L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Suoni dall'Est

di Daniele Valersi

Nell'ambito della rassegna Omaggio all'arte pianistica di Arturo Benedetti Michelangeli, Alexey Chernov e Dmitri Alexeev confermano la loro statura di grandi interpreti

Pejo 5 agosto, Cles 6 agosto - Un concerto che si è distinto per la qualità del programma, oltre che per il valore dell’interprete, quello tenuto da Alexey Chernov a Pejo (TN) nell’ambito della rassegna “Omaggio all’arte pianistica di Arturo Benedetti Michelangeli”, caratterizzato dalla presenza di autori russi di raro ascolto oltre che di brani grandemente attrattivi, solidamente attestati nel repertorio pianistico. Decisamente poco noto, in attesa di opportuna riscoperta è il nome di Georgy Lvovič Catoire, proveniente da una famiglia di origine francese, formatosi a Berlino prima di trasferirsi a Mosca, dove già era entrato in contatto con Čajkovskij (che manifestò di apprezzare molto le Variazioni per piano del giovane compositore) e dove fu allievo per brevissimo tempo di Rimskij-Korsakov e successivamente di Ljadov. Autore di musica strumentale, non fu apprezzato quale compositore proprio dalle persone che gli erano più vicine e per questo si isolò dalla società ritirandosi in campagna); la sua musica risente dell’influenza di Čajkovskij (ma vi si colgono somiglianze con Scriabin e Fauré) e richiede non solamente virtuosismo nella tecnica, ma anche sensibilità per il colore strumentale. Dai suoi Cinq morceaux op. 10 Chernov proponeva l’appassionato Capriccioso e l’eterea Rêverie, restituendone a pieno le implicazioni simboliste. Contemporaneo di Catoire è Vladimir Ivanovič Rebikov, anche lui legato all’influenza di Čajkovskij per quanto riguarda la formazione, legato ancora maggiormente all’estetica tardoromantica in generale, pur con qualche carattere innovativo; in qualità di concertista ebbe una felice apertura internazionale, esibendosi non solo in molte località dell’impero russo ma anche a Vienna. Praga, Lipsia, Firenze e Parigi. Come il suo conterraneo Catoire, Rebikov attende una riscoperta e la relativa affermazione in repertorio non solamente presso i pianisti russi, visto il fascino delle sue raccolte di carattere miniaturistico, come sono le sei Feuilles d’autumne op. 29, inserite nel programma di Chernov e da lui interpretate con la massima attenzione al carattere intimistico dei brani e alla richiesta espressività per rendere l’atmosfera dolorosa che le caratterizza. L’autunno di Rebikov è legato alla tematica delle Stagioni, quelle di Pëtr Il'ič Čajkovskij (op. 37b) che inauguravano il recital: dodici pezzi di carattere, ciascuno intitolato al relativo mese dell’anno e ciascuno abbinato dall’editore Bernard (il committente della raccolta) ad alcuni versi di poeti russi. Un ottimo biglietto da visita per il virtuosismo dell’interprete, che a una tecnica indefettibile unisce chiarezza di idee sul carattere da conferire a ciascun episodio, espressione di una maturità musicale consolidata. Seguono il filo rosso dello stesso argomento le telegrafiche Tiktok Phantasies – The seasons, dello stesso Chernov, quattro brani di recente composizione di stile e di carattere molto differente tra loro. Contraddistinte da una scrittura complessa e movimentata, le Tiktok Phantasies non fanno rilevare alcuna propensione allo sperimentalismo e neppure alcuna attinenza con lo stile liquido dell’ultima produzione di Valentin Silvestrov, di cui Chernov è interprete tra i più quotati. A chiudere il recital e a porre il suggello di un pianismo ai più alti livelli interpretativi, che altro non si può definire se non inossidabile vista la prodigiosa tecnica e la indefettibile sicurezza nell’interpretazione, era la Sonata n. 2 op. 36 di Sergeij Rachmaninov, pagina che nonostante le successive revisioni atte a smussarne il carattere terribilmente impervio (quella dell’autore stesso e quella di Vladimir Horowitz) rimane una pagina non alla portata di tutti, che veniva condotta magistralmente alla sua tumultuosa conclusione. A maggiore soddisfazione di una sala ammirata e partecipe, tre i brani fuori programma: una Mazurka di Chopin (la n. 5 op. 32), uno degli Studi di Scriabin e una breve pagina di Valentin Silvestrov.

