L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

L'uno e il tutto

di Roberta Pedrotti

Omer Meir Wellber costruisce come un trattato filosofico un programma che da Webern e Sadikova arriva a Čajkovskij.

PARMA, 4 maggio 2023 - Dopo la breve presentazione degli eventi principali del Festival Toscanini 2023 (prendete nota:Parma, anticipazioni sul Festival Toscanini 2023 ) si chiude la stagione concertistica dell'orchestra emiliano-romagnola: sul podio Omer Meir Wellber, direttore musicale del Festival; sui leggii un bell'impaginato che va da Webern a una prima assoluta della compositrice in residenza Aziza Sadikova, per concludere con la Patetica di Čajkovskij.

La prima parte lega i tempi più recenti, gli anni '30 del secolo scorso e la nostra stretta contemporaneità, con il modello bachiano: Webern si rifà all'Offerta musicale per 'elaborazione cristallina della sua Ricercata, fuga a 6 voci; Sadikova propone una Chaconne per mandolino e grande orchestra sulla Partita n. 2 per violino solo BWV 1004 di J.S. Bach. Il mandolino è quello virtuoso di Jacob Reuven (non per nulla la serata è iscritta nella rassegna Fenomeni), altro frutto della formidabile scuola di Simha Nathanson, violinista che, stabilitosi in Israele a Beer Sheva, inventò una tecnica peculiare per lo strumento a corde pizzicate. Questa associazione si rivela particolarmente felice là dove ci si rifà proprio a una scrittura violinistica (nelle prime battute è richiesto di suonare con l'archetto) per liberarsi in un continuo sviluppo in dialogo con l'orchestra, un confronto perpetuo fra la ratio, l'astrazione bachiana e un suono di natura, un organismo panico in cui riconosciamo il canto degli uccelli, le campane, l'approssimarsi, l'esplodere e il chetarsi di una tempesta.

Il dualismo fra l'antico e il contemporaneo, fra forma razionale e libertà naturale, fra singolo e ambiente si ritrova in una diversa dimensione anche nella seconda parte, in cui la Patetica rappresenta il conflitto fra l'individuo e la società, fra il desiderio e il destino, la forza prepotente della creazione e l'inesorabile condanna dell'esistenza. Là dove l'orchestrazione di Sadikova era rigogliosa per la ricchezza e varietà d'organico e quella di Webern quasi severa nella sua compostezza contrappuntistica, di Čajkovskij Wellber sembra voler enfatizzare un nervosismo febbrile in cui il suono può essere quasi scabro, spigoloso. Perfino il dolce abbandono al valzer più che si sogno sa, in fondo, di incubo, un desiderio che si consuma in un mondo ostile e distorto. Così, anche il pianissimo finale non sfuma in una dissoluzione, ma si chiude netto, come una condanna senza appello e senza conforto. È una lettura per molti versi estrema, questa di Wellber, più concentrata sul movimento che sul suono, parca nei suoi lividi colori, prepotente nella marcia del terzo movimento quanto, per contro, quasi raggelata nella constatazione del lutto del quarto. Sembra la chiusura del cerchio, la conclusione di un discorso filosofico che si è mosso dalla pura speculazione a suo confronto con la natura, con un cosmo in cui si delinea, quasi prosciugato rispetto all'espansione lussureggiante degli elementi, il disperato contrasto fra l'uno e il tutto, con un doppio finale di volontà trionfante e di stasi implacabile. 

Il pubblico risponde con grande calore, ma per i bis bisognerà aspettare ancora un mesetto e il Festival Toscanini.


 

 

 
 
 

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