il direttore d’orchestra: nella fattispecie il maestro Massimo Raccanelli, musicista dal talento decisamente esuberante che, dopo un inizio un po’ scollato fra buca e palcoscenico, riporta il tutto in carreggiata, con prestazione di livello assai buono dell’Orchestra della Città di Ferrara.

Ecco dunque in scena un’efficace rappresentazione su due piani della baracca dell’assurda famiglia Mazzatella (25 elementi, dieci figli, nipoti e nonnina sdentata su sedia a rotelle) del film di Scola, con riproduzione quasi letterale dei vari elementi scenografici, compresa la “toilette” esterna che consente esilaranti e grevi gag teatrali, centro e motore dell’intera pièce (come lo era nel film).

Una volta capita l’antifona però, si prende atto che nello svolgimento delle azioni della folle journée mozartiana in questa singolare ambientazione, non tutto funziona coerentemente, con la bilancia delle incongruenze che ha spesso la meglio sulle idee azzeccate: alcune delle quali, bisogna riconoscerlo, sono azzeccatissime. Come la prima scena della preparazione del talamo coniugale coi lettini a rete e i materassi a molle sporchi e sfatti, oppure l’esordio del Conte nei panni di un capriccioso capetto di periferia che ricalca il mitico personaggio di Giacinto impersonato nel film dall’indimenticabile Nino Manfredi. Altrettanto azzeccata la trovata di un Cherubino impersonato da un cantante maschio sopranista barbuto, quale il bravissimo Nicolò Balducci. Una forzatura musicale certamente (Mozart non amava i castrati, e scrisse la parte per un mezzosoprano donna), ma una scelta riuscita dal punto di vista registico, con citazione letterale del figlio che si guadagna da vivere sulla strada come femminiello in parrucca bionda, ma che in privato alla bisogna copula con la cognata procace. In scena si vede di tutto, anche un’inquietante ostessa-ballerina muta (è la coreografa lituana Jürate Sirvyte-Rukstele, fedele collaboratrice del regista), mille personaggi di contorno, una figlia quasi inerte che per tre ore sbuccia fagiolini, patate e cipolle, vecchietti, tipi loschi, scugnizzi, amorosi, in un allegro viavai di coristi e mimi. Il racconto procede veloce e un po’ confusionario, spesso sollecitato da una bacchetta vigorosa e talvolta molto sostenuta, che certo – pregio indiscusso – non rischia la noia. I recitativi pur frenetici, sono assai curati, e ancora una volta si avverte il carisma musicale di Leone Magiera che ha preparato per settimane i giovani cantanti da lui stesso scelti in apposite audizioni. Eccellenti Giovanni Luca Failla, Figaro spigliato e di sicura vocalità e Guido Dazzini, un Conte nobile e intelligente pur nell’ambientazione coatta, la sensibile Marta Lazzaro nei panni di una Contessa dolente e appassionata, la simpatica Gesua Gallifoco in quelli di una Susanna vivacissima e un po’ asprigna, bravi anche Silvia Caliò (Barbarina) e Alessandra Adorno (Marcellina), Gianluca Convertino (Antonio e Bartolo) e Lorenzo Martelli (Basilio e Don Curzio). Una nota di merito ancora per l’eccellente prestazione del controtenore Nicolò Balducci, un Cherubino vocalmente perfetto, ancorché – dato il suo essere uomo adulto con barba nera folta – non in grado di rendere come si vorrebbe il sublime doppio-triplo gioco di ruolo en travesti di un adolescente in fregola sessuale creato da Mozart. Efficaci le scene e i costumi di Lilli Hartmann, funzionali ma migliorabili le luci di Marco Cazzola. Buona la resa del Coro del Teatro Comunale di Ferrara preparato da Teresa Auletta.


Vuoi sostenere L'Ape musicale?

Basta il costo di un caffé!

con un bonifico sul nostro conto

o via PayPal

 



 

 

 
 
 

Utilizziamo i cookie sul nostro sito Web. Alcuni di essi sono essenziali per il funzionamento del sito, mentre altri ci aiutano a migliorare questo sito e l'esperienza dell'utente (cookie di tracciamento). Puoi decidere tu stesso se consentire o meno i cookie. Ti preghiamo di notare che se li rifiuti, potresti non essere in grado di utilizzare tutte le funzionalità del sito.