L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Taedium vacui

di Roberta Pedrotti

L'esito assai modesto del concerto di Carnevale dell'Orchestra Sinfonica Rossini al Teatro della Fortuna di Fano, non all'altezza delle istituzioni coinvolte, sfocia nella noia nonostante l'originalità del programma.

FANO, 9 febbraio 2024 - La sala del Teatro della Fortuna è quasi piena per questo Concerto di carnevale, ma appare subito evidente che non si tratta del solito pubblico, né gli habitué musicofili di lunga data né i ragazzi che solo qualche sera prima affollavano esultanti la medesima sala per La cenerentola. Lo conferma la convinzione degli applausi fuori tempo dopo ogni movimento della prima sinfonia di Louise Farrenc che sa, più che di irrefrenabile entusiasmo, di inconsapevolezza della prassi, tanto più che anche alla fine si percepisce un generico consenso tutto di superficie. In effetti, al di là di chi è semplicemente felice di essere lì, non c'è moltissimo da festeggiare, questa sera e lo si presagisce quando in apertura il direttore dell'area artistica dell'Orchestra Sinfonica G. Rossini, Paolo Rosetti, ha l'ingrato compito di annunciare l'indisposizione del solista Davide Alogna. Si esibirà ugualmente, pur apportando qualche taglio e modificando l'ordine dei brani in programma. Purtroppo, però, la prima parte del concerto pesa quasi interamente sulle spalle del violino, che l'orchestra deve seguire con essenziale discrezione. Si tratta anche dei brani effettivamente legati al contesto, con l'amicizia fra Rossini e Paganini a fare da fil rouge da Un mot à Paganini (elaborazione per violino e orchestra d'archi di Orazio Sciortino) del primo al Carnevale di Venezia del secondo, passando attraverso le variazioni del genovese sulla preghiera del Mosé in Egitto del pesarese. Doppio peccato, allora, se i problemi tecnici e musicali dell'influenzato Alogna, fra difficoltà varie d'intonazione, sostegno e articolazione, anestetizzano pathos e virtuosismo. Non possiamo far altro che augurare ad Alogna di riprendersi presto e pienamente.

Voltando pagina, l'orchestra diventa protagonista, mentre dalle scampagnate carnascialesche di Gioachino e Niccolò si passa alla rara prima Sinfonia di Louise Farrenc (1804-1875), testimoniata da incisioni discografiche ma latitante dai cartelloni concertistici, nei quali potrebbe benissimo figurare come bell'esempio di sinfonismo di metà Ottocento, attento alle istanze coeve come a modelli classici (compreso il minuetto del terzo movimento). E piacerebbe che una sana varietà nei programmi potesse esprimersi in un mondo senza più il bisogno di “riparare” a discriminazioni di genere, tanto più che viviamo nella surreale contraddizione di voler render giustizia a compositrici trascurate mentre nel contempo si nega alle donne musiciste perfino il nome, chiamandole “direttore” o “maestro” contro le elementari norme di grammatica italiana. Peraltro, dato che siamo in terre rossiniane e da Rossini siamo partiti, proprio Gioachino può essere un buon esempio, lui che accettò di seguire e consigliare la giovane Carolina Uccelli (1810–1885) presenziando anche alla prima della sua opera Saul, attenzione che Uccelli ricambiò dedicando una cantata a Isabella Colbran, anch'essa autrice di pregevoli pagine musicali.

Se in precedenza l'orchestra, per la natura stessa di brani in cui i direttori possono avere davvero poco da fare, doveva avere come riferimento il solista, ora l'attenzione si concentra su Beatrice Venezi sul podio. Il gesto pare voler essere cordiale ed espressivo, ma risulta perfino eccedere nell'intento, giacché il continuo roteare delle mani non sembra mai indicare nulla di preciso, tranne quando la mano sinistra si stacca dalla simmetria per fendere l'aria con un taglio netto. Fra un mulinare simultaneo di polsi e avambracci e l'aprirsi alare e coreografico, in realtà. più che riconoscere la tecnica e l'autorevolezza della concertatrice, ci si riconosce nel gesto istintivo del musicofilo che, rilassato nell'ascolto domestico di una registrazione, accompagna la musica con le mani. Un movimento di dubbia efficacia, tant'è che non si percepisce mai un reale rapporto di causa effetto, una trasmissione e comunicazione di intenzioni fra direttrice e orchestra. Questa, purtroppo, si esprime a un livello inferiore rispetto anche alla recentissima e convincente prova nella Cenerentola rossiniana, con passaggi meno precisi e curati (alcune figure discendenti glissate più che sgranate) e una qualità del suono più generica. Pare inevitabile che latiti, allora, una più raffinata cura dinamica e agogica, sicché i quattro ben distinti movimenti della sinfonia (Andante sostenuto. Allegro; Adagio cantabile; Minuetto. Moderato; Allegro assai) suonano invero troppo omogenei. Tuttavia, ci si potrebbe almeno aspettare un pizzico di energia in più, quand'anche disordinata: invece, ciò che colpisce e sorprende è proprio che, a dispetto del rimescolìo delle braccia e perfino dell'enfasi di certi gesti, non si percepisca un accento, un'intenzione che abbia un minimo di vero mordente. Alla fine, in sostanza, il podio pare ininfluente alla concreta resa musicale, in un'atmosfera di anodina noia preconfezionata di cui finisce per far parte perfino il bis annunciato dopo solo due minuti di cordiali applausi: ancora, per esplicito omaggio al Carnevale, lo “scherzo” (che sarebbe il Minuetto) dalla sinfonia di Farrenc, peraltro di carattere non esattamente festoso.

L'impressione è quella di trovarci in un contesto da saggio scolastico invece che in una stagione strutturata. Nella miriade di concerti che si possono ascoltare in giro per l'Italia e il mondo, direttori con carenze tecniche o interpretative non mancano certo e di concerti un po' zoppicanti e noiosi capita di incrociarne. Per lo più succede, appunto, in contesti formativi (licei musicali, conservatori) in cui si guarda con indulgenza qualche esibizione un po' acerba, oppure in realtà minori e manifestazioni collaterali, dove si sperimentano nomi nuovi, i giovani fanno esperienza, o resta chi non è riuscito ad andare oltre. Se succede in ambiti più importanti, con interpreti professionalmente attivi e che hanno passato i trent'anni, si spera che il tutto si possa archiviare come incidente di percorso di una direzione artistica. Così verrebbe naturale considerare anche una serata presentata in pompa magna (la direttrice è addirittura madrina del Carnevale fanese) ma in meri termini artistici davvero poca cosa rispetto al livello di qualità del Teatro della Fortuna e della stessa Orchestra Sinfonica Rossini, che ha ben altre frecce al suo arco – come la collaborazione stabile con il Rossini Opera Festival e la creazione del Festival Il Belcanto Ritrovato – per affermare il suo valore nel percorso intrapreso con l'importante riconoscimento di prima istanza per l'iscrizione nell'elenco delle ICO.

Insomma, tanto rumore, e tanta noia, per nulla.


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