L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Lezioni viennesi

di Roberta Pedrotti

Il tradizionale programma festivo dei Pomeriggi musicali, affidato ad Alessandro Bonato parla di festa, ma anche di leggerezza, rapidità, esattezza, visibilità, molteplicità e coerenza.

MILANO, 21 dicembre 2014 - In un Teatro Dal Verme tutto esaurito, fin dalle prime battute, il valzer Frühlingsstimmen (voci di primavera) fa sobbalzare e inchioda la poltrona mentre la mente segue il moto della danza. Sembra una della pagine più note e affabili di tutto il repertorio, ci si appresta all'ascolto con un placido sorriso, ma l'attacco perentorio non lascia scampo, si fa largo e poi si slancia leggiadro e volitivo in un ciclo continuo di rubati che delinea elegantissimo vortici rapinosi o languidi abbandoni senza soluzione di continuità.

Come ogni programma festoso e straussiano che si rispetti, anche quest'anno quello dei Pomeriggi musicali di Milano alterna consolidati cavalli di battaglia e pagine meno frequentate (il solo Johann Strauss II ha scritto circa cinquecento danze: una miniera pressoché inesauribile) con una leggerezza che non è solo facciata o maniera, ma – secondo la lezione di Calvino – è virtù fondamentale proprio perché inserita in una più articolata dialettica. La Leggerezza esiste perché esiste il peso, l'immaginazione e il sogno perché esiste la realtà; molte danze viennesi sono legate a eventi vissuti, coinvolgono oggetti concreti, sonorità quotidiane, la festa si confronta con il lavoro (ecco incudini, martelli, segnali ferroviari, spari...), la componente fisica, data anche dalla sensualità della danza e dal moto dei corpi, resta inafferrabile, sfuggente, affine alla dimensione del sogno.

Non è scontato saper cogliere questo equilibrio in perpetuo movimento, ma da qualche anno ormai Alessandro Bonato ha dimostrato di possedere un'affinità elettiva con le danze viennesi, tale da valergli l'appellativo di “Boskovski del Lombardo Veneto”. La leggerezza volteggia inafferrabile nel sapiente ancoraggio di pesi focali, come un piede che poggia saldo a terra e fa da perno per un nuovo slancio sul levare, con il battere magari eluso ma non dimenticato. Qui gioca la sua parte anche la Rapidità, anch'essa percepibile perché esiste il suo contrario, come quando nella Annen Polka si percepisce il molle adagiarsi dell'ultimo ballo della festa, quando il desiderio è ancora vivo ma le gambe ondeggiano cercando calma e riposo; o, ancora, nella prima sezione della czárdás dall'operetta Ritter Pázmán, che naturalmente poi si impenna nell'inebriante epilogo. Il dominio del tempo è fondamentale e permea di spirito ogni pagina definendola esattamente, come nel caso della Maskenball Quadrille, uno dei marchi più significativi dell'approccio idiomatico di Bonato, che non cade nella tentazione fortissima per un direttore italiano (e di così ardente passione verdiana!) di enfatizzare la cantabilità dei temi da Un ballo in maschera, sottolineando piuttosto come quegli stessi elementi così riconoscibili possano diventare altro, danza, appunto.

Leggerezza e Rapidità senza Esattezza non vanno lontano, anzi: spesso vediamo come correre e assottigliare sia un alibi per mascherare la confusione, mentre il tempo giusto dovrebbe essere sempre quello che consenta intelligibilità e articolazione, il peso quello che non faccia evaporare o collassare il nitore oltremisura. Bonato dimostra sempre più un gesto esatto, preciso, inequivocabile nel rapporto consequenziale con il suono. Autorevole, sicuro, anche nel comunicare il piacere di far musica insieme. Perché, non dimentichiamolo, il gusto della musica festiva per eccellenza deve promanare innanzitutto da chi la esegue, anche sul piano visivo. La tradizione viennese richiede una teatralità anche burlesca cui non ci si sottrae certo in questa occasione, specie con la complicità del giovane percussionista Filippo Pelucchi, bravo quanto simpatico nel venire al proscenio con incudini e martelli (Feuerfest Polka), sparare (Auf der Jagd!), brandire paletta e cornetta da capotreno (Vergnügungszug-Polka). Al termine del concerto, poi, durante il fuori programma (l'irrinunciabile Radetzky Marsch, cui seguirà in chiusura l'acclamata ripresa di Unter Donner und Blitz), la prima viola Giulia Panchieri si scambia con Bonato, lei sale sul podio e lui imbraccia lo strumento. Sì, tutti si divertono un mondo e per un motivo ben preciso: perché c'è sostanza e qualità musicale a permettere il gioco, altrimenti sarebbe solo show fine a sé stesso.

Tutto questo, con un organico dei Pomeriggi Musicali ben rinverdito (fanno davvero ottima figura i volti nuovi e giovani, che sembrano anche contribuire a una maggior rotondità di suono) e una concertazione di tale qualità tecnica e poetica, contribuisce a restituire l'affascinante e inafferrabile molteplicità di un repertorio ricchissimo che è insieme carne e spirito, concretezza e sogno, ironia e malinconia, prisma dalle innumerevoli sfaccettature, rappresentate anche dai caratteri esotici e folklorici della Persischer Marsch e diÉljen a Magyar!, dallo scatenarsi onomatopeico di Unter Donner und Blitz, dal canto della Bauern Polka o dall'effervescenza ritmica della Jokey Polka. La danza viennese è come lo champagne che inebria i sensi con la percezione tattile sfuggente del perlage, la struttura complessa e sottile di armoni e profumi, un mondo che scorre in (apparente?) spensieratezza, come impariamo dalla Fledermaus, la cui ouverture è proposta in una lettura pure maliosa, tanto ricca di dettagli quanto limpida e fluida. Tutto questo si chiama anche coerenza, senza cui il molteplice si disperde. Alla vigilia del bicentenario della nascita di Johann Strauss II, ecco una “lezione viennese” di leggerezza, rapidità, esattezza, visibilità, molteplicità e coerenza: ci saluta un viaggio An der schönen blauen Danau elegante, amabile e pure libero da ogni retorica di princisbecco, anzi, palesemente sorella della Renana di Schumann nell'osservare, lungo le sponde del fiume, la vita, la natura e la festa. Tanti sono i modi per essere profondi: Prosit Neujahr!

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