Si colmi il calice
L'Orchestra Filarmonica marchigiana saluta il 2025 in vista di una stagione intensa e ricca di solisti ospiti di rilievo.
FERMO 1° gennaio e JESI 3 gennaio 2025 - Prima di immergersi in una nuova stagione che ospiterà molti solisti allettanti, la Filarmonica marchigiana apre l'anno, com'è ormai abitudine, con un programma festoso e una voce sopranile.
Un impaginato che affianca la tradizione dell'opera italiana a quella della danza viennese sembra, nella prima parte, indulgere più in atmosfere tragiche che brillanti, sebbene, a ben guardare, proprio nella logica della tragedia classica si tratta (con l'eccezione di Manon Lescaut) di titoli in cui la morte di almeno un personaggio principale comporta il ripristino di un ordine universale: muore Abigaille, ma l'ubritico Nabucco è redento; muoiono Duncano, Banco, la famiglia di Macduff, Macbeth e la Lady, ma la Scozia si libera dall'oppressione di un usurpatore; muore Liù, ma Turandot si sgela e la Cina non si trova più sotto il giogo della sua legge spietata; muore Semiramide, uccisa dal figlio inconsapevole, ma l'Assiria esulta per l'espiazione del regicidio il ripristino della legittimità sul trono. Certo, queste speculazioni drammaturgiche non trasformano la parte operistica del programma in un trionfo d'allegria sotto il vischio, ma si tratta sicuramente di un'occasione in più per apprezzare l'orchestra in un repertorio ben consolidato: nel 2024 avevamo ascoltato la sinfonia di Nabucco a Pesaro e l'opera completa ad Ancona, l'intermezzo di Manon Lescaut a Pesaro, l'intera Turandot a Macerata; Macbeth era andato in scena l'ultima volta a Fermo nel 2022 e allo Sferisterio nel 2019 (dove tornerà nel 2025). La sinfonia di Semiramide è invece, purtroppo, meno frequentata e si è ancor più apprezzata, dunque, per la buona resa anche dei tanti ostici passaggi solistici. Una bella acquisizione di repertorio che si affina viepiù fra le repliche. Peccato, semmai, che la bacchetta di Stefano Romani non abbia approfittato del potenziale della Form, imprimendo da parte sua un'eccessiva uniformità di fraseggio.
Il limite di una bacchetta non esattamente vitale e fantasiosa si fa sentire anche nella seconda parte dedicata a Johann Strauss II, di cui si sono ascoltate anche alcune rarità per i cartelloni italiani, come l'ouverture dell'operetta Waldmeister, pezzo davvero suggestivo, e le versioni con soprano di Frühlingsstimmen (Voci di primavera) e Annen Polka. Quest'ultima, un divertente arioso “alcolico” che rammenta nello spirito la celeberrima aria della Perichole di Offenbach, è anche il momento migliore per la taiwanese Hanying Tso-Petanaj, il cui viso ispira immediata simpatia e la cui attenzione alla chiarezza della pronuncia desta ammirazione, benché paia un pochino azzardata la scelta di cantare “Vieni t'affretta... Or tutti sorgete” di Lady Macbeth e “In questa reggia” di Turandot oltre ai due leggiadri pezzi viennesi e a un brano di schietto virtuosismo liberty come Il bacio di Arditi, proposto come bis. L'esuberante Éljen a Magyar! (che a Jesi sostituisce anche felicemente Arditi come encore) e l'immancabile An der schönen blauen Donau sono in locandina i due omaggi alla più consolidata tradizione viennese, oltre naturalmente al fuori programma d'obbligo: l'allegro battimani sulla Radetzky Marsch saluta il 2025 dando l'appuntamento ai prossimi concerti.
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