L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Champagne e Filu de ferru

di Sergio Albertini

Gran successo per Die Fledermaus al Lirico di Cagliari: al netto di qualche motivo di perplessità, lo spettacolo nel complesso convince per la buona compagnia di canto e l'efficace resa attoriale.

CAGLIARI, 15 dicembre 2024 - Arriva da Trieste, la Fledermaus che chiude il 2024 al Lirico di Cagliari. Uno spettacolo nato due anni fa per la regia di Oscar Cecchi al Verdi tergestino, nel luglio del 2022. Uno spettacolo riuscito, tra pregi e qualche perplessità: andiamo con ordine. L'entrata in sala del pubblico trova, a luci accese, una scena di un interno contemporaneo; siamo nel 2024, una coppia si muove, annoiata, in una living room dominata sulla destra da un grande schermo televisivo su cui scorrono ininterrottamente immagini di una (parziale) contemporaneità. In ordine sparso appaino Putin e Lukashenko, la banana di Cattelan, scene da disastri legati al cambiamento climatico, Beppe Grillo, l'inaugurazione di Notre-Dame restaurata, la Ferragni in pigimino grigio e lacrime, la Coppa Davis, Elon Musk, Catherine Middleton (la principessa Kate), l'ex ministro Sangiuliano, il “Rataplan” dalla Forza del destino inaugurale scaligera, Anna Netrebko (unico modo per vederla sul palcoscenico cagliaritano...). Tanta roba, con qualche dimenticanza (la striscia di Gaza, per esempio). Arriva un rider, con un sacchetto; la coppia (ovviamente etero...) si siede a tavola, tira fuori il cibo da fast food, due lattine. Alle pareti, una natura morta con strumenti musicali in stile Baschenis, un ritratto della Callas (quello di Cecil Beaton) moltiplicato per quattro à la Warhol, una foto del Guggenheim di Bilbao, una Gioconda versione pop art.

Inizia l'ouverture, e qui purtroppo il primo inghippo: la coppia si siede davanti alla TV su cui scorrono in un montaggio da videoclip le immagini delle ultime olimpiadi parigine, e gli spettatori, distratti da questo flusso continuo, inevitabilmente finiscono per non apprezzare l'ottima esecuzione dell'Ouverture. Dal 2024 un contatore numerico proiettato sul sipario che frattanto si è chiuso riporta al 1914. Ad apertura di sipario, l'interno è lo stesso: il caminetto, le corna (riferimento nemmeno troppo ambiguo) di un cervide appese alla parete, assieme ad una manciata di paesaggi non identificati. Il secondo atto si apre sulla festa in casa Orlovsky; una gigantesca cornice racchiude dapprima due riproduzioni pittoriche, Der Kuss di Klimt (1907/08) ridotto dall'originale formato quadrato ad un taglio verticale (operazione che personalmente trovo sacrilega), e Les Demoiselles d'Avignon di Picasso (1906/07). Una giraffa a tutt'altezza regge un paralume, mentre Orlovsky entra in scena sdraiato su un leone impagliato. Più scarna la prigione del terzo atto.

In questi ambienti (le scene, debolmente funzionali, erano di PaoloVitale, responsabile anche delle luci) si muove una compagnia che mostra l'ottimo lavoro fatto da Cecchi: aver ottenuto una resa attoriale pienamente soddisfacente da parte del cast vocale. Un minuzioso lavoro su espressioni facciali, gesti, azioni, accenti, in un palcoscenico che non ha mai visto staticità, momenti stagnanti (tranne che nei movimenti generici e confusi del coro al secondo atto). Cantanti/attori disinvolti anche nel bilinguismo della produzione (dialoghi in italiano, il tedesco per le parti cantate). La distribuzione vocale è felicemente omogenea (come raramente è capitato di ascoltare al Lirico di Cagliari): la Rosalinde di Lucrezia Drei (quanta strada, dalla prima volta che l'ascoltai pastorello nella Tosca alla Scala!) ha tutta l'eleganza e l'aplomb necessari, nonché la precisione tecnica in “Klänge der Heimat”; l'Adele di Mariam Battistelli ha un registro acuto a dir poco sfolgorante e, dopo una certa legnosità iniziale, una verve interpretativa ben controllata (applauditissimo il suo “Mein Herr Marquis”),anche se forse Cecchi ha reso la lettura della lettera della sorella troppo enfatica e declamatoria; buona la Ida di Maria Cristina Bellantuono.

