Non solo Strauss
Il concerto di Capodanno della Filarmonica di Modena diretta da Hirofumi Yoshida conquista il pubblico con un programma dedicato, oltre che a Strauss, a Čajkovskij, Khačaturjan e Borodin.
MODENA 1° gennaio 2025 - La piccola dolce Modena non delude mai. Il suo teatro è più elegante che lussuoso e la sua stagione lirica e concertistica (ma ci sono anche molti spettacoli di danza) rimane un po’ in ombra se confrontata con la vicina Parma, luogo del rinomato Festival verdiano. Ma il vero amante di musica non si farà mai sfuggire spettacoli e concerti al teatro modenese, quasi sempre si tratta degli produzioni di buon gusto con dei buoni cast.
Il primo gennaio dell’anno appena arrivato ai modenesi e gli amanti della musica il Teatro Pavarotti Freni ha fatto un vero regalo, il concerto di Capodanno. Di solito si andava anche ad assistere allo stesso evento al Filarmonico di Verona, ma stavolta la direzione, visto il successo del Lago dei cigni, il balletto più famoso al mondo, ha preferito di aggiungere due repliche. Così, gli amanti veronesi dei concerti di Capodanno sono stati “costretti” a partire per la vicina Modena e non sono rimasti, certamente, delusi.
Il direttore giapponese Hirofumi Yoshida è salito sul podio anche aprire il 2025, conferma ampiamente meritata dopo il successo ottenuto esattamente un anno fa. In molti si saranno aspettati una scaletta centrata su valzer, polke e marce della famiglia Strauss, ma il maestro, l’orchestra Filarmonica di Modena e ben tre cori – Corale Rossini di Modena, Coro Città di Mirandola e Corale Lirica San Rocco di Bologna affidati alle mani di Luca Saltini – riservano al pubblico una bella sorpresa, un programma quasi totalmente dedicato ai grandi classici russi del secondo Ottocento, Čajkovskij e Borodin, e con una vera perla, il celebre Valzer di Aram Khačaturjan dalla suite Masquerade, composta per il dramma omonimo di Lermontov, poco conosciuto oltre i confini della Russia. I due celebri valzer Wiener Blut (Sangue viennese) e Kaiser-Walzer (Valzer dell'Imperatore) fanno da corredo, col compito di alleggerire e schiarire le atmosfere a tratti drammatiche dei frammenti del Lago dei cigni e Lo schiaccianoci e quelle selvagge delle Danze polovesiane da Il principe Igor, l'unica opera lirica di Borodin.
La partitura del Lago dei cigni spesso viene considerata dai musicologi una specie di raccolta di bellissime melodie, una serie di „canzoni senza parole“, se confrontata al vero sinfonismo dei balletti successivi, La bella addormentata e Lo Schiaccianoci. Sarà, ma al concerto modenese il maestro Yoshida tratta quattro pezzi dal Lago dei cigni – Scéne, Valse, Danses des cygnes e Danse Espagnole – come autentiti esempi di musica sinfonica. Sfumature drammatiche nella Scène; sonorità trionfanti nel Valse champêtre dove gi archi si distinguono per il suono pieno e gioioso, ma non manca la sottile malinconia del tema in minore; forti contrasti nelle Danses des cygnes tra cui le Dance des petits cignes ottiene, naturalmente, il più grande successo; ritmi incalzanti nella Danse espagnole, giustamente acclamata dal pubblico.
L'intento del maestro Yoshida di valorizzare l'aspetto sinfonico delle musiche ballabili di Čajkovskij riesce ancor meglio quando dalla suite del Lago dei cigni si passa a quella dello Schiaccianoci op. 71a. La marcia frenetica del primo atto crea il giusto contrasto con le sonorità fantasmagoriche della variazione della Fata Confetto, celebre per l'uso della celesta (gli amanti del balletto si ricordano che Čajkovskij paragonò il suono di questo strumento raro alla caduta delle gocce della fontana), il corposo e incalzante Trépak (Danza russa) dialoga con il languido Caffé (Danza araba), il Té (Danza cinese) un po' caricaturale è in aperto contrasto con la civettuola Danse des mirlitons. La delicatezza distingue la direzione del maestro Yoshida, che passa gradualmente dai pezzi della suite al celebre Valse des fleurs (Valzer dei fiori), un esempio glorioso della musica di Čajkovskij per balletto, che a pieno titolo viene riconosciuta al pari di quella sinfonica.
Pochi conoscono il dramma di gelosia Masquerade del grande poeta russo Mikhail Lermontov, ucciso, come Puškin, in un duello, e raramente i teati lo mettono in scena. Al contrario, gode di grande popolarità il Valzer che fa parte della musica scritta dal compositore sovietico di origini armene Aram Chačaturjan per una messa in scena teatrale. Un pezzo dal sapore popolare, amato dal grande pubblico non soltanto in Russia, trova nel maestro Yoshida un interprete poliedrico capace di penetrare nello spirito “sovietico” del pezzo, un pochino grandioso, un pochino vistoso, un pochino “isterico”. Per nulla turbato dal continuo “un pa pa” del brano, dal melodismo “popolare”, gioca sull’agogica e alla fine del brano viene applaudito quasi follemente.
Per alcuni minuti il maestro Yoshida fa tornare il pubblico nella zona confortevole di due valzer di Johann Strauss II, Wiener Blut (Sangue viennese) e Kaiser-Walzer (Valzer dell’Imperatore). Nel primo punta sulla grazia e la dolcezza, giocando coi ritmi capricciosi delle varie sezioni, nel secondo la sua lettura si distingue per lo spirito trionfante e il ritmo ferreo, ma fa trattenere il fiato degli ascoltatori con sospensioni che sanno di magico. Magia o non magia, resta l’impeccabile senso ritmico del direttore giapponese e la sua capacità d’ispirare i propri musicisti.
La loro ispirazione sembra ancora più notevole quando si passa alle Danze polovesiane da Il principe Igor di Aleksandr Borodin, una vera gioia per chi conosce questa meravigliosa “suite” dalla sua unica e incompiuta opera tratta dall’antico testo russo Il canto della schiera di Igor’ (ci sono più traduzioni in italiano del titolo). La suite è composta dai brani per orchestra quali l’introduzione e le danze e dai brani corali tra cui “Uletai na kryl’jakh vetra” (“Vola sulle ali del vento”) per voci femminili e “Slavoj dedam raven khan” (“La gloria del khan è pari ai suoi antenati”).
Se il russo Borodin riesce miracolosamente trasmettere nella propria musica il colore d’oriente, penetrare nello spirito di un popolo di cui si hanno pochissime notizie, lo giapponese Yoshida è capace di rivelare al pubblico la sensualità malinconica del coro delle fanciulle polovesiane e lo spirito selvaggio e indomabile dei loro uomini guerrieri nel finale della suite. Ma c’è anche di più nel finale del concerto modenese: il coro e l’orchestra sembrano realmente entrare in uno stato d’estasi o, addirittura, di follia collettiva; l’unisono conclusivo ricorda una grandine in una foresta fitta o una tempesta nella steppa, mentre la gesticolazione dell’esile maestro giapponese potrebbe essere paragonata ai passi di uno sciamano. Il risultato non può essere che un successo grandioso, con numerose chiamate del maestro sul palco.
Non abbiamo detto all’inizio che il Teatro Comunale della piccola dolce Modena non delude mai?