L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Un felice Inganno

 di Stefano Ceccarelli

Il Reate Festival propone una versione in forma di concerto della farsa L’inganno felice di Gioachino Rossini. A dirigere la Theresia Orchestra è Alessandro De Marchi. Gli interpreti concorrono alla buona riuscita dell’opera: Miriam Albano (Isabella), Antonio Garès (Bertrando), Giuseppe Toia (Ormondo), Luigi De Donato (Batone) e Matteo Loi (Tarabotto).

ROMA, 25 ottobre 2023 – Il Reate Festival propone al pubblico reatino-romano una produzione de L’inganno felice di Gioachino Rossini, nella revisione di Luca Incerti. Si tratta di una breve farsa semiseria in un atto, che costituì un primo notevole successo di Rossini a Venezia (1812) e nel resto d’Italia: diversi momenti musicali, peraltro, furono riutilizzati in opere successive di maggior respiro.

Al Teatro Palladium, nella storica Garbatella, vanno in scena le ultime due recite della produzione, in forma di concerto. Alla testa della Theresia, orchestra giovanile internazionale, c’è Alessandro De Marchi, il quale fa certamente bene il suo lavoro: valorizza le voci, lasciandole cantare, senza mortificare la brillantezza agogica della scrittura rossiniana, avendo chiaro il ritmo della partitura. È chiaro che un’orchestra dall’esiguo numero di maestranze, tal è la Theresia, non può produrre un suono sempre pieno, rotondo, preciso: esempio ne è stata l’ouverture, che inizia con toni chiaroscurali (quelli più sacrificati nella resa orchestrale) e si sviluppa in una classica struttura rossiniana, guizzante, con crescendo verso la conclusione. In tal senso, De Marchi è abile ad aumentare il volume nei momenti di maggiore tensione drammatica, cercando di arrotondare il suono: sono proprio questi i passaggi in cui la Theresia si lascia apprezzare meglio – da notare, anche, la qualità dei singoli orchestrali, in particolare corni e fiati.

Il ruolo di Isabella è interpretato da Miriam Albano. Cantante dotata di un timbro morbido, lievemente scuro, ottimo per la corda di mezzosoprano, si muove bene in un ruolo i cui momenti topici sono costituiti da quelli in cui la duchessa lamenta la sua infausta sorte – avendo rifiutato le profferte dell’infido Ormondo, Isabella è fatta da quest’ultimo credere infedele agli occhi del marito, Bertrando, e lasciata annegare su un’imbarcazione: fortunatamente, scampa al naufragio, salvata da Tarabotto, che la accoglie come sua nipote. C’è da dire che la Albano brilla soprattutto nei suoi momenti solistici, mentre talvolta è lievemente sottotono nei duetti o negli ensembles. Notevole l’esecuzione dell’aria «Al più dolce e caro oggetto», dove la Albano palesa potenza, squillo e sciolte agilità. Il ruolo del duca Bertrando è sorretto dallo spagnolo Antonio Garès, il quale palesa una voce squillante, stentorea, insolitamente potente per un repertorio come quello che (anche guardando velocemente il suo curriculum) sembra frequentare abitualmente. Garès, infatti, presenta un limite palpabile: il passaggio repentino al registro (sovr)acuto, il quale genera sempre un suono armonicamente depotenziato e periclitante nell’intonazione. Apprezzabile, invece, la tessitura centrale, dove riesce a conferire pienezza e colore alla voce. Insomma, parrebbe di trovarsi davanti ad un tenore lirico romantico più che a un tenore puramente rossiniano. Queste caratteristiche emergono, infatti, nella sua cavatina («Qual tenero diletto»), che sovente sale all’acuto, in fioriture spedite, accompagnate da un flauto; un’aria, dunque, di coloratura tenorile, problematica per la tipologia vocale di Garès. Al netto di tutto ciò, l’interprete dà il meglio di sé, riuscendo bene quando deve esprimersi liricamente, senza svettare repertinamente all’acuto, come nel bel terzetto con Isabella e Tarabotto («Quel sembiante, quello sguardo»), un esempio assai felice della penna di Rossini – se i due innamorati si rispondono con linee vocali turgide, Tarabotto stempera con puntate comiche. L’Ormondo di Giuseppe Toia è ben scontornato: il cantante ha voce squillante, vibrata e caldamente luciferina (come dimostra nell’aria «Tu mi conosci»). Luigi De Donato, dotato di voce cavernosa e ben ammaestrata, canta un Batone a tutto tondo, con un piglio (soprattutto in alcune emissioni sonore) molto barocco e meno strettamente rossiniano – del resto, il suo repertorio d’elezione è proprio quello. De Donato riesce a recitare con la voce, come si suol dire: nella sua aria, «Una voce m’ha colpito», infatti, viene applaudito dal pubblico proprio per il fraseggio ricco di colori, infiorato da quelle tipiche ornamentazioni rossiniane che rendono indimenticabili le sue arie per ‘buffo’. Infine, il Tarabotto di Matteo Loi è ottimo, per emissione, centrata e squillante, come pure per fraseggio, dizione ed esecuzione della parte; a mo’ di esempio è bene certamente ricordare il suo duetto con De Donato (Batone), «Va taluno mormorando», tra i momenti migliori della serata.

Un felice Inganno, insomma. Un’occasione per poter godere di un’opera che ha perso un po’ la fama che aveva acquisito ai suoi esordi, surclassata dalle sue sorelle maggiori (ad esempio Il barbiere). Il pubblico in sala sembra d’accordo, chiudendo con sonori applausi.


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