L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

La forma del sacro

di Mario Tedeschi Turco

Enrico Onofri dirige l'ultimo concerto del ciclo veronese dedicato alla visita di Mozart alla città

Verona, 31/01/2025 - Termina con l’esecuzione di un assoluto capolavoro il mese che Verona dedica a ricordare la visita di Mozart del 1770: la Grosse Messe, K. 427 che, per quanto incompiuta, brilla luminosissima nel catalogo del Salisburghese quale sintesi abbagliante di teatralità, rigore architettonico, cantabilità melodica, intensità lirico-elegiaca, infinita varietà di espressione nella parola liturgica. Al Filarmonico i complessi di Fondazione Arena si sono presentati sotto la direzione di Enrico Onofri (Maestro del coro Roberto Gabbiani), con la partecipazione dei soprani Gilda Fiume e Arianna Vendittelli, del tenore Krystian Adam e del basso Adolfo Corrado. Per chi – come chi scrive – ascolta l’orchestra areniana da più di quarant’anni è una soddisfazione poter notare come progressivamente essa sia andata migliorando, acquisendo sempre più compattezza intra e inter-sezioni, equilibrio complessivo, qualità individuali, che la rendono oggi uno strumento duttile per repertori diversi e che ai diversi concetti direttoriali può adattarsi, con risultati pregevoli. In questo concerto, un direttore come Enrico Onofri ha proposto l’approccio che era da aspettarsi da un musicista di lunga militanza HIP: tempi stretti, ductus mobilissimo, contrasti dinamici repentini senza allargare diminuendo o crescendo, l’elettricità del movimento del suo stesso corpo a dare impulso a un moto nervoso, drammatico non per tanto per pathos quanto per necessità cinetica. Ne è risaltata in particolare la scrittura contrappuntistica, ben rilevata dall’equilibrio delle sezioni orchestrali quanto a spessore fonico, precisione di attacchi e coesione d’insieme. Così, nel “Domine Deus” o nel “Quoniam” l’interpretazione di Onofri ha spiccato il contrappuntismo antico in modo particolarmente convincente; del pari, il basso ostinato nel “Qui tollis” – tradizionale nella musica barocca di carattere elegiaco, come ricorda Stanley Sadie – in questa esecuzione ha ricevuto lo sbalzo appropriato, il quale davvero ha reso l’idea del compositore ventisettenne che sta reinventando le grandi forme del passato, così come le stava conoscendo grazie allo studio (condotto con stupefatta ammirazione) del magistero di Bach e Händel. Dello stile antico, l’idea stessa del divenire giunge a Mozart e alle sue monumentali campiture, alle sue sintesi di figurazioni melodiche su un fondo infinitamente mosso, quasi si trattasse di dar forma allo stesso spirito vitale che si sviluppa in continua metamorfosi nel mondo: ecco, con l’approccio di Onofri questo tipo di mistica della forma pura risulta ben evidente, e l’orchestra con il coro veronese ne ha fornito una decorosissima e competente versione. Coerentemente con la forte idea complessiva di Onofri, le sezioni più evidentemente modellate sul canto teatrale hanno forse sofferto un po’: non certo per imperizia, ché anzi la Fiume e la Vendittelli sono state assolutamente impeccabili per intonazione, fraseggio e agilità, bensì per il deliberato gesto antiretorico di Onofri, che opta per esempio nell’ “Et incarnatus est” per una riduzione dello sfondo auratico dello strumentale, con poco vibrato degli archi, i legni in dialogo (peraltro ottimi) lesti e freddi a punteggiare con eccessiva leggerezza la miracolosa melodia inventata da Mozart. E così si può dire di tutti gli altri momenti lirico-drammatici nei quali le voci soliste sono protagoniste. Non che sia un approccio inedito, del resto, essendo anzi questo gesto “a sottrarre” un carattere fondante dello stile esecutivo degli ultimi anni, riguardo al quale non c’è in verità nulla da eccepire, razionalmente: per ragioni di stile e storia della prassi anni ’80 del 1700, la lettura di Onofri è perfettamente lecita ed è stata come detto ben sostenuta da tutti i musicisti coinvolti, anche se noi avremmo preferito che l’analisi strutturale rigorosa fosse più partecipata nel senso che la scrittura di Mozart (sostenuta da tracce non equivocabili che si trovano nelle sue lettere, nella sua biografia e nella stessa storia evolutiva della musica) ci sembra ampiamente autorizzare.

La serata era stata aperta da una tornita, rapida, incalzante esecuzione della Sinfonia n. 39 di Michael Haydn, della quale ancor più Onofri e l’orchestra veronese hanno reso le “terrazze” dinamiche, il vigore cinetico, le proporzioni classiche della forma-sonata concluse nel terzo movimento da un fugato di cui forse si ricordò Mozart per la Jupiter, plasmato con bella energia e nitore di linee. Un’eccellente scelta di programma, dunque, del resto non insolito nelle validissime selezioni di repertorio della Fondazione Arena nella sua stagione al chiuso, durante la quale giustamente si fa estesamente perdonare taluni eccessi grand public dei suoi cartelloni estivi…


Vuoi sostenere L'Ape musicale?

Basta il costo di un caffé!

con un bonifico sul nostro conto

o via PayPal

 



 

 

 
 
 

Utilizziamo i cookie sul nostro sito Web. Alcuni di essi sono essenziali per il funzionamento del sito, mentre altri ci aiutano a migliorare questo sito e l'esperienza dell'utente (cookie di tracciamento). Puoi decidere tu stesso se consentire o meno i cookie. Ti preghiamo di notare che se li rifiuti, potresti non essere in grado di utilizzare tutte le funzionalità del sito.