L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Il ritorno di Martha

di Alberto Ponti

Il primo concerto della stagione OSN Rai 2023-2024 è stato un evento sold out per la presenza sul palco della celebre pianista a fianco del direttore emerito Fabio Luisi

TORINO, 26 ottobre 2023 - Ai concerti sinfonici ci sono diversi tipi di pubblico. Esiste il pubblico che ama il grande repertorio, per cui già Franck e Saint-Saëns sono guardati con sospetto. Esiste il pubblico entusiasta delle novità, soprattutto di musica contemporanea, che invece lascia trasparire una mezza delusione quando sente il nome di Beethoven. Esiste il pubblico tradizionalmente snob, che da quando Mahler, Bruckner e Šostakovi

sono diventati popolari ha perso l’orientamento e, nel timore di passare per troppo intellettuale rivolgendosi ai dodecafonici, di cui d’altronde non capisce nulla, si astiene quasi sempre dall’ascoltare musica dal vivo. Esiste infine il pubblico dei concerti di Martha Argerich, demiurgo della tastiera in grado di compiere il miracolo non solo di riempire per due sere di fila gli oltre 1500 posti a sedere dell’auditorium Arturo Toscanini ma anche di riunire nella stessa sala tutti i differenti tipi di pubblico, senza che l’uno abbia a escludere gli altri, come invece di solito avviene. Dalla platea alla balconata alla galleria trova così spazio una variopinta fauna di donne e uomini affascinati dal pentagramma, con qualche pittoresca nota di colore. La madama che si muove a fatica, binocolo da teatro con catenella e paltò odorante di naftalina, che all’ultimo concerto prima di quello odierno aveva ancora pagato il biglietto in lire e che nell’intervallo, inciampando in un gradino, ruzzola clamorosamente a terra senza, per sua fortuna, serie conseguenze. Il manager di mezza età, che nel foyer magnifica le doti della sua nuova automobile sportiva e che poi, seduto in poltrona, segue con trasporto e occhi chiusi l’esecuzione, gesticolando in modo raccolto con le mani, quasi a dirigere un’orchestra immaginaria. Lo studente di conservatorio che è riuscito a convincere il fratello minore a seguirlo, di modo che anche lui possa dire un giorno lontano: ‘Io c’ero’. Perché se è vero che la Argerich continua ad essere un’autentica forza della natura, è altrettanto vero che gli anni sono ottantadue e il repertorio una volta sterminato è ormai limitato a una manciata di pezzi, ai quali riesce comunque a imprimere uno stile personale e un’impronta inconfondibile. Forse il destino dei grandi è, col tempo, centellinare e sublimare le pagine da offrire in pubblico, come già fecero d’altronde Carlos Kleiber e Arturo Benedetti Michelangeli.

Ecco allora il Concerto n. 1 in do maggiore op. 15 di Ludwig van Beethoven, composto e revisionato tra il 1795 e il 1798, antecedente il secondo solo per l’ordine di pubblicazione, opera già matura e compiuta sotto il profilo artistico, amatissimo da Martha negli ultimi anni. L’interpretazione è tutta giocata sul lato espressivo, nonostante i momenti di virtuosismo non manchino nel più ‘eroico’ dei concerti dell’autore di Bonn dopo l’’Imperatore’, dove gli echi della recente rivoluzione francese sono ben udibili nella marziale chiusura dell’esposizione del primo movimento, Allegro con brio. Il tocco della Argerich è vellutato, sfaccettato, ricco di sfumature sostenute da impercettibili tocchi di pedale. Invidiabile il legato. Assai curato il fraseggio, col respiro delle frasi che si nutre del contrasto tra l’articolazione cristallina delle melodie e degli arabeschi alla mano destra e gli staccati, i controcanti battaglieri, tipicamente beethoveniani alla sinistra. Fabio Luisi, alla testa dell’Orchestra Sinfonica Nazionale, è partner attento e discreto ma pronto a far emergere il discorso sinfonico quando l’autore, nella scansione netta e perentoria del primo tema, nonostante esordisca nel piano degli archi, e nel canto espansivo del secondo lascia intravedere sprazzi geniali del sinfonista che verrà. L’op. 21, la prima delle nove, nasceva sullo scrittoio e sotto le dita del musicista nello stesso periodo di questo concerto. Meno ‘rivoluzionari’, più tradizionali e settecenteschi nella forma, sono il successivo Largo e il Rondò. La maestria della solista emerge prepotente creando un’aura magica nel secondo tempo, dalla raffinata sensibilità preromantica in una cornice ancora sturm und drang, e assecondando il gioco dei richiami tra pianoforte e tutti nel finale, affrontato in ritmo assai rapido con invidiabile energia e con una resa ineguagliabile dell’intera gamma cromatica insita tra le pieghe della partitura, dalle galoppanti crome ribattute dei bassi, ai graffianti eppure mai ruvidi sforzando al registro acuto alle guizzanti scale a mani parallele. E poco importa che si avverta qualche nota non scritta da Beethoven. Come di fronte all’ultimo Artur Rubinstein, non ci troviamo davanti ad errori ma a licenze poetiche di una fenomenale mente musicale. Al termine, boato dell’intero auditorium e bis concesso a furor di popolo: una iridescente, vivissima Gavotte dalla terza Suite inglese di Johann Sebastian Bach.

