L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Rossini all’IMPS

di Antonino Trotta 

Nell’ambito del progetto DNA Italia, al Teatro Coccia di Novara L’inganno felice di Rossini fa coppia con Cavilli ovvero L’infelice Inganno, nuova opera con musica e libretto di Federico Biscione: belle le giovani voci chiamate al cimento, alcune decisamente promettenti.

Novara, 22 ottobre 2023 – Sperimentazione e formazione sono divenute, negli ultimi anni, una cifra assolutamente distintiva per il Coccia di Novata guidato con ingegno da Corinne Baroni: tra opere in smart working, accademie dei mestieri e pesca proficua nelle acque del conservatorio, l’unico teatro di tradizione piemontese continua a dimostrarsi assai arguto nel costruire risorse là dove la concorrenza nemmeno s’affaccia. In virtù di tali impegni, il progetto RossiniLab-Cantelli e quello DNA Italia del Coccia – il primo destinato alla preparazione di giovani cantanti, il secondo alla promozione dell’opera contemporanea – si uniscono per dar vita a un’idea niente male, quella di portare in scena tutte le farse di Rossini, ciascuna in compagnia di una nuova commissione che ad esse si riconduca, affidata di anno in anno a una penna differente. Ecco allora che sul finire della stagione 2023, in cartellone L’inganno felice di Rossini è affiancato da Cavilli ovvero L’infelice Inganno, commedia surreale in sette scene su musica e libretto di Federico Biscione.

La trama della seconda è presto detta: tra disgraziati hanno a che fare con Bruna Praticò, dirigente dell’IMPS (Istituto Mondiale della Previdenza Sociale) che tra abusi d’ufficio e prevaricazioni varie, condite con quella professionalità che nell’immaginario collettivo si attribuisce ai dipendenti pubblici, rende loro la vita un inferno. Morti stecchiti, in paradiso dovranno fare i conti con San Pietro, dirigente UAU (Ufficio Accesso Ultraterreno) che in un attimo sistema carte e scartoffie per il passaggio a miglior vita. Ma, tra litigi e incomprensioni varie, una voce dal cielo ne intima l’estromissione e tutti vengono rispediti indietro per un altro giro in quell’inferno chiamato mondo. Il tema dell’inganno, dunque, che nella farsa rossiniana si dimostra felice per il liete epilogo in cui la narrazione si risolve, nell’opera di Biscione si tramuta in un’autentica beffa, un po’ come la pensione.

Dal punto di vista musicale, l’opera di Biscione ha il suo punto di pregio in un linguaggio franco e immediato: senza impelagarsi in quelle elucubrazioni che molto spesso prediligono l’esercizio di stile alla fruibilità della composizione, la scrittura di Biscione accompagna lo scorrere del testo con un continuum strumentale – non ci sono pezzi chiusi – che strizza l’occhio all’orecchio e ben sostiene le peregrinazioni della trama. È al libretto, forse, a scarseggiare di mordente: preso per buono il soggetto surreale, versi più graffianti e meno scontati avrebbero sicuramente rinvigorito un’opera che comunque rimane, nell’esperienza di chi scrive, tra le nuove commissioni più carine ascoltate di recente.

Ponte primario tra Rossini e Biscione è lo spettacolo firmato da Matteo Anselmi che adatta, con ottime intuizioni, la medesima scenografia – ideata da Matteo Capobianco – alle due opere senza creare né fratture né forzature. Così, quella struttura metallica posta al centro del palcoscenico che in Rossini sarà la piattaforma petrolifera, modernissima miniera, in Biscione si trasforma in un ufficio sgangherato e disordinato, dove lo smarrimento delle pratiche più che un’eccezione sembra un’inevitabile conseguenza. In questi spazi lineari ed eloquenti, all’uopo impreziositi da semplici ma efficacissimi dettagli, i protagonisti interagiscono muovendosi in lungo e in largo, in alto e in basso, senza eccedere in velleità macchiettistiche e ben nutrendo la componente surreale che intride i personaggi di entrambe le opere.  

Più sdrucciolevole, dal punto di vista della concertazione, è il passaggio dal nuovo a vecchio. Se, alla guida dell’Orchestra Classica di Alessandria, Luciano Acocella legge Biscione con buona sensibilità teatrale, nell’Inganno Felice qualche morbidezza in più sul versante ritmico e dinamico avrebbe certamente concesso più agio al palcoscenico, in limitate circostanza chiamato a fare i conti con cambi di tempo ostici da ingranare.  

I cantanti, però, si rivelano tutti all’altezza delle aspettative e da teatro si esce con qualche nome appuntato sul taccuino. Se Chuan Wang (Vittorio Di Giuseppe/Bertrando) s’era già fatto apprezzare in altre rossiniane occasioni al Coccia per la tecnica solida, il canto controllato, la limpidezza del timbro e la sicurezza in acuto, Bryan Sala (Tino Cicchetti/Batone) è una piacevolissima scoperta: certo, la tremenda «Una voce m’ha colpito» è perfettibile, ma le qualità dello strumento in sé, la bontà della proiezione, la fragranza del fraseggio che scolpisce e cesella ogni parola lasciano presagire un roseo destino in questo magnifico repertorio. Naturale, dunque, che il duetto buffo «Va taluno mormorando» riesca molto bene, anche perché Ranyi Jiang (San Pietro/Tarabotto) è un compagno affidabile che canta con buona verve, risolvendo discretamente i sillabati. Barbara Massaro (Bruna Praticò/Isabella) sfoggia, al netto di qualche estremo da sorvegliare meglio, agilità scattanti e precise, bel legato e spiccata sensibilità nelle aperture liriche. Lorenzo Liberali (Giovanni Barra/Ormondo), infine, ha da limare ancora qualche spigolo nell’emissione, ma il colore di voce è gradevole e l’interprete partecipe.

Pubblico a macchia di leopardo per una serata che avrebbe meritato decisamente qualche applauso in più.


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