Cerco una bella, e due ne ritrovo!
Al Teatro Coccia di Novara Prima della scala di Gon/Valanzuolo anticipa La scala di seta di Rossini. Convince la messinscena di Deda Cristina Colonna, meno la concertazione di Francesco Pasqualetti: Emmanuel Franco brilla nel parterre vocale.
Novara, 11 maggio 2025 – Nel cuore di Novara c’è chi ha fatto della sperimentazione nella tradizione, più volte lo abbiamo ripetuto su queste colonne, un po’ la sua cifra distintiva. Il Teatro Coccia non si accontenta di rispolverare sempre e solo i classici: li reinventa, li affianca a nuove voci, li mette in dialogo con il presente. Così, da qualche anno, accanto alle spumeggianti farse veneziane di Gioachino Rossini, prende forma un’interessante iniziativa: il progetto DNA Italia, un’officina creativa in cui giovani compositori possono osare, inventare, raccontare. Non è solo opera nuda e cruda. È una staffetta tra epoche, una sfida lanciata dal passato al futuro, un’opportunità raccolta con entusiasmo da giovani in erba che hanno l’occasione di vedere le proprie opere eseguite in prima assoluta, davanti a un pubblico, seppur non foltissimo – e purtroppo la recita di questa domenica conferma la tendenza già riscontrata nelle scorse simili occasioni –, quantomeno vero e curioso. Ed è ancora un modo diverso, tra l’altro, per confutare quegli strani percorsi logici che vedono nel teatro in musica a un museo fatto di teche e polvere. Nascono dunque doppi spettacoli che non sono semplicemente la somma di due titoli, ma un percorso pensato spesso con estro, in cui ogni elemento si intreccia con l’altro attraverso un filo narrativo o tematico comune. Così accade anche con Prima della scala, un breve e leggero divertissement chefunge da scintilla per accendere La scala di seta rossiniana.
Molto fruibile e immediata sul piano musicale – valido il lavoro di Federico Gon, che ben riesce a temperare l’atmosfera con una scrittura agile, ritmica e teatralmente efficace –, meno originale e graffiante, in verità, nel libretto – Stefano Valanzuolo, pur muovendosi con mestiere tra citazioni e meccanismi farseschi, finisce talvolta per cedere a soluzioni non sempre accattivanti – Prima della scala vuole essere un prologo al capolavoro del cigno pesarese.
L’ambientazione è quella di un circo che porta il nome del suo fondatore, Zabatta. Il vecchio impresario finge la propria morte per testare l’integrità dei suoi dipendenti: l’equilibrista Ezio, l’illusionista Silvano e l’assistente Nina, divisa tra i due. Il piano macchinato da Silvano – ipnotizzare Ezio e farlo precipitare da una fragile scala di seta per eliminare il rivale – è tanto assurdo quanto grottescamente efficace nel mettere a nudo avidità, gelosie e ambizioni. Ma proprio quando l’intrigo si fa più cupo, Zabatta interviene con la ieraticità delle più impegnati voci dal cielo operistiche, svelando l’inganno e la delusione. Decide dunque di vendere il circo e reinventarsi impresario: La scala di seta di Rossini, interpretata dai suoi dipendenti, sarà la prima opera da portare in scena.
Convincente e misurata la regia di Deda Cristina Colonna che trova nelle belle scenografie e nei bei costumi di Matteo Capobianco, ben illuminati dalle luci di Ivan Pastrovicchio, un importante sostegno alla costruzione di uno spettacolo realizzato con buona contezza di mezzi. Più didascalica la prima parte, rigorosamente in bianco e nero, più surreale e stralunata la seconda, caleidoscopica nel colpo d’occhio e costruita con espediente metateatrale senza marcare con nettezza la distinzione tra maschera e interprete – Silvano che interpreta Blansac, ad esempio, non esita nell’utilizzare le proprie doti da illusionista –, le due messinscene congiunte si avvicendano senza frattura, né intervallo, in un’arcata narrativa che, garbata e talvolta poetica, sa valorizzare i codici del genere farsesco senza ricorrere agli eccessi scenici che funestano generalmente le commedie rossiniane.
Più funzionale che persuasivo, invece, è apparso Francesco Pasqualetti al timone dell’Orchestra Filarmonica Italiana: spedita, brillante, la sua concertazione sembra più concentrata sull’energia innescata dalla partitura che sulle finezze del dettato rossiniano. Pur non mancando attenzione ai preziosismi strumentali, le agogiche squadrate, le dinamiche non pronunciatissime e qualche scollamento col palcoscenico finiscono per restituire una lettura solida ma poco sfumata, in cui il gioco teatrale rossiniano, fatto di leggerezze, sospensioni e filigrane, risulta sensibilmente affievolito.
Per l’evidente confidenza con lo stile, per la bontà di uno strumento dalla pasta pregiata e assai ben disciplinato, e non per ultimo per qual carisma che dona valore anche alla prova attoriale, s’impone nel parterre vocale il Germano di Emmanuel Franco, già apprezzato su questo stesso palcoscenico nel Barbiere di qualche anno fa, capace di corredare un personaggio scenicamente irresistibile con un canto forbito ed esaustivo in ogni sfaccettatura. Si fa notare positivamente anche il Dorvil/Ezio di Paolo Nevi, chiamato dal secondo cast a sostituire l’indisposto Michele Angelini. L’interprete è partecipe, il porgere fragrante, il timbro molto bello e quando emessa a dovere la voce ha squillo e proiezione. La micidiale aria è affrontata, non senza colpo ferire, con baldanza e coraggio: lo studio e l’esperienza gli assicureranno poi più precisione nell’intonazione e in generale nella tecnica. La Nina/Giulia di Alina Tkachuk paga lo scotto di una dizione non sempre limpida – i recitativi non sono risolti con chiarezza e mordente – e un’emissione quasi sempre forzata in acuto, pur sfoggiando buona dimestichezza tanto col canto di agilità quanto con quello sfumato. Doğukan Özkan ha bella presenza ma risuona a tratti cavernoso: fa meglio nei panni di Silvano, a cui Gon regala bei cantabili, rispetto a quelli di Blansac, che non si cimenta con nessuna aria di baule – operazione legittimata dal contesto storico e benedetta da Alberto Zedda. Ottimo Federico Lando, Dormont/Zabatta, discreta Yo Otahara, Lucilla.
Come anticipato, scarsa affluenza di pubblico, ma non d’affetto, tributato agli artisti con entusiasmo dai presenti in sala.
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