Sul fronte maschile, per una improvvisa indisposizione Bruno Taddia è stato sostituito da Gurgen Baveyan; il cantante armeno, dalla perfetta pronuncia italiana, è stato un Eisenstein ideale, affiancato dal canto morbido e carezzevole di Alberto Petricca quale Dr.Falke. Il cast maschile si completava con l'abilità scenica e vocale di un rodato Gregory Bonfatti (Dr. Blind, con una parrucca alla Branduardi), con Paolo Gatti, incantevole Frank,con Joel Prieto, un Alfred perfetto vocalmente (anche nelle numerose citazioni operistiche) ed esilarante come attore. Nell'ambiguo ruolo di Orlovsky Veta Pilipenko ha il physique du röôle adatto, androgino e seducente; la bellezza del mezzo soprano russo fa passare in secondo piano una linea di canto frantumata tra i diversi registri, ma sempre porta con eleganza.

Della regia, s'è detto. Anche se appare strano che Falke, all'ingresso in casa Eisenstein, poggi la sua borsa per terra anziché sulla credenza accanto il suo ingresso. E appare decisamente forzato questo invocare 'pace' proiettando le date dei prossimi anni a venire dopo l'apparizione sullo schermo della parola 'guerra' in differenti lingue (già a Trieste si 'proiettava' una 'pace' per il 2023, e com'è finita è sotto gli occhi di tutti...).

Vero è che il celeberrimo primo interprete di Frosch, Alexander Girardi, recitava in dialetto viennese, ma la parte affidata qui a Cagliari all'enfant du pays Massimiliano Medda era decisamente fuori luogo (pur se apprezzatissimo dal pubblico); frasi in lingua sarda, ubriacatura più da filu de ferru che da slivovitz, un Frosch più prossimo, insomma, a serate da cabaret locale.

Niente parata di ospiti eccellenti nella festa di Orlovsky, ma la partecipazione dei ballerini del Corpo di Ballo della SNG Opera in Ballet di Ljubiana; si è scelto di inserire An der schonen blauen Donau coreografata con languidi passi da Lukas Zuschlag, ed una indiavolata polka ( Unter Donner und Blitz), oltre a siparietti danzati attorno a “Ich lade gern mir Gäste ein” (Orlovsky) e a “Klänge der Heimat”, ora con una ballerina sulle punte in stile carillon, ora con un ballerino coi tacchi a spillo incredibilmente simile al Frank-N-Furter del Rocky Horror Picture Show. Facile effetto coi ballerini che entrano in sala e coinvolgono nel ritmo del valzer gli spettatori. Facile felicità del pubblico.

Sui costumi non accreditati poco da dire: ordinaria tradizione, tra tardivo ottocento e moda charleston.

Coro (preparato da Giovanni Andreoli) in bella vista in Ein Souper heut uns winkt, in Genug damit, genug e nel conclusivo e festoso O Fledermaus! O Fledermaus!.

Sulla direzione, poche parole: Nikolas Nägele – che ha diretto anche Die Fledermaus a Trieste – già assistente di Thielemann a Salisburgo e a Bayreuth, mantiene un ritmo serrato e poco concede al languore, riempie di suono la fossa e carezza appena i rubati, galoppa sulla partitura e scansa il passo. Gli risponde un'orchestra in gran spolvero, dagli archi compatti e dagli ottoni luminosi. Funziona.

Leggi anche:

Vladivostok, Die Fledermaus, 28/03/2021

Cagliari, Adriana Lecouvreur, 27/10/2024

Cagliari, Madama Butterfly, 30/06/2024

Cagliari, L'italiana in Algeri, 12/05/2024


Vuoi sostenere L'Ape musicale?

Basta il costo di un caffé!

con un bonifico sul nostro conto

o via PayPal

 



 

 

 
 
 

Utilizziamo i cookie sul nostro sito Web. Alcuni di essi sono essenziali per il funzionamento del sito, mentre altri ci aiutano a migliorare questo sito e l'esperienza dell'utente (cookie di tracciamento). Puoi decidere tu stesso se consentire o meno i cookie. Ti preghiamo di notare che se li rifiuti, potresti non essere in grado di utilizzare tutte le funzionalità del sito.