L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Fiorilla Prime

di Antonino Trotta

Con uno spettacolo, nel complesso, ben pensato e realizzato, Il Turco in Italia di Rossini approda anche al Teatro Coccia di Novara: la godibile regia di Roberto Catalano, la vivace concertazione di Hossein Pishkar e il cast ben assortito regalano un’ottima serata in compagnia di Rossini.

Novara, 22 novembre 2024 – Non facciamo che ripetercelo, specie in questi giorni di Black Friday, ogni volta che i nostri incauti polpastrelli accarezzano quell’amabile sorriso: «Non si dà follia maggiore dell’amare un solo oggetto: noia arreca, e non diletto il piacere d'ogni dì». Come dare torto, dunque, alla bella Fiorilla, smaniosa, nel nuovo allestimento del Turco in Italia firmato da Roberto Catalano, di comperare, collezionare, accumulare con incontrollata foga ammennicoli di ogni genere, comodamente reperibili sfogliando un catalogo sul divano.

Ambientazione anni Cinquanta, segno visivo sgargiante ed essenziale – molto bella la scenografia componibile e bicolor di Guido Buganza in cui ben risaltano i simpatici costumi di Ilaria Ariemme –, lo spettacolo di Roberto Catalano, ora giunto al Teatro Coccia di Novara, legge la commedia di Rossini con tono garbato e sapida ironia, mostrando la bravura di chi, avendo colto il potenziale iperreale del testo, s’è dimostrato capace di declinarlo sul palco con una narrazione fluida, equilibratissima e accattivante. Perché al di là della coppia borghese annoiatissima, al di là della sfrenata bramosia di shopping che trascendendo le cose finisce col far anche delle persone oggetto di morbosa attenzione – questa smania, in realtà, irretisce un po’ tutti fuorché Prosdocimo, forse un televenditore, forse un pubblicitario, poco importa –, al di là dall’amara ripresa di coscienza di Fiorilla che maledice i vani ornamenti per avviarsi al lieto epilogo – questa, in soldoni, l’idea –, ciò che più conquista è il senso della misura con cui i vari elementi sono dosati e messi insieme per costruire il surreale mondo popolato da fattorini e soubrette televisive in cui far vivere i personaggi. Catalano, insomma, ci diverte, ci fa sorridere, senza mai svilire la drammaturgia né la poetica del buffo rossiniano con trovate piazzate lì giusto per strappare una risata.

Certo, se lo spettacolo funziona bene è anche merito del cast, nel complesso ben amalgamato, coinvolto e coinvolgente quasi in ogni sua sezione. Sugli scudi l’eccellente Don Geronio di Gianluca Mastrototaro: bella cavata, porgere fragrante, sillabati al fulmicotone, Mastrototaro non spreca una sillaba del libretto di Romani, assommando nella sua interpretazione sensibilità e brio. Al suo fianco, Elena Galitskaya sa ritrarre una Fiorilla giustamente capricciosa e pestifera, animata nel curatissimo fraseggio tanto da impeti di snervante prepotenza quanto da slanci di infinita dolcezza. Pur senza azzardarsi in spericolati virtuosismi, la Galitskaya sa mettere in risalto uno strumento ben timbrato ed educato secondo i crismi del belcanto, ben valorizzato dal legato e dalle sfumature che arricchiscono la bella linea di canto. Per simile morbidezza e contezza di stile si fa poi notare la Zaida di Paola Gardina, chiamata in calcio d’angolo e immediatamente padrona della scena. Bella voce e bella presenza per il Prosdocimo di Daniele Terenzi che, nell’aria d’apertura, si destreggia con vivacità tra accenti scolpiti e puntature ben a fuoco. Niente male nemmeno il Don Narciso di Francisco Brito, qui chiamato al cimento con un ruolo creato dal mitico David: agilità ben sgranate, buone mezze voci e tempra incendiaria caratterizzano l’aria del secondo atto «Tu seconda il mio disegno». Simone Alberghini, anch’egli chiamato in extremis, porta in dote al suo Selim grande esperienza, professionalità e arte nel canto. Acerbo, infine, l’Albazar di Antonio Garés e buona la prova del coro Lirico Veneto, istruito dal maestro Alberto Pelosin.

Alla guida dell'Orchestra Luigi Cherubini, in gran spolvero, il giovane Hossein Pishkar dirige con vivacità ed estro. Mai dimentico del testo e dell'azione, Pishkar sa oleare a dovere la macchina musicale rossiniana, creando, sul piano agogico e dinamico, il giusto supporto alla narrazione musicale. Libero da ogni tipo di asettico meccanicismo, guida con sicurezza l'ottima Cherubini nei momenti di vibrante concitazione e in quelli di più delicata evanescenza – si pensi all'attacco del quintetto del secondo atto, ad esempio – confezionando una concertazione che, sebbene a volte ecceda in volume e si arrischi in qualche scollamento col palcoscenico, nel complesso si fa apprezzare per la varietà degli accenti e la flessibilità del manto orchestrale.

Successo vivo e meritato per tutti. Spiace che, in un’occasione come questa, sia mancato il ricordo del compianto Gianfranco Mariotti. Lo facciamo noi perché in fondo, per Rossini, gli siamo tutti debitori.

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