L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

L’ultima Tosca

 di Stefano Ceccarelli

Ritorna al Costanzi la Tosca di Giacomo Puccini, per la terza volta quest’anno, nell’allestimento di Alessandro Talevi con le scene storiche di Hohenstein. A dirigere è James Conlon; i tre personaggi principali vengono cantati da Anna Pirozzi (Tosca), Luciano Ganci (Cavaradossi) e Ariunbaatar Ganbaatar (Scarpia).

ROMA, 13 maggio 2025 – Siamo giunti alle ultime recite della Tosca del Costanzi, almeno per questa stagione (per chi fosse interessato ad uno sguardo sulle precedenti: la recensione del 16 gennaio con Hernandez Kunde e Hakobyan diretti da Mariotti e del 4 marzo con Netrebko Eyvazov ed Enkhbat diretti da Oren). Sulla regia di Alessandro Talevi e le bellissime scene originali di Hohenstein riprese da Savi c’è poco da aggiungere, se non che non ci si stanca mai di ammirarle.

Questa volta sale sul podio James Conlon, direttore fra i più blasonati ancora in attività (può vantare, persino, l’apprezzamento di Maria Callas). La direzione di Conlon è ottima, sensibile. Grazie allo stato di grazia dell’orchestra del Costanzi, Conlon produce un suono plastico, che accompagna con gesto sicuro: memorabile l’attacco del I atto, come pure il finale, con la scena del Te Deum, magistrale per controllo agogico (la climax è studiatissima, emozionante). La direzione del II e del III, ugualmente, non delude: eccellente l’abilità del compositore di generare volume, all’improvviso, senza perdere controllo; ugualmente eccellente la perizia nel carezzare alcuni momenti ed incidere su altri. Insomma, una direzione ad effetto, che trascina e permette alle voci di esprimersi al meglio.

Per quanto riguarda il cast vocale, nel ruolo del titolo Anna Pirozzi fa bene il suo dovere, anche se nell’espressione risulta a tratti monocorde. La voce è abbondante, con riverberi lievemente metallici e intense vibrazioni, risultando spessa e centrata. Non si può dire che non faccia bene, ma manca un quid, manca la compartecipazione piena all’azione teatrale, manca fraseggio e interpretazione, appunto, che recupera in parte nell’atto III, in particolare nel duetto con Cavaradossi: fra i momenti migliori della serata per lei, il duetto si colora di sfumature, accenti più studiati. Il suo «Vissi d’arte» regala qualche bella mezza voce e momenti che solleticano l’emotività del pubblico, ma siamo lontani dalla perfezione – del resto, il II atto è forse quello più debole a livello recitativo. Serata pessima per Luciano Ganci, che sale sul palcoscenico ben lontano dalla sua miglior forma. I problemi iniziano già da «Recondita armonia», con emissioni non centrate, passaggi poco limpidi (il che è un peccato, perché Ganci è dotato di un timbro morbido, squillante e piacevolissimo); l'acuto finale non riesce e Ganci è costretto a un bislacco, sgraziato arabesco per riacchiappare la nota più bassa. Fra i momenti peggiori c’è il duetto del I atto, dove l’interprete stride, stona, gracchia, perde la voce più di una volta. Eppure, se si considerano alcuni momenti isolati della serata, come l'acuto del I atto su «la vita mi costasse» e quelli, celebri, del II all’annuncio della vittoria di Napoleone a Marengo, il III atto scorre più liscio, ma la voce si incrina sensibilmente «E in le stelle», che ha poco smalto, come pure nel duetto successivo. L’interprete che convince maggiormente è Ariunbaatar Ganbaatar nel ruolo di Scarpia. Dotato di una voce imponente, statuaria, è in grado di emettere note assai belle, penetranti; non manca lo squillo, come pure l’intensa brunitura del timbro, come si vede bene nella scena del Te Deum, dove tira fuori la voce in un crescendo di tutte le maestranze. Benché si intraveda una certa ricerca, non si può dire che eccella nel fraseggio, come si nota nel II atto: di «Ha più forte sapore» si apprezza il legato, la linea di canto. Fra i comprimari, buono l’inossidabile Luciano Leoni nel ruolo di Cesare Angelotti; ottimo il Sagrestano di Domenico Colaianni, che non esagera nella parte, pur palesando un’invidiabile tempra vocale; buono lo Spoletta di Matteo Mezzaro e lo Sciarrone di Marco Severin, discreto il Pastorello di Francesco Cicciarello. Tutto considerato, nell’insieme, è forse la più debole delle tre riprese di Tosca con cui quest’anno il Teatro dell’Opera di Roma ha voluto onorare Giacomo Puccini.

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