L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Otello fu

di Giuseppe Guggino

Defezionario Yusif Eyvazov per malattia nel ruolo eponimo subentra un deficitario Mikheil Sheshaberidze. Coerente lo spettacolo di Mario Martone e di assoluto rilievo la lettura di Jader Bignamini.

Palermo, 28 gennaio 2025 - Il rischio di fare Otello senza Otello è quello che inevitabilmente si corre quando si porta in scena un titolo così fortemente dipendente dalla presenza di un protagonista eponimo all’altezza. Può quindi capitare all’annunciato Yusif Eyvazov – a quanto pare già non molto a suo agio alla prima – un forfait per malattia, con il subentro del tenore dalla seconda compagnia; purtroppo, però, la caratura di Mikheil Sheshaberidze, onesto cantante con tutte le note per Otello, non è tale da reggere il ruolo se per tutta la prima ottava la voce è fibrosa e costantemente intrappolata e guadagna appena in squillo man mano che sale, perdendo però il controllo dell’emissione. Meglio vanno le cose con Nicola Alaimo che fa emergere uno studio della parola verdiana sillaba per sillaba, sebbene il colore baritonale sia più adatto alla bonomia di un Falstaff che non alla cattiveria dell’alfiere d’Otello, e con la combattiva e incisiva Desdemona di Barno Ismatullaeva ancorché dal timbro non indimenticabile, caratterizzato da un eccessivo vibrato stretto.

Né le malattie stagionali si fermano al primo tenore, giacché nei panni di Cassio è costretto a subentrare dalla seconda compagnia il sonoro ma non molto rifinito Rosolino Claudio Cardile. Vario il livello dei comprimari con – in ordine di bravura decrescente – Andrea Schifaudo (Roderigo), Adriano Gramigni (Lodovico), Irene Savignano (Emilia) e Italo Proferisce (Montano).

Lo spettacolo di Mario Martone, coprodotto col San Carlo di Napoli [leggi la recensione], scaturisce da un funzionale trasposizione delle vicende del moro di Venezia in uno scenario di guerra mediorientale dei nostri giorni; l’ambiente militare – come peraltro aveva già insegnato Graham Vick alla Scala in uno spettacolo ben meno audace – è un potente catalizzatore del maschilismo sotteso dalla drammaturgia scespiriana cui le scene di Margherita Palli, i costumi di Ortensia De Francesco e le luci di Pasquale Mari costituiscono supporto d’alto professionismo. Ottima la cura nella realizzazione, nella gestione delle masse e del nutrito drappello di figuranti, sebbene latiti invece quel lavoro scenico su qualche protagonista che una lettura tanto radicale avrebbe richiesto.

Elemento di maggior interesse della serata è però il lavoro pregevolissimo sui dettagli dell’orchestrazione di cui è capace Jader Bignamini che, se talvolta si abbandona a qualche clangore di troppo fra gli ottoni, peraltro non sempre inappuntabili, al contempo è capace di un lavoro di scavo nella partitura che non avrebbe eguali fra i colleghi della sua generazione. A questo si coniuga un gesto di chiarezza esemplare a cui purtroppo non è corrisposta la dovuta attenzione da parte dell’Orchestra del Massimo nella tempesta iniziale; né i contrabbassi si sono coperti di gloria all’inizio del quarto atto, al pari del Coro di voci bianche e del Coro un poco al di sotto delle rispettive potenzialità. Otello delle occasioni mancate fu: peccato.

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