Se gran parte dell’attesa era rivolta a Martha Argerich, nella seconda parte della serata Fabio Luisi si prende la rivincita, soggiogando l’uditorio con una direzione di alto livello e magnetismo di un’opera a dir poco impegnativa per qualsiasi orchestra del calibro della Quinta sinfonia in mi minore op. 64 di Pëtr Il’i

Čajkovskij. Che anno il 1888! Nascono, oltre al lavoro čajkovskiano, per non fare che alcuni esempi l’Ottava di Dvořák, Scheherazade di Rimskij-Korsakov, la Sinfonia in re minore di Franck, la Prima di Mahler… La grande Europa musicale vive, alle soglie della crisi del decadentismo, un momento esaltante da Parigi a Pietroburgo.

L’Orchestra Sinfonica Nazionale, che in Beethoven aveva dato prova di bel suono ed elasticità, nel grande brano tardo ottocentesco aggiunge il giusto tocco di pathos atto a tradurre l’espressione Allegro con anima dell’ampio movimento iniziale. Alla coppia di clarinetti va il merito di dipingere subito la giusta atmosfera, l’indescrivibile mélange di mesto e misterioso del tema conduttore destinato a mutare poco per volta fino a trasfigurarsi nel trionfale finale, ma tutti i musicisti andrebbero citati per la capacità di entrare subito nel giusto clima richiesto dalla partitura: violini e viole per l’intensità del timbro, violoncelli e contrabbassi per il connubio ideale di profondità e dinamismo, i legni per la brillantezza dell’intonazione. E che dire del languore struggente del primo corno nella celebre melodia del tempo lento, della drammaticità degli interventi di trombe e tromboni, delle sferzanti scosse del timpano? La bacchetta di Luisi, direttore emerito della compagine torinese, è abile ora nel trattenere ora nel liberare le contrastanti forze, luce ed ombra, introspezione ed esaltazione, che innervano la sinfonia, magistralmente esemplificate dall’esposizione del già citato Allegro con anima, una sorta di inarrestabile ascesa dalle tenebre dello strisciante 6/8 di clarinetti e fagotti puntellato da timidi singhiozzi degli archi fino al brillante climax dove lo stesso motivo, giunto a un grado di energia quasi insostenibile, si scarica sul pulsare solitario del quartetto dei corni. Anche l’originale, breve Valse che rimpiazza lo scherzo e l’Allegro vivace al termine, introdotto dall’ampio Andante maestoso con l’ulteriore mutamento di pelle del tema principale, sono concertati con quel giusto equilibrio tra ragione e sentimento, tra fiducia nelle forze umane e presenza dell’ineffabile, assai difficile da ottenere senza sbilanciarsi troppo su uno dei due versanti, che rende giustizia all’inimitabile scrittura di Čajkovskij.

I lunghi applausi della sala gremita coronano il primo concerto di una stagione Rai 2023-2024 che ci auguriamo non manchi di regalare altri momenti memorabili.


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