L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Amore e geometria

di Irina Sorokina

Piace molto, a Modena, Turandot nella ripresa dello spettacolo firmato da Giuseppe Frigeri e diretto da Marco Guidarini, sebbene il cast, pur applauditissimo, presti il fianco a qualche riserva.

Modena, 17 marzo 2024 - Il pensiero che viene in mente quando la recita domenicale della Turandot pucciniana ottiene un grandissimo successo potrebbe essere: perbacco, ha più di vent’anni questa messa in scena e attrae ancora. Questa Turandot dinamica e bellissima dal punto di visto visivo nacque proprio a Modena, frutto del lavoro di Giuseppe Frigeri, un autentico demiurgo che firmò regia, coreografia, scene e luci, e della costumista Amélie Haas, la sua vera co-autrice. La ripresa è stata effettuata da Marina Frigeri che è stata anche la collaboratrice alla regia e alla coreografia.

Sarebbe dovuta tornare nel 2020, ma fu cancellata a causa della pandemia. Torna adesso, e la messa in scena datata del 2003 risulta ancora interessante e stimolante, giocata su forme e colori, le prime elegantissime, i secondi cupi o sgargianti; bella soprattutto la combinazione di nero o grigio e rosso, come sul sipario. Il palcoscenico non è altro che un’ampia scalinata e al centro a volte si apre lo spazio dove sono ammassate le teste mozzate dei pretendenti alla mano della principessa cinese. Sembrano fatte d’argilla e producono un effetto raggelante, come lo produce il corpo della povera Liù morta suicida che cade e rimane immobile nello stesso spazio. E rimane lì quando Calaf e Turandot intonano il duetto conclusivo. Tutto si svolge sulla scalinata, con pochi elementi di scenografia rigorosamente geometrici; i personaggi si muovono con dignità e eleganza, e sembrano distaccati anche nelle conversazioni. Tutto è semplice ed essenziale, nulla distrae l’occhio, ma lascia l’impressione di un’armonia rigorosa. Un’ottima cornice per una fiaba d’ambientazione orientale.

L’attuale cast della ripresa modenese festeggia una vittoria e viene applaudito a lungo e generosamente, tuttavia desta non pochi dubbi dall’inizio alla fine.

La canadese Leah Gordon dà il volto e la voce al personaggio principale; non è un autentico soprano drammatico quale ci si aspetterebbe nel ruolo della protagonista dell’ultima opera di Puccini, ma un lirico spinto senza un timbro memorabile. Figura bene in scena e possiede una musicalità sufficiente, tuttavia la tensione perenne nell’affrontare la vocalità micidiale della “principessa di gelo” stanca parecchio l’ascoltatore e le sfumature biancastre nella sua voce prevalgono sui colori intensi. Ma dove mancano “la carne”, la sostanza, il colore ben definito, l’artista compensa abilmente con le sue grandi doti di attrice e interprete. Grazie a queste doti corredate da una notevole resistenza fisica la Gordon si salva nella difficile “In questa regia” e nella perfida scena degli enigmi, anche se l’orecchio di chi l’ascolta prova una certa sofferenza.

Angelo Villari l’abbiamo trovato nell’anno in corso in due ruoli difficilissimi che pochi tenori odierni potrebbero affrontare nel modo del tutto efficiente: prima Amleto nell’opera omonima di Franco Faccio a Verona, poi Manrico nel Trovatore a Modena. Da queste sfide il tenore siciliano è uscito vincitore grazie ad una determinazione e una grinta fuori da comune. Pur ammirandolo e riconoscendo il suo successo, non si possono tacere dei “ma” e dei “forse”. Se nella parte di Manrico la voce ha funzionato sufficientemente, quella di Calaf pone al cantante dei compiti troppo difficili. Il protagonista maschile di questa applaudita Turandot modenese da subito mostra bei muscoli, ma poca raffinatezza. Ne viene fuori un Calaf granitico, come se non fosse un principe innamorato con l’intenzione di raggiungere l’impossibile, sciogliere il cuore della “principessa di gelo”, bensì un condottiero che non combatte per amore, ma per dimostrare che può raggiungere ogni obiettivo. Il canto di Villari rispecchia questa visione del personaggio, già in “Non piangere Liù” eseguito con legato non perfetto, ma accettabile, e raggiunge il massimo nel fatidico “Nessun dorma” in cui la voce diventa scura e s’indurisce fino a tal punto che non dà più piacere all’orecchio e a tratti crea la preoccupazione che il tenore non arrivi alla fine del brano. Ciò nonostante, Villari riesce arrivare alla conclusione e del fatidico duetto finale e il pubblico modenese lo applaude generosamente e col tutto il cuore.

Jaquelina Livieri è davvero commovente nei panni della dolcissima Liù, convince appieno e desta simpatia dalla sua prima apparizione in scena; scherzosamente parlando non è merito soltanto suo, ma anche di Giacomo Puccini. L’onnipotente web presenta la cantante sudamericana come “attualmente considerata come il più importante soprano in Argentina” e parla di lei come il soprano lirico di coloratura. Ma a Modena la troviamo nella parte di Liù la cui scrittura è lontanissima da quella di Gilda e Violetta. Chissà se il web ha ragione, ma nei panni di Liù si ascolta un soprano lirico dal timbro non proprio indimenticabile e in possesso di una buona tecnica. La dolce schiava è affine al temperamento della Livieri e la sua interpretazione va in crescendo per arrivare a un’emozionante “Tu che nel gel sei cinta”.

Il trio dei ministri composto da Fabio Previati, Ping, Saverio Pugliese, Pang, Matteo Mezzaro, Pong, è compatto e affiatato, le voci belle e ben educate lo spigliato spirito attoriale delizia non poco il pubblico. Il bravissimo Raffaele Feo si distingue particolarmente nel ruolo dell’imperatore Altoum, per la qualità della voce bella e inconfondibile e per l’ottima pronuncia della parola. Giacomo Prestia fornisce una grande interpretazionedi Timur. Completano il cast Benjamin Cho, un mandarino, Haoyoung Yoo e Eleonora Nota, rispettivamente la prima e la seconda ancella e Alfonso Colosimo, il principe di Persia.

Grandiosa la prestazione del Coro Lirico di Modena e del Coro del Teatro Municipale di Piacenza preparati da Corrado Casati per la bellezza del suono, ma gli artisti superano sé stessi anche nell’arte dei movimenti scenici. Al grande valore di questi due cori si aggiunge il contributo importante di quello delle voci bianche del Teatro Comunale di Modena diretto da Paolo Gattolin.

Marco Guidarini alla guida dell’Orchestra dell’Emilia Romagna Arturo Toscanini appare ispirato dalla partitura pucciniana e dalla sua ricchezza di timbri, colori, ritmi, le conferisce una grande energia e punta a ottenere suono compatto e tinte decise; riserva una particolare attenzione agli assoli dei cantanti e si mette in ombra lasciando le voci brillare.

La grande musica è di casa al teatro della piccola dolce Modena e l’animato pomeriggio di ieri ne dà la conferma.


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