Da Itaca a Cartagine
Nella “Trilogia d’autunno” di Ravenna Festival, Il ritorno d’Ulisse in patria di Monteverdi e Dido and Aeneas di Purcell fanno la parte del leone, entrambe con la direzione di Ottavio Dantone, il gioco di Accademia Bizantina, la regìa, le scene e i costumi di Pier Luigi Pizzi, e l’interpretazione – tra gli altri – di Arianna Venditelli, Delphine Galou e Mauro Borgioni.
RAVENNA, 18 e 19 novembre 2024 – Al Teatro Alighieri la stagione d’opera inizierà non prima dell’anno nuovo, e presentando una serie di titoli ben equilibrata attraverso tre secoli di produzione: Giulio Cesare in Egitto di Händel, La vestale di Spontini e Tosca di Puccini. L’autunno è però già stato impreziosito dalla consueta, monografica “Trilogia” apparecchiata da Ravenna Festival, quest’anno intitolata Eroi in cerca di pace e assemblata in primo luogo con Il ritorno d’Ulisse in patria di Monteverdi (più relativi e ignoti collaboratori: 15 e 18 novembre) e Dido and Aeneas di Purcell (in un’impaginazione eccentrica: 16 e 19 novembre). Si tratta di due opere complementari nel testimoniare la metà e la fine del Seicento, nel distinguere la scena impresariale veneziana (poeticamente autonoma) da quella cortigiana londinese (influenzata da Italia e Francia), infine nel raccontare due concomitanti punti di vista all’indomani della mitica guerra di Troia: Ulisse che rientra avventurosamente alla casa di Itaca, Enea che s’illude di trovarne una nuova a Cartagine. Per arrivare al numero tre, ecco anche un concerto del controtenore Jakub Józef Orliński, accompagnato dagli strumenti del Pomo d’Oro (17 novembre): ma nel caso dell’efebico e reclamizzato cantore polacco, lamentoso per poetica e dedito alla breakdance, l’eroicizzante titolo monografico potrebbe attirare ironie. Occhi puntati e orecchi aperti, allora, sulle recite di Monteverdi e Purcell.
Ai due autori e alle loro opere corrispondono spettacoli gemelli, entrambi con la concertazione di Ottavio Dantone, entrambi con l’orchestra Accademia Bizantina, entrambi con regìa, scene e costumi di Pier Luigi Pizzi (nuovi) ed entrambi attingendo da uno stesso roster di cantanti. Spettacoli gemelli – si diceva – e però eterozigoti. Sul versante teatrale, li accomuna visivamente il filone pizziano di bianchi, viola e neri, in auge quantomeno dal 2002 dell’indimenticato Idomeneo di Mozart per Ancona, qui e là scaldati d’un tratto con gialli e rossi, e racchiusi in essenziali architetture classiche, fedeli all’ortogonalità nel Ritorno d’Ulisse, indi flesse in curva absidale in Dido and Aeneas. Le idee drammaturgiche seguono invece vie distinte: in Monteverdi ha luogo una messinscena di tradizione e alto design, con compiaciuta e sacrosanta esibizione di quei corpi – avvezzi alla palestra, degni della passerella, disinibiti sulla scena – che i cantanti di oggi possono vantare; in Purcell si gioca invece di teatro nel teatro, e siccome tale procedimento è ormai inflazionato, l’idea – eccentrica, si diceva – è di serrare Dido and Aeneas, come una colossale tropatura rappresentativa, dentro un altro e circa coevo capolavoro del compositore, ossia la grande cantata Hail! Bright Cecilia per la festa della santa patrona dei musicisti: si finge di assistere alle prove del doppio, composito, imprevedibile spettacolo purcelliano, con la detta spigliatezza scenica dei musicisti odierni.
Si apprezza cordialmente, con meno riserve del solito, anche la lettura musicale di Dantone, e per motivi tecnicamente distribuiti ma moralmente comuni tra i due spettacoli: fraseggi semplici, timbri schietti, una presa di distanza dal calligrafismo, una collaborativa intesa con i cantanti, una dignitosa fedeltà alle partiture (anche quando in Monteverdi rispunti di fatto fuori la frottola della strumentazione perduta e da reinventare, ricorrendo a organici, troppo numerosi, e a strumenti, alieni di fonica, non praticati nei teatri italiani dell’epoca; anche quando in Purcell si faccia una sola composizione a partire da due diverse, ma con garbo e gusto, anzi chiarendo la vicinanza culturale tra l’una e l’altra). Alle somme: Dantone e la Bizantina si fanno perdonicchiare del pasticciaccio brutto fatto col Ritorno d’Ulisse nel 2021 al Maggio Musicale Fiorentino (certe colpe derivavano dunque da capricci registici di Robert Carsen?) [leggi la recensione], e ribadiscono di essere – lo si sa da una Fairy Queen di ventitré anni fa, data a Lugo di Romagna e passata in discografia – tra i più vividi interpreti purcelliani attualmente alla scena, inclusi gli specialisti inglesi e francesi. Si accoglie infine a braccia aperte, in Hail! Bright Cecilia e Dido and Aeneas, il preciso e duttile Coro della Cattedrale di Siena, intorno alla prestazione del quale è tutt’un fare battute sulla ben differente, malaticcia condizione di altre e pur blasonate cappelle musicali ecclesiastiche italiane.
Nel Ritorno d’Ulisse, l’alfa e l’omega della compagnia risiedono nei due protagonisti: da una parte Mauro Borgioni, come Ulisse, il quale è oggi uno scientifico eppure modernissimo vademecum vivente su stile e tecnica del canto secentesco, dall’altra parte Delphine Galou, come Penelope, la cui ritrosia a mettersi in regola con la fonetica italiana si accompagna ormai a severi segni di declino vocale. Nella numerosa locandina spiccano inoltre Arianna Venditelli, come Minerva dalla sciolta vocalizzazione e dagli incisivi accenti, Luca Cervoni, come Eumete dal porgere assennato, naturale e simpatico, e Margherita Maria Sala, come Ericlea di materna cordialità e lussuoso mercato. Freschi, ma limitati dal non essere di lingua madre italiana, l’Eurimaco di Žiga Čopi e la Melanto di Charlotte Bowden; da dimenticare, per grossolana estraneità idiomatica, l’Iro di Robert Burt. Il valore vocale è doppiato dal trionfo visivo per Gianluca Margheri, un Giove il cui scultoreo torso nudo non è prodigio di trucco ma vero apparato muscolare, premiato da Pizzi col porgli al séguito un’aquila in carne e penne. In Dido and Aeneas, protagonisti da manuale sono invece Borgioni e la Vendittelli, al fianco dei quali la Galou, come perversa Maga, si procura un affabile riscatto, la Bowden, come gentile Belinda, dà più completo saggio di sé, e Čopi, come Spirito ma soprattutto come solista nella cantata, illustra una singolare natura anfibia tra tenore e haute-contre.
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Firenze, Il ritorno d’Ulisse in patria, 07/07/2021
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