Il maestro subentrato e il Faust
La stagione d’opera del Teatro Massimo di Palermo prosegue con una nuova accattivante produzione del Faust di Gounod per la regia di Fabio Ceresa. Alla parte musicale sovrintende il navigato Frédéric Chaslin subentrato in corsa durante le prove. Notevolissimo il Méphistophélès di Erwin Schrott.
Palermo, 23 marzo 2025 - Come ben circostanzia il saggio di David Lowe nel programma di sala di queste recite palermitane, Mikhail Bulgakov, scrittore russo dei primi del Novecento, nutrì una fervente predilezione per il Faust di Gounod al punto che il suo romanzo di maggior successo – Il maestro e Margherita – può esserne considerato il riversamento narrativo in prosa a posteriori. La presenza di una fonte letteraria derivata da quella operistica ha suggerito a Fabio Ceresa l’impianto drammaturgico di questa ricca nuova produzione interamente curata dal Teatro Massimo. Ecco che l’azione è traslata nella Russia totalitaria degli anni Trenta, in cui il personaggio di Faust di derivazione goethiana si identifica con il Maestro della fonte letteraria, emarginato scrittore e drammaturgo in crisi nel regime staliniano, che trova il suo Méphistophélès nel parallelo Woland, attorniato in scena da figuranti nei panni degli altri personaggi del romanzo Korov'ev, Azazello, la strega Hella e il gatto Behemont. Il ben congeniato gioco di scene e controscene, gestito con buon professionismo, popola il solito impianto a spezzati prospettici di Tiziano Santi con tappeti e arredi in continuo riposizionamento, senza che la narrazione ne risulti ostacolata ma, a dir del vero, senza che la sovrapposizione drammaturgica aggiunga granché, né rendendosi particolarmente intelligibile, se non dopo la lettura delle note di regia. L’estro e la cura del dettaglio sono cifre distintive riconoscibili nei costumi di Giuseppe Palella, e non perde occasione per ribadirlo, così come di buon livello tecnico è il disegno luci di Giuseppe Di Iorio.
Più dubbi sulla carta destava la parte musicale dello spettacolo, per via della defezione di Daniel Oren, latitante per motivi di salute fino all’antegenerale e rimpiazzato da Frédéric Chaslin a pochissimi giorni dalla Prima. Assistendo alla quinta recita, però, la quadratura degli insiemi risulta improntata ad un solidissimo professionismo, con una buona tenuta di insieme dell’Orchestra e del Coro istruito da Salvatore Punturo. La lettura pragmatica nella scelta dei tempi si avvale comunque della mano di un buon conoscitore di questo repertorio che se da un lato non rinuncia alla facile teatralità un poco troppo rumorosa nel quinto atto, dall’altro non è refrattaria alla ricerca di colori pastello e ben sorvegliati allentamenti agogici nei momenti di massimo lirismo. Dell’iniziale scelta direttoriale, recuperato il recuperabile, si scontano comunque i vistosi tagli soprattutto nella Nuit de Walpurgis, particolarmente imperdonabili proprio ad una delle poche fondazioni lirico sinfoniche italiane ancora in possesso di un residuale corpo di ballo.
Il cast radunato attorno al catalizzatore Erwin Schrott quale Méphistophélès, eccezion fatta per il Valentin scolastico di Andrew Hamilton, è di ottimo livello a partire sin da Natalia Gavrilan e Daniele Muratori Caputo che, rispettivamente impegnati come Marthe e Wagner, sono comprimari di gran lusso. Anna Pennisi disegna un apprezzabile Siebel, plausibile in scena e capace di un’ottima prova in “Faites-lui mes aveaux” all’inizio del terzo atto.
Più articolato – e non esente da qualche distinguo – si fa il discorso sui tre protagonisti, a partire dalla coppia di amorosi Ivan Ayón Rivas e Federica Guida, entrambi caratterizzati da uno strumento di pregevole grana, complessivamente ben amministrato, eppure non del tutto convincenti con lui poco affine per esuberanza ed emissione al repertorio francese e lei non troppo a suo agio nel canto d’agilità. Va da sé, quindi, che il canto tutto muscolare della corda tenorile lasci poco spazio a languori e finezze à la Kraus mentre la prova sopranile sia in costante crescita per tutta la serata, a partire da un’aria dei gioielli abbastanza corretta e sorvegliata fino ad un’Apothéose decisamente più trascinante. Su tutti il mattatore è Schrott che farà registrare qualche disomogeneità fra il registro da basso e l’emissione baritonaleggiante nella regione più acuta del pentagramma, sarà anche costantemente sopra le righe e poco rispettoso del dettato ritmico dello spartito, ma in scena riesce a diventare il diavolo in persona; istrionico, con il velluto in gola, difficilmente potrebbe trovare terreno più fertile dove mettere a segno le sue peculiarità: chapeau!
Successo a fine recita per tutti, con punte di apprezzamento per Schrott e per Frédéric Chaslin, pronto a ritornare a Palermo per un’altra vistosa cancellazione, quella del concerto di fine aprile di Omer Meir Wellber, ormai trasmigrato in altri lidi e non più intenzionato ad onorare gli ultimi impegni palermitani annunciati.
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