L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Panorami 'made in USA'

di Alberto Ponti

Per il secondo concerto 'Pops' dell'OSN Rai ritorna a Torino John Axelrod con una selezione di musiche americane del Novecento.

TORINO, 15 giugno 2023 - Dedicato per intero ad autori statunitensi del XX secolo, il secondo dei quattro appuntamenti del ciclo 'Pops' dell'Orchestra Sinfonica Nazionale vede il ritorno sul podio di John Axelrod, specialista di questo repertorio. Variegato ma di sicuro effetto è il programma, formato da titoli assai noti, ciascuno dei quali paradigmatico dello stile cui siamo abituati ad abbinare il compositore, a partire da Leonard Bernstein, di cui viene mostrato il lato più brillante ed estroverso della breve ouverture da Candide e del Divertimento, cui è affidato il compito di aprire e chiudere la serata.

Piatto forte della prima parte è il Concerto in fa per pianoforte e orchestra (1925) di George Gershwin; alla tastiera il trentenne Nicolas Namoradze, origini georgiane e residenza a stelle e strisce. Il brano è certamente insidioso, nel disperato anelito a una classicità cui Gershwin ambiva per essere considerato a tutti gli effetti tra i grandi della sua epoca. Ne sortisce un ibrido affascinante, a tratti geniale, ma dalla natura in sostanza bifronte: non è jazz e non è blues ma, nonostante l'intenzione, non è nemmeno un concerto troppo tradizionale. La spontaneità della Rhapsody in blue è qui sacrificata da una continua ricerca della forma, col risultato che la parte più debole è, in modo prevedibile, il primo movimento, luogo deputato dalla consuetudine occidentale ai grandi sviluppi ed elaborazioni. Gershwin inanella una serie di idee splendide e originali, non solo melodiche, a partire dal gesto di apertura con i quattro perentori colpi del timpano solo, soluzione che avrebbe adottato un Beethoven se fosse nato a New York City 130 anni dopo, ma sovente appare un po' in imbarazzo e a corto di risorse nel combinarle tra loro, allo stesso modo di ciò che accadrà nel successivo poema sinfonico sui generis An American in Paris, meraviglioso soprattutto nei minuti iniziali quando vengono esposti per la prima volta i temi principali, senza che la loro ripetizione successiva abbia la magia, ad esempio, di uno Schubert, compositore con cui, al di là del tempo, dello spazio e dello stile, si potrebbero tracciare interessanti parallelismi. Il secondo e terzo movimento, Adagio e Allegro agitato, dove l'autore si sente più libero da convenzioni sono invece magnifici. L'interpretazione di Namoradze si caratterizza per fresca spigliatezza e capacità di rendere appieno il senso di quasi improvvisazione insito nel dna di una scrittura che è invece assai calcolata. Contrariamente a quanto segnalato sul programma di sala, con l'accenno a una recente esibizione londinese alla Royal Festival Hall definita 'pesante ma squisita' (originale come complimento!), ci è parso che il volume di suono tratto dallo strumento fosse piuttosto contenuto, fatto che non guasta nel tempo lento, intriso di atmosfere raffinate e sognanti di derivazione blues, ma è un minus nel finale, basato sulla ritmica percussiva di note ribattute. Il tocco del solista è versatile ed elegante, ravvivato da un innato senso del fraseggio e da una ineccepibile resa timbrica. Non è un caso che il bis sia stato ancora il Gershwin del secondo dei Three Preludes, giocato per intero sulle risonanze a diverse altezze della semplice cellula di partenza, quattro crome e una semiminima puntata nello spazio di una terza. Siamo lontani dall'estroversione di un Thibaudet, che ha reso questo concerto uno dei suoi cavalli di battaglia, ma la lettura riflessiva e quasi impressionista di Namoradze, nemmeno fuori luogo se pensiamo all'amore di Gershwin per Ravel, ha un proprio fascino contagioso apprezzato dalla platea dell'auditorium.

John Axelrod, sul podio, è un ottima spalla in un territorio d'elezione per uno degli ultimi allievi di Leonard Bernstein e riesce a trasmettere tutto il giusto mood a un'Orchestra Sinfonica Nazionale pronta a seguirlo tanto nella spericolata corsa della breve e virtuosistica introduzione all'operetta Candide (1956)sia, passando ad Aaron Copland, nella paesaggistica suite tratta nel 1945, ampliando l'organico originario di 13 strumenti, dal balletto Appalachian Spring dell'anno precedente. Quella di Copland è musica in apparenza semplice e levigata che, priva della giusta profondità, rischia di scivolare via senza presa all'ascolto. Pregio di Axelrod è far scaturire invece il senso spaziale nascosto dietro la facciata della partitura, l'evocazione della vastità del continente americano che, lungi dall'essere un semplice elemento pittoresco, è nell'autore un imprescindibile fattore costitutivo come lo è per Sibelius la natura del grande nord. Sotto la bacchetta del maestro texano in particolare il numero conclusivo della suite, cinque variazioni sulla canzone 'Simple Gifts' di origine quacchera, assume un respiro grandioso che sembra travalicare le pareti della sala.

Chiusura tra gli applausi ancora con Bernstein e il suo Divertimento per orchestra, nato nel 1980 per celebrare il centenario di fondazione della Boston Symphony. Nonostante l'occasione commemorativa, il pezzo ci mostra il compositore 'at his best' con un mix travolgente di ironia, cultura, ispirazione, gioco, dai tempi di marcia di 'Sennets and tuckets' e 'The BSO forever', al Valzer per soli archi, alla Mazurka con citazione finale della cadenza dell'oboe della Quinta di Beethoven. Con una grande orchestra, quale è la compagine della Rai, queste otto bagatelle non mancano di produrre un effetto elettrizzante sul pubblico, con Axelrod che, sulla scorta dell'entusiasmo, regala fuori programma una trascrizione sinfonica del Joplin più noto: The Entertainer, accompagnato dalle movenze danzanti del direttore e dal battimani ritmato della platea.

 


 

 

 
 
 

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