Nozze d’antan
Le nozze di Figaro inaugurano la stagione 24/25 del Teatro Regio di Torino: la regia lineare di Emilio Sagi, l’ottima concertazione di Leonardi Sini e il parterre vocale ben assortito, in cui spiccano le prove di Giorgio Caoduro, Vito Priante e Giulia Semenzato, assicurano alla prima un caloroso successo.
Torino, 23 novembre 2024 – Ci siamo sbagliati. Nel riferire dell’encomiabile trittico dedicato alla figura di Manon, messo in scena ormai due mesi fa, abbiamo erroneamente indicato l'evento come inaugurazione di stagione. Errore: l’apertura di stagione è adesso, e il titolo scelto per tenere a battesimo La meglio gioventù è Le nozze di Figaro di Mozart, presentato al pubblico del Teatro Regio di Torino nella prima ripresa italiana dell’allestimento firmato da Emilio Sagi nel 2009 per il Teatro Real di Madrid.
Prendendo chiaramente a modello il celeberrimo lavoro di Giorgio Strehler, lo spettacolo di Emilio Sagi offre una lettura lineare, pulita e tradizionale del capolavoro mozartiano. Particolarmente apprezzato, nell’insieme di elementi che conferisce allo spettacolo un appagante segno visivo, l’inserto coreografico spagnoleggiante nel terzo atto. Data la facile reperibilità del materiale fotografico, si lascia come esercizio al lettore la personale valutazione delle bellissime scenografie di Daniel Banco e dei raffinatissimi costumi di Renata Schussheim che rivestono, nell’economia complessiva della messinscena, un ruolo di fondamentale importanza. Non si dovrebbe mai giudica uno spettacolo solo da una foto, ma in questo caso si faccia pure un’eccezione.
Decisamente più interessante è parsa invece la concertazione di Leonardo Sini, qui chiamato a dirigere i complessi del Regio presenti in buca, come di consueto, in forma smagliante. Moderno, scattante e leggiadro, Sini offre delle Nozze una lettura carica di ispirazione che sostiene la drammaturgia del testo e l’emotività – azione ci sembrava un po' troppo – del palcoscenico. Piace oltremodo l’estrema flessuosità con cui il manto strumentale è finemente ricamato, la morbidezza e la rotondità di taluni attacchi – quello del coro del terz’atto, «Ricevete, oh padroncina!», ne è lampante esempio –, l’attenzione rivolta ai preziosismi strumentali cesellati con mano sinfonica e sensibilissimo spirito teatrale, l’uso cosciente di dinamiche e agogiche ovunque calibrate alla perfezione per infondere alla narrazione musicale mordente e pathos. Straordinaria, seppur qui limitata, la prova del Coro del Teatro Regio di Torino, istruito con maestria da Ulisse Trabacchin.
Note assai positive anche per il cast, in cui spiccano i nomi di autentici fuoriclasse. Lo sono certamente Giorgio Caoduro e Vito Priante, rispettivamente Figaro e il Conte d’Almaviva, entrambi dotati di voce vigorosa e statuaria, entrambi fini dicitori e scultori della parola. Caoduro porta in scena un Figaro sornione e rampante, che non teme né l’involo all’acuto né l’affondo al grave; anzi, sfoggia in tutta la tessitura una pienezza, rotondità e controllo esemplari. Con un accento teatralissimo e un carisma da vendere, l’aria dell’ultimo atto gli offre la possibilità di esprimere tutte le qualità del vocalista e dell’attore. Vito Priante, da par suo, crea un Conte elegante e aristocratico: l'arte nel fraseggio, la solidità dell’emissione, la voce timbrata e la gagliardia tecnica concorrono tutti nella costruzione di un nobiluomo ammaliante e persuasivo. Bravissima anche Giulia Semenzato, che, al netto di un taglio talvolta un po' troppo civettuolo in alcuni recitativi, dà vita a una Susanna aggraziata e romantica, con una voce bella e cristallina. Facendo appello a un’articolazione del testo forbita, a una linea di canto sinuosa e ben sfumata – bellissimo il pianissimo nel recitativo a seguito del sestetto del terzo atto, che mette in primo piano il lato lirico e sognante della giovane sposa –, la Semenzato sa illuminare il ruolo in tutte le sue possibili sfaccettature. Buona anche l’interpretazione di Ruzan Mantashyan nei panni della Contessa, sebbene si avverta qua e là qualche acuto non perfettamente a fuoco. Magnifica è poi la Marcellina di Chiara Tirotta, caratterizzata con brio e cantata con proprietà di mezzi: «Il capro e la capretta» le valgono lunghi e meritati applausi. Vivace, irruente e delicato, il Cherubino di José Maria Lo Monaco conquista con il timbro brunito e il canto ben misurato. Andrea Concetti impersona Bartolo con scaltrezza scenica e indubbia professionalità. Si fa notare infine, per la squisitezza dello strumento, la Barbarina di Albina Tonkikh, elegiaca e dolente nella sua aria. Completano correttamente la folta locandina Juan José Medina (Basilio), Cristiano Olivieri (Don Curzio), Janusz Nosek (Antonio), Eugenia Braynova (prima contadina) e Daniela Valdenassi (seconda contadina).
L’entusiasmo di un Regio finalmente tutto esaurito decreta il pieno trionfo della serata inaugurale.
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