Si può dire che il celebre pianista Dmitri Alexeev, ancora in piena attività alla bella età di 75 anni (e pare che non pensi ancora a ritirarsi), è entrato nella storia del pianoforte, potendo vantare una lunga carriera sempre ai massimi livelli, fatta di sodalizi con artisti leggendari e con direttori d’orchestra tra i più grandi, oltre che di una discografia vasta e prestigiosa. A lui il festival “Omaggio all’arte pianistica di Arturo Benedetti Michelangeli” ha riservato un recital a Cles (TN) e una conferenza-incontro, in cui Alexeev si è raccontato con ricchezza di dettagli. Il suo recital iniziava quasi in sordina, con un’interpretazione equilibrata e omogenea della quarta Suite HWV437 di Georg Friedrich Haendel, impostata a canoni estetici “vecchia scuola”, vale a dire senza tenere conto di criteri storicamente informati, costruendo invece l’entità delle frasi e applicando un’accentazione consone alle potenzialità del pianoforte. Raffinatezza nel tocco, gusto per una timbrica discreta ma intrigante, pacatezza nella dinamica trovavano luogo in questa Suite, la cui Sarabanda trascritta per archi, timpani e basso continuo è assurta a grande notorietà quale parte della colonna sonora di diversi film, tra cui Barry Lyndon. La raffinatezza delle soluzioni interpretative che ha dominato in tutto il recital è anche il tratto distintivo di questo artista, che si inoltrava poi negli otto Klavierstücke op. 76 di Johannes Brahms dove, nell’alternanza tra Capricci e Intermezzi, introduceva mezzi espressivi consoni alla poetica di questi brani che hanno segnato una svolta nel linguaggio pianistico di Brahms. Una selezione dai cicli dell’op. 38 e dell’op. 40 di Nicolaj Karlovič Metner, intitolati Vergessene Weisen, tratteggiava uno scorcio su di un mondo musicale parallelo a quelli di Scriabin e di Rachmaninov, dei quali Metner fu compagno di studi. Virtuosismo, piacevole scorrevolezza e accenti scherzosi si avvicendavano in quattro episodi recanti dei titoli in un italiano approssimativo (Canzona fluviala, Danza col canto, Canzona serenata, Danza silvestra), terreno favorevole per la morbidezza l’efficacia del tocco, per la fluidità e la delicatezza di cui Alexeev è capace. Originale e grandiosa la conclusione, siglata all’insegna di Franz Liszt con alcune delle sue incomparabili parafrasi: l’aria di Wolfram von Eschenbach O du, mein holder Abendstern S444 e il Coro dei Pellegrini S443 dal Tannhäuser (frutto della grande ammirazione del compositore per Wagner) e cinque dei “Sei canti polacchi” trascritti dall’op. 74 di Chopin (i nn. 12, 15, 2, 14 e 4), dove la meno frequentata produzione chopiniana per voce e pianoforte dà materia all’operosa fucina di Liszt per elaborazioni sofisticate, che conservano l’originale vena intimistica. Al termine di un programma niente affatto riposante, Dmitri Alexeev si tratteneva sollecitato dalle numerose chiamate in scena ed eseguiva ancora una Mazurka di Chopin, una Romanza senza parole di Mendelssohn, lo Schlummerlied dai Fogli d’album op. 124 e l’Intermezzo dal Carnevale di Vienna di Schumann.


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