Pensieri in musica
di Lorenzo Cannistrà
Bel concerto al Teatro Dal Verme di Milano con Rossini (Sinfonia da La Cenerentola), Šostakóvič (Concerto in do minore per tromba e pianoforte n. 1 op. 35) e Mozart (Sinfonia K 551). Un programma che ha offerto molti spunti di riflessione e ben interpretato da due giovani e sempre più affermati musicisti italiani, Alessandro Bonato e Federico Colli
MILANO, 25 novembre 2023 - È un dato di fatto che buona parte del pubblico che frequenta abitualmente i concerti abbia principalmente voglia di divertirsi, trascorrendo un’ora piacevole e di svago con musiche godibili. Il più delle volte, spiace dirlo, ciò accade soltanto perché quel pubblico ritiene che i musicisti facciano solo “divertire” – per usare l’espressione infelice di un noto uomo politico – e non siano invece, prima ancora che meri performers, operatori di cultura.
Che la musica cosiddetta cólta possa rappresentare un divertissment (inteso non in senso tecnico) è altrettanto indubbio. Tuttavia vi sono molti casi in cui anche l’apparente buonumore delle composizioni eseguite, garanzia di piacevolezza epidermica, cela una verità artistica e biografica stridente con quel carattere, e spinge a riflettere, a porsi delle domande. E ciò tanto più se i compositori eseguiti sono lo Šostakóvič del Concerto n. 1 per tromba e pianoforte e il Mozart della Sinfonia K 551, la celebre Jupiter.
Il primo pensiero che è venuto in mente leggendo il programma di questa sera (che prevedeva anche la Sinfonia dalla Cenerentola di Rossini) è che gaiezza, placidità, ironia, sono spesso un contraltare inaspettato ai beffardi risvolti della vita. Šostakóvič, che ebbe un’esistenza in molti frangenti difficile e tormentata, affermò che sarebbe stato contento di vedere le persone ridere durante un concerto con sue musiche e riuscì spesso a comporre pezzi dallo stile lieve e quasi scanzonato. Uno di questi è senz’altro il Concerto op. 35, brano giovanile dalle mille ironiche citazioni che ne frastagliano la scrittura e venato dalla buffa incursione della tromba, impegnata perfino in autocitazioni.
Ancor più misteriosa è la genesi creativa della Jupiter, scritta da Mozart in un periodo a dir poco nero della propria vita (scandito da insuccessi artistici e dalla morte della figlioletta). Se si ipotizza che la profonda ripercussione della morte della madre, avvenuta alcuni anni prima, abbia costituito l’antefatto morale della tempestosa Sonata K 310, meno chiara sembra la suprema affermazione di una gioia cristallina da cui sembra essere pervasa questa sinfonia, appena increspata da qualche scoppio drammatico nel primo movimento e da inquiete venature nell’Andante cantabile. Anche la rossiniana Sinfonia non mi è sembrata peraltro messa lì per caso, trattandosi di un pezzo che, lungi dal limitarsi ad intrattenere il pubblico prima dell’opera (o peggio, a far capire soltanto che l’opera di lì a poco inizierà), contiene in nuce il carattere insieme scherzoso e drammatico dell’opera.
A mio parere è stato proprio questo il filo conduttore della serata: l’affermazione della creatività come felice manifestazione di vitalità e ottimismo contro le difficoltà dell’esistenza. Un atteggiamento che, inutile dirlo, ha trovato nella storia della musica la sua più sublime espressione nella beethoveniana Nona.
Le ragioni per riflettere quindi ci sono state tutte in questa serata; ma altre ne sono state aggiunte dagli interpreti.
Federico Colli è un fuoriclasse del pianismo italiano, vincitore senza discussioni della Leeds International Piano Competition (uno dei concorsi internazionali più difficili al mondo), e ha senz’altro tutte le caratteristiche del giovane virtuoso incoronato da una prestigiosa giuria: infallibilità esecutiva, brillantezza, doti coloristiche impressionanti. Ma il musicista Colli, per quello che ho potuto ascoltare da lui finora, è tutt’altro che un giovane acrobata sicuro della sua eccellenza pianistica e un po’ sbruffone. Il bresciano è invece un autentico artista pensante, un filosofo senza rughe che infonde acute riflessioni nella musica che suona. Il risultato può essere più o meno felice, ma ciò che conta è che questo sforzo riflessivo si avverte al punto che a volte il pensiero sembra uscire dallo strumento per palesarsi al pubblico. Un ricercatore della musica insomma, il che rende ogni esecuzione davvero meritevole di essere ascoltata.
Nel Concerto di Šostakóvič Colli si è trovato molto a suo agio, anche perché questo autore non è per lui una frequentazione occasionale, avendone in repertorio addirittura la rara Sonata op. 61. Trovo in verità che le idee di Colli emergano con maggiore evidenza nel repertorio classico (come gli scoppi e i ripiegamenti improvvisi, di sapore romantico, nell’esecuzione del bis, la Sonata K 1 di Domenico Scarlatti, altro autore caro al pianista). In Šostakóvič, insieme al luccichìo adamantino di certi passaggi folli anche per difficoltà tecnica, si è percepita con Colli anche una certa severa brillantezza che ha attenuato in parte la vena umoristica del pezzo, il quale ne ha guadagnato tuttavia in chiarezza e in sorprendente bellezza. Le incursioni della tromba di Sergio Casesi, applauditissimo, sono state invece in perfetta linea con l’humour a tratti ruspante di questo brano.
Alessandro Bonato, alla guida dell’ottima Orchestra dei Pomeriggi Musicali, è ancor più giovane di Colli, ma è già considerato un direttore più che promettente. Si tratta di una fama, diciamolo subito, non usurpata, dato che è francamente inusuale apprezzare in un giovanissimo artista questa fermezza e maturità, tanto nel polso quanto nelle intenzioni.
Piacevolmente archiviata una Sinfonia dalla Cenerentola garbata, scorrevole, ma mai eccessiva, ben calibrata in tutte le sue dinamiche e quasi aristocraticamente distaccata, in Šostakóvič Bonato ha retto senza difficoltà la parte orchestrale (non certo secondaria o di mero accompagnamento) nonostante i tempi serrati imposti dal solista.
Bonato ha espresso poi nella Jupiter molte delle sue idee migliori, anche in questo caso perfettamente udibili e comprensibili. Con alcune si può anche non essere d’accordo, e mi riferisco ad esempio alle battute introduttive dell’Allegro Vivace, cesellate con un rallentamento in chiusura delle frasi forse eccessivo (qui rischio però di sconfinare in una pura notazione di gusto). Resta l’impressione di una bella quadratura, realizzata in ognuno dei quattro movimenti, peraltro qui costruiti tutti in forma-sonata. Questo risultato è stato ottenuto con un gesto rigoroso, capace di infondere agli orchestrali l’energia di una frustata quando serve. A colpire di più è stato poi l’uso intelligente delle dinamiche e dei colori orchestrali, spesso cangianti non per puro gusto della varietà, ma in chiave strutturale, per evidenziare via via i particolari dell’architettura mozartiana. Va da sé che questo approccio ha trovato il suo miglior esito già nel primo movimento, ma soprattutto nel Molto Allegro finale, in cui la maestosità del contrappunto si è sviluppata in mille rivoli che si sono rincorsi mantenendo ciascuno la propria